mercoledì 24 agosto 2011

Le 10 prove del principe vittorioso 3^ Parte




LE 10 PROVE DEL PRINCIPE VITTORIOSO
3^ Parte
(a destra immagine della "torre dell'evasione")

La mattina del giorno dopo, il secondo del Torneo, iniziò con la migliore conferma: Victor era in testa alla grande, con 40 punti pieni, avendo vinto tutte e 4 le gare del giorno precedente !
Gli diede la notizia il Mago Architagora, sorridendo: era già uscito molto presto ed aveva saputo che l'esito delle ultime gare, conclusesi in ritardo la sera del giorno prima, confermava come migliori le prove del suo allievo.
Ma non c'era tempo per crogiolarsi sugli allori, il Torneo continuava e Victor era atteso ad una nuova prova, come al solito per primo essendo il primo in classifica.
Così si presentò davanti ai giudici di gara, nella grande sala del Castello reale, dove fù informato del tipo di prova che doveva affrontare, una gara davvero singolare: lo avrebbero rinchiuso in un alta dell'altissima torre del Castello da dove avrebbe dovuto cercare di evadere, nel minor tempo possibile. Era una prova difficilissima, resa tale da diversi ostacoli quasi insormontabili: la cella era chiusa da una porta blindata, guardata a vista esternamente da guardie armate, internamente aveva un'unica finestra, chiusa da un'inferriata, che si affacciava su di un baratro alto 30 metri !
La cella era stretta ed altissima, con il soffitto a ben 15 metri di altezza.
Dal soffitto pendeva, legata ad un anello là in cima, una fune che arrivava a toccare il pavimento, su cui posava un unico mobile, un pagliericcio per dormire.
C'erano anche il bugliolo ed una brocca d'acqua.
Il tempo a disposizione per evadere era di 24 ore e, come nelle altre gare, il vincitore, cioè chi avrebbe impiegato meno tempo ad evadere, prendeva 10 punti, 9 il secondo, 8 il terzo e così via. Chi entro le 24 ore non fosse riuscito a scappare dalla prigione non avrebbe preso alcun punto da quella prova.
Victor si rese subito conto che quella probabilmente sarebbe stata la prova più difficile del torneo !
Fù rinchiuso nella cella alle nove del mattino e guardò subito l'ombra della
luce sul pavimento per ricordarsi quando, la mattina del giorno dopo, sarebbero scadute le 24 ore.
Accanto alla sua c'erano altre 4 celle nelle quali erano stati rinchiusi contemporaneamente gli altri concorrenti, i primi 4 dopo di lui.
Il mattino dopo sarebbero subentrato gli altri 5, per la stessa prova.

Victor studiò con calma la situazione: guardò con estrema attenzione, respirando profondamente, ogni particolare della cella, anche il più insignificante, catalogandolo e memorizzandone ogni aspetto, cercando di farlo da ogni punto di vista, facendo contemporaneamente appello alla sua fantasia più fervida.
Risultato obbiettivo dell'analisi della situazione fù che l'evasione dalla porta sembrava da escludersi. Ma passare per la finestra presentava due problemi: l'inferriata, che occorreva scardinare, e l'altezza del baratro sottostante, che Victor non potendosi affacciare non era in grado di stimare. Per calarsi ci sarebbe voluta almeno
la fune che pendeva dal soffitto ? Ma come poi tirarla giù ?
Si, avrebbe agilmente potuto arrampicarvisi, fino al soffitto per poi staccarla da la in cima, ma allora non avrebbe potuto più usarla per ridiscendere !
Gli occorreva poi un attrezzo per tagliare la corda e per scardinare di l'inferriata: si guardò nuovamente intorno, ma non vide nulla utilizzabile a quello scopo.
Controllò il bugliolo e la brocca di ferro. Quest'ultima aveva un manico che, se fosse riuscito a staccarlo, poteva servire. Ma controllò anche il pagliericcio, sollevandolo e ribaltandolo: nulla da fare, tutto legno ad incastri, ma sorpresa ! Aveva una rete d'appoggio per il materasso formata da una solida fune, avviluppata a tornanti incrociati sul telaio del letto: poteva sicuramente essere utile, una volta tolta e messa in chiaro, per calarsi dalla finestra !
Bene, Victor cominciava a vedere delle soluzioni banali, ma forse utili ad un
buon esito della prova.
Al lavoro dunque ! Per prima cosa bisognava aprire un varco nella finestra, cioè scardinarne l’inferriata, perché pensare di tagliarne il ferro era assurdo: ci sarebbe voluta la lime che lui non aveva e molti giorni a disposizione !
Studiò per bene il perimetro di pietra su cui l’inferriata era fissata e capì subito che diverse di quelle vecchie pietre erano tenute insieme da miseