mercoledì 24 agosto 2011

Le 10 prove del principe vittorioso 3^ Parte




LE 10 PROVE DEL PRINCIPE VITTORIOSO
3^ Parte
(a destra immagine della "torre dell'evasione")

La mattina del giorno dopo, il secondo del Torneo, iniziò con la migliore conferma: Victor era in testa alla grande, con 40 punti pieni, avendo vinto tutte e 4 le gare del giorno precedente !
Gli diede la notizia il Mago Architagora, sorridendo: era già uscito molto presto ed aveva saputo che l'esito delle ultime gare, conclusesi in ritardo la sera del giorno prima, confermava come migliori le prove del suo allievo.
Ma non c'era tempo per crogiolarsi sugli allori, il Torneo continuava e Victor era atteso ad una nuova prova, come al solito per primo essendo il primo in classifica.
Così si presentò davanti ai giudici di gara, nella grande sala del Castello reale, dove fù informato del tipo di prova che doveva affrontare, una gara davvero singolare: lo avrebbero rinchiuso in un alta dell'altissima torre del Castello da dove avrebbe dovuto cercare di evadere, nel minor tempo possibile. Era una prova difficilissima, resa tale da diversi ostacoli quasi insormontabili: la cella era chiusa da una porta blindata, guardata a vista esternamente da guardie armate, internamente aveva un'unica finestra, chiusa da un'inferriata, che si affacciava su di un baratro alto 30 metri !
La cella era stretta ed altissima, con il soffitto a ben 15 metri di altezza.
Dal soffitto pendeva, legata ad un anello là in cima, una fune che arrivava a toccare il pavimento, su cui posava un unico mobile, un pagliericcio per dormire.
C'erano anche il bugliolo ed una brocca d'acqua.
Il tempo a disposizione per evadere era di 24 ore e, come nelle altre gare, il vincitore, cioè chi avrebbe impiegato meno tempo ad evadere, prendeva 10 punti, 9 il secondo, 8 il terzo e così via. Chi entro le 24 ore non fosse riuscito a scappare dalla prigione non avrebbe preso alcun punto da quella prova.
Victor si rese subito conto che quella probabilmente sarebbe stata la prova più difficile del torneo !
Fù rinchiuso nella cella alle nove del mattino e guardò subito l'ombra della
luce sul pavimento per ricordarsi quando, la mattina del giorno dopo, sarebbero scadute le 24 ore.
Accanto alla sua c'erano altre 4 celle nelle quali erano stati rinchiusi contemporaneamente gli altri concorrenti, i primi 4 dopo di lui.
Il mattino dopo sarebbero subentrato gli altri 5, per la stessa prova.

Victor studiò con calma la situazione: guardò con estrema attenzione, respirando profondamente, ogni particolare della cella, anche il più insignificante, catalogandolo e memorizzandone ogni aspetto, cercando di farlo da ogni punto di vista, facendo contemporaneamente appello alla sua fantasia più fervida.
Risultato obbiettivo dell'analisi della situazione fù che l'evasione dalla porta sembrava da escludersi. Ma passare per la finestra presentava due problemi: l'inferriata, che occorreva scardinare, e l'altezza del baratro sottostante, che Victor non potendosi affacciare non era in grado di stimare. Per calarsi ci sarebbe voluta almeno
la fune che pendeva dal soffitto ? Ma come poi tirarla giù ?
Si, avrebbe agilmente potuto arrampicarvisi, fino al soffitto per poi staccarla da la in cima, ma allora non avrebbe potuto più usarla per ridiscendere !
Gli occorreva poi un attrezzo per tagliare la corda e per scardinare di l'inferriata: si guardò nuovamente intorno, ma non vide nulla utilizzabile a quello scopo.
Controllò il bugliolo e la brocca di ferro. Quest'ultima aveva un manico che, se fosse riuscito a staccarlo, poteva servire. Ma controllò anche il pagliericcio, sollevandolo e ribaltandolo: nulla da fare, tutto legno ad incastri, ma sorpresa ! Aveva una rete d'appoggio per il materasso formata da una solida fune, avviluppata a tornanti incrociati sul telaio del letto: poteva sicuramente essere utile, una volta tolta e messa in chiaro, per calarsi dalla finestra !
Bene, Victor cominciava a vedere delle soluzioni banali, ma forse utili ad un
buon esito della prova.
Al lavoro dunque ! Per prima cosa bisognava aprire un varco nella finestra, cioè scardinarne l’inferriata, perché pensare di tagliarne il ferro era assurdo: ci sarebbe voluta la lime che lui non aveva e molti giorni a disposizione !
Studiò per bene il perimetro di pietra su cui l’inferriata era fissata e capì subito che diverse di quelle vecchie pietre erano tenute insieme da miseri residui di calce crepata,
grattando via la quale si sarebbero facilmente staccate, consentendo allora di rimuovere l’inferriata, togliendola completamente dalla finestra.
Per fare quel lavoro Victor pensò di utilizzare l’unico attrezzo possibile, il manico di ferro della brocca dell’acqua, ma staccarlo non fù cosa rapida né facilissima.
Il manico era saldato al vaso per entrambe le estremità e con la sola forza delle mani
il giovane campione non riusciva; ma una volta ne avesse rotto un lato sapeva che staccarne l’altro sarebbe stato assai meno difficile.
Dopo svariati, inuti tentativi di forza, guardandosi più attentamente intorno notò un anello di ferro che sporgeva da una parete della cella, a circa un metro dal pavimento, probabilmente utilizzato per incatenarvi i prigionieri. Riflettè brevemente e tentò con quello: infilò l’ansa del manico della brocca sull’anello, saldamente fissato nel muro,
per poi girarvi intorno la brocca, impugnatala per le estremità, così da far leva contro l’anello. Dovetti spingere con tutte le sue forze, ripetendo più volte il tentativo perché il manico si torceva senza staccarsi dalla brocca, oppure scivolava via, fuori dall’anello. Ma dai e ridai trovò poi la tecnica migliore, spingendo la brocca contro il muro e poi ruotandola a strappi bruschi e violenti il manico divelse dal vaso e fù quindi assai più facile staccarlo poi completamente !
Ora Victor disponeva di una breve sbarra contorta, appuntita alle estremità dai traumi della rottura, e con quella iniziò subito a grattare intorno alla finestra le vecchie crepe di malta che tenevano insieme le pietre, nelle quali erano infisse le sbarre della grata.
Come lui aveva previsto quella calce era molto povera, invecchiata dal gelo e dalle infiltrazioni di umidità, quindi facile a screpolarsi, ma cinonostante gli ci volle mezza giornata per venirne a capo, anche perché per lavorare sul lato superiore della finestra dovette arrampicarsi sulla grata, rimanendovi scomodamente appeso.
Quando infine sentì la grata comiciare a muoversi sotto il suo peso, ne ridiscese ed appendendosi al lato inferiore lo divelse, facendo leva del suo corpo, puntando i piedi contro la base della finestra: l’inferriata si staccò completamente, abbattendosi sul davanzale, ma senza eccessivo clangore. Del resto Victor sapeva che le guardie all’esterno non avevo titolo ad entrare nella cella prima della scadenza delle 24 ore di durata della prova.
Victor si affacciò allora sul baratro sottostante e quasi rabbrividì constatandone la profondità: almeno 30 metri di salto !Per calarvisi non gli sarebbe certo bastata la fune che intrecciava il pagliericcio o quella che pendeva dal soffitto: aveva assolutamente bisogno di entrambe, tranne rischiare un salro pericolosissimo, di circa 15 metri, per cui sicuramente si sarebbe come minimo gravemente infortunato.
Cominciò quindi con lo svolgere la corda che intrecciava sotto il pagliericcio, e già mentre faceva quel lavoro pensava come avrebbe potuto recuperare l’altra fune, pendente dal gancio là in cima, sull’altissimo soffitto.
Non aveva ancora finito il lavoro sul pagliericcio che si aprì uno spioncino della porta blindata…,Victor abbassò velocemente il letto, a scanso di interferenze, ma era solo una guardia che lo chiamava per la consegna del suo pranzo di prigioniero: un pane di crusca, del manzo bollito ed una mela, che mise da parte per tornare a svolgere la corda del pagliericcio. Come l’ebbe recuperata subito la calò dalla finestra per capire
fin dove scendesse, ma ebbe la conferma che non arrivava oltre la metà dell’alto dirupo. Occorreva assolutamente recuperare anche la fune pendente dal soffitto !
Victor si sedette sul pagliericcio, ormai afflosciato sul pavimento perché privo di sostegno, per consumare il suo pasto, cercando di farlo con calma e serenità, mentre tuttavia già rifletteva sul nuovo problema: come recuperare quell’altra fune.
Erano ormai trascorse oltre quattro ore da quando era stato rinchiuso nella cella per la quinta prova del torneo e ne aveva altre venti a disposizione per l’evasione, ma
non intendeva certamente usarle tutte, anzi !
Masticava tuttavia lentamente il suo cibo, mentre pensava ad una soluzione.
Salire là in cima, arrampicandosi sulla fune, non era certo un problema per lui.
Lo era invece ridiscendere, affrontando un salto di 15 metri, avendo necessariamente staccato la corda dall’anello prima di poterla usare di nuovo per calarsi al suolo.
Victor provò ad immaginare l’azione: lui che saliva…, ma anche solo per sciogliere la corda dall’anello doveva avere un altro sostegno, perché restando a quella sopesa l’avrebbe mantenuta in tensione, condizione che non gli avrebbe permesso di allentarne i nodi…Appendersi all’anello, sì era teoricamente possibile, ma quanto avrebbe resistito con una mano sola, mentre con l’altra tentava di sciogliere i nodi ?
No, gli occorrevano entrambe le mani e per averle disponibili doveva sostenersi con la fune avvolta sulle gambe…Certo, questo era possibile, ma poi, sciolti i nodi…, ecco !
Si avrebbe fatto scorrere la fune nell’anello, ridiscendendo appeso a quella doppiata, ma gli sarebbero rimasti infine, calcolando anche la lunghezza del suo corpo con le braccia appese, oltre 5 metri di salto, cioè una misura possibile, ma non esente da rischi !
Se cadendo da quella pur minore altezza si fosse anche solo slogata una caviglia,come avrebbe poi potuto sostenere al meglio le altre 5 prove del torneo, alcune delle quali sicuramente avrebbero richiesta la massima integrità fisica ?
Ma mentre addentava un altro boccone di cibo gli balenò la soluzione e si diede una manata di rimprovero sulla fronte: come non ci aveva pensato subito !
Lui aveva anche la corda recuperata dal pagliericcio, che aveva calcolata utile per completare la discesa nel dirupo, ma poteva benissimo servire al recupero della fune, quella pendente dal soffitto !
Risolse anche che anziche sciogliere i nodi sarebbe stato assai più pratico e veloce tagliare la fune. Non avendo un coltello poteva utilizzare il manico di ferro della brocca che già gli era ben servito per scardinare le pietre dell’inferriata: una delle estremità era sufficientemente aguzza per poter tagliare un canapo.
Ora gli era tutto chiaro: Victor capì che sarebbe evaso entro al massimo un’ora.
Finì tranquillamente i suo pasto, bevve un po’ d’acqua dalla brocca, poi si avvolse intorno alla vita il canapo recuperato dal telaio del letto ed in neppure mezzo minuto
risalì arrampicandovisi la fune appesa al soffitto. Arrivato in cima si appese con entrambe le mani all’anello, sollevandosi il più possibile, così d’aver agio per avviluppar bene le gambe intorno alla fune, in modo da potervi rimanere appeso solo con quelle. Scolse quindi l’altro canapo che recava intorno alla vita, ne lasciò cadere un capo verso terra e passò l’altro attraverso l’anello, per po annodarlo allestremità superiore dell’altra fune, su cui si trovava appeso, subito sotto l’anello. Al quale di nuovo si appese con le braccia, con le quali tornò a sollevarsi per poter liberare le gambe dalla corda per poi aggrapparle intorno ad entrambe le funi, che pendevano ora tutte e due dall’anello. Estrasse quindi dalla tasca il ferro tagliente che era stato manico della brocca e con la punta aguzza di quello cominciò a scalfire la fune che aveva utilizzato per salire sin lassù. Dovette lavorare per alcuni minuti, perché la fune era grossa e robusta ed il ferro che utilizzava non era esattamente un coltello…
Ma alla fine, recidendo con pazienza ogni singolo cavetto ritorto a più capi che formava quel canapo riuscì a tgaliarlo tutto.
Il risultato fù che egli era ora appeso ad una doppia fune, che passava libera e non più annodata attraverso l’anello, che formata da due funi di lunghezza più o meno uguale, calate sino al pavimento della cella, o quasi.
Victor allora potè ridiscendere appeso a quella doppia corda e quando fù giunto al suolo potè recuperarla, tirando il capo su cui aveva fatto il nodo di congiunzione in modo che non avesse ad incattivirsi scorrendo nell’anello.
Tutta la fune in fine cadde ai suoi piedi, disponibile per la discesa nel baratro.
Victor subito ne legò un estremità all’inferriata divelta, saldamente incastrata contro un angolo della finestra ormai aperta, e butto in basso tutta la fune.
Affaciatosi a controllare vide che giungeva a forse neppure 3 metri dal fondo del baratro. Superò allora decisamente il parapetto e si calò veloce lungo la parete della torre e poi della roccia verticale su cui essa poggiava: dopo pochi secondi, con un breve salto di due metri, ne fù subito alla base.
Girò allora intorno al castello, correndo con passo leggero verso l’entrata principale, che varcò sorridente per presentarsi davanti ai giudici di gara, che con evidente sorpresa registrarono il suo tempo di evasione: 4 ore e 47 minuti contro le 24 rese
Disponibili !
Dovettero poi trascorrere altre 6 ore prima che arrivasse il succesivo “evaso”, l’Indiano Karimbad, probabile secondo classificato della prova, che si sarebbe tuttavia conclusa solo al termine del giorno successivo, quando fosse terminato il turno successivo, che vedeva impegnati gli altri 5 concorrenti.

Ma alla fine solo in 4 riuscirono ad evadere dalla torre nel termine massimo delle 24 ore, e naturalmente Victor risultò ancora il vincitore, davanti a Karimbad e Won Lin Uan. Yakowskj, quarto nella classifico generale non aveva superato la prova, mentre c’era riuscito Piropulos, un greco Ateniese, che con quella prova era risalito nella classifica generale, superando Yakowskj.
Dopo la quinta prova, a metà torneo, questa era la classifica.
1° Victor con 50 punti !
2° Karimbad, 43 punti
3° Won Lin Uan 39
4° Piropulos 34 punti
5° Yakoswkj 27 punti (zero punti per la mancata evasione !).

(immagine tratta dalla "Tomba del tuffatore", Paestum 48o a.c.)

Ma prima ancora che quella lunga prova finisse, Victor dovette già affrontare la
sesta gara, una difficile immersione in apnea.
Avendo a disposizione solo 20 minuti di tempo, occorreva recuperare in fondo al mare antistante il Castello reale, una pesante anfora sommersa tra gli scogli, a 30 metri di profondità.
Sopra la zona di mare in cui si trovava sprofondata l’anfora c’era una zattera galleggiante, ben ferma perché ancorata al fondale. Partendo da quella bisognava immergersi in apnea, cercare l’anfora nell’abisso e trovatala, riportarla in superfice con l’aiuto di una lunga fune che si trovava arrotolata sulla zattera.
Il peso del reperto era tale che non era pensabile di riportarla in superficie nuotando.
Nei venti minuti era compreso anche il tempo che i concorrenti avrebbero impiegato per raggiungere a nuoto la zattera, posta a circa 200 metri da riva. !
Al via Victor partì con lunghe bracciate rilassate, lente ma potenti, respirando profondamente ad ogni bracciata: sapeva che doveva far presto, ma senza bruciare
troppo ossigeno, che gli sarebbe poi servito per l’immersione, che ne richiedeva tantissimo ! Raggiunse la zattera in circa 3 minuti e vi salì con calma, già facendo lunghi respiri di iperventilazione, come tante volte aveva già fatto, per immersioni in apnea guidate dal suo maestro Architagora.
In piedi sulla zattera considerò la fune: aveva tre alternative, portarla con se nell’abisso, legarvi ad un capo l’anfora quando l’avesse trovata e poi risalire con in mano l’altro capo, utile per il successivo recupero; legarne un capo alla zattera e portare con se durante la ricerca in apnea l’altro capo, cui legare l’anfora; lasciar pendere la fune legata in alto, sotto la zattera, per utilizzarla quando avesse ritrovato l’anfora. Per ogni alternativa esistevano pro e contro, che Victor analizzò rapidissimo già mentre ne considerava ognuna: non c’era tempo per lunghe riflessioni !
Scelse la terza alternativa: legò un capo della fune alla zattera e l’altro intorno alla propria vita, ed allo scadere dei primi sei minuti Victor si tuffò, dopo aver fatto un ultimo lunghissimo, profondo respiro.
Con lunghi, lenti movimenti di braccia e gambe, scese nella profondità marina:
L’acqua era molto trasparente per cui subito vide il fondale sassoso, disseminato di grandi pietroni, mentre già faceva la prima “compensazione”, sui 5 – 6 metri, dove era giunto senza sforzo, sulla spinta del tuffo.
Per scendere a quella profondità era indispensabile compensare, tecnica che gli aveva assai bel insegnato il Mago suo maestro, che consisteva sia nel deglutire a vuoto, come si volesse ingoiare la propria lingua…, sia nel soffiare forte a bocca chiusa contro le narici strettamente tappate dalle dita di una mano.
Ciò per evitare il dolore e perfino la rottura dei timpani dell orecchie, sottoposti alla pressione dell’acqua, che aumentando la profondità d’immersione, sarebbe divenuta insopportabile se non “compensata” da un aumento della pressione interna !
Victor continuò a scendere scrutando il fondale, con movimenti sempre lunghi e lenti, ma molto efficaci, che in pochi secondi lo spinsero infondo a quel mare, tra scogli e massi. Slegò allora la fune intorno alla sua vita, velocemente legandone poi il capo pendente allo spuntone di uno scoglio. Guardando in alto si scorgeva benissimo il piccolo, nero quadrato della zattera là in cima, in superfice, ma la fune pendente sarebbe stato un altro ottimo riferimento.
A quel punto era passato neppure mezzo minuto e Victor sapeva di averne a disposizione almeno altri due per la sua apnea attiva. A quella profondità inoltre il bisogno di respirare era assai meno avvertito: la pressione di tutta l’acqua soprastante sul suo torace, riducendo il volume dei polmoni e concentrandone l’ossigeno presente,
gli impediva di sentire la fame d’aria, che avrebbe poi invece parossisticamente provata risalendo, soprattutto negli ultimi metri, prima di riemergere, con la dilatazione dei polmoni ormai privi di ossigeno !
Victor iniziò a nuotare in mezzo a scogli e pietroni, in economia di movimenti, ma
con estrema attenzione, cercando con gli occhi ogni possibile indizio.
Si muoveva in maniera concentrica, partendo dalla base sotto la zattera, da cui pendeva la fune, in cerchi via, via più ampi, sapendo di avere disponibili non più di due minuti, calcolando anche il tempo che avrebbe poi impiegato per imbragare l’anfora alla fune ed infine risalire in superfice.
Sapeva anche che un secondo tentativo sarebbe stato molto aleatorio, richiedendo un adeguato recupero di ossigeno in superfice, con un’iperventilazione più lunga, necessario anche per eliminare le tossine accumulate nello sforzo precedente.
Perciò si mosse con la massima attenzione ed economia di movimento, scrutando
ogni angolo, ogni anfratto, ogni buca. Ma il tempo inesorabilmente trascorreva, i suoi giri, sempre più ampi, lo avevano ormai allontanato di circa 20 metri dalla verticale della zattera e cominciava a sentire carenza d’ossigeno nel suo corpo…

Victor capì che i due minuti operativi disponibili erano già passati e poteva essere pericoloso insistere, rischiando anche l’esito di una successiva prova d’immersione.
Decise quindi malvolentieri di ritornare verso la fune, già risalendo verso la superfice.
Ma nel superare uno scoglio sottostante, mentre nuotava ormai a 5 metri dal fondale, la vide, la maledetta anfora ! Era seminascosta nell’ombra, alla base di quello scoglio, leggermente inghiaiata sul fondale…La tentazione di ridiscendere immediatamente per recuperarla fù enorme e Victor dovette appellarsi a tutto il suo buon senso per non farlo: prolungare l’apnea a quel punto era assolutamente troppo rischioso !
Dopo un attimo d’esitazione riprese dunque a risalire, ma fissandosi con estrema attenzione nella mente la posizione del reperto, le coordinate del sito in cui l’anfora era posata in fondo a quell’abisso. Prese come riferimento almeno tre punti cospiqui:
la fune pendente sul fondo, un grosso pietrone di forma tondeggiante ed un aguzzo scoglio appuntito, dai rossi riflessi, probabilmente corallini.
Riemerse infine, inalando voracemente l’aria di superfice, allo scadere del quarto minuto di apnea attiva, il decimo minuto dall’inizio della prova, però a mani vuote, seguito dal mormorio dei molti suoi tifosi presenti per assistere anche a quella prova.
Victor non sprecò energie per risalire sulla zattera, ma vi rimase appeso mentre faceva accurati esercizi di respirazione, per smaltire le tossine e ricaricare di ossigeno i suoi polmoni. Terminò con un’iperventilazione forzata, trattenendosi dalla fretta di ridiscendere prima, cercando di dimenticare l’ossessione del tempo che continuava a passare. Lo rincuorava il fatto che ora sarebbe stato assai più rapido, sapendo già dove trovare l’anfora. Sforò così i quindici minuti sui venti disponibili per la prova, mentre da riva e dalle barche circostante gli gridavano ormai in crescendo di muoversi, che il tempo si avviava a scadere !
Con un’agile capriola Victor tornò ad immergersi, scendendo però sulla verticale della fune: aveva deciso di recuperarne il capo sul fondo, privo di alcun peso, per portarlo verso l’anfora, sicuramente assai più pesante da spostare.
Sciolse il capo della fune che la legava allo spuntone di uno scoglio e subito riparti
con quello in direzione dell’anfora, che ritrovò senza esitazioni.
Faticò un po’ per sbloccarla dal ghiaione sul fondale, ma presto l’ebbe imbragata e potè immediatamente risalire verso la zattera, su cui risalì poco dopo un minuto dall’inizio di questa ultima immersione: aveva a disposizione quasi 4 minuti ancora.
Ma di nuovo senza fretta, con lenti e delicati movimenti, recuperò la fune, dalla quale l’anfora avrebbe potuto staccarsi se eccessivamente scossa o strattonata per la fretta di recuperarla.
Il reperto infine emerse dal mare e fù da Victor caricato sulla zattera, allo scadere del diciottesimo minuto disponibile, tra le urla di approvazione dei molti presenti !

Fù poi la volta del principe Indiano Karimbad, secondo nella classifica generale, grande apneista grazie ad una sviluppatissima capacità pomonare ed ancor maggiore facoltà di concentrazione, entrambe derivategli da molti anni di assidui esercizi di Yoga, in particolare delle tecniche dello pranhayama . Era anche un abile nuotatore e presto raggiunse la zattera, su cui salì per poi eseguire esercizi di preparazione ancor più prolungati di quelli che aveva fatto Victor.
Soltanto allo scadere del nono minuto Karimbad s’immerse, portando con se, annodata intorno alla vite, la fune per il recupero dell’anfora.
Tutto ciò significava chiaramente l’intenzione dell’Indiano di tentare il tutto per tutto in un’unica prima immersione.
Che fù lunghissima: Karimbad non era ancora riemerso dopo ben cinque minuti di apnea, quando su ordine dei giudici di gara si immersero alcuni tuffatori per controllare se non fosse stato in pericolo di vita !
Soltanto allo scadere del 15esimo minuto, dopo ben sei minuti di apnea attiva,
il principe Indiano tornò a galla, riprese fiato con calma e gli occorse almeno un minuto per recuperare le forze necessarie per risalire sulla zattera, ma aveva con se la fune ed iniziò a tirarla, via, via recuperandola con circospezione, finchè dall’acqua emerse l’anfora, prima ancora dello scadere del 17esimo minuto…
Era accaduto un fatto nuovo: per la prima volta dopo 5 prove Victor non aveva vinto, ma era stato battuto !
E alla fine della gara risultò che anche Piropulos aveva fatto meglio di lui, seppure di pochi secondi: il Greco, ottimo atleta, gran nuotatore ed eccezionale apneista, era stato fortunato, arrivando sul fondale già con il giusto orientamento per incocciare l’anfora ! Riuscì quindi a recuperarla alla prima immersione, ed avrebbe sicuramente vinto la prova se non avesse pasticciato nel recupero: nella fretta di concludere era stato approssimativo nell’imbragarla e trascurato nel tirarla su, per cui la perse e dovette ridiscendere per recuperarla di nuovo !
Se non fosse stato per quello avrebbe stravinto la prova !
Così Victor fù solo terzo, dopo Karimbad e Piropulos, davanti a Won Lin Uan e Yakowskj: in totale furono solo 5 i concorrenti a superare la prova.
Gli altri 5 non riuscirono a concluderla, oppure lo fecero fuori tempo massimo.
Coì era a quel punto, dopo sei gare la classifica del torneo:
Primo Victor, con 58 punti,
secondo Karimbad con 53,
terzo Won Lin uan con 46
quarto Piropulos con 43
quinto Yakowskj con 33
L’Indiano aveva quindi guadagnato in quell’ultima prova due punti rispetto a Victor,
il Cinese difendeva ancora il suo terzo posto, ma doveva fare attenzione al forte recupero del Greco, che nelle utlime due gare gli si era pericolosamente avvicinato.

Victor comunque restava saldamente in testa, quasi innavicinabile, se non a rischio di improbabili eclatanti defaillançes.
Ciò che gli confermò il suo Maestro Architagora, quando alla fine della prova si riunirono, insieme al cane Nuppo, tutto esultante per il suo amico-padrone.
Gli disse il Mago, mentre andavano verso il riposo: “ C’è anche la fortuna, ad influire e decidere banalmente sul fattore umano…ed oggi c’è stato chi sicuramente ha avuto assai più fortuna di te. In ogni caso ti sia di monito che solo alla fine della decima gara potrai essere sicuro del risultato !
Sino ad allora dovrai conservare ed impiegare il massimo impegno e la migliore concentrazione, anche ricercando in te stesso quello stato di grazia che sempre caratterizza le più grandi imprese”.

Fine della terza parte.

nonnorso






































































































































































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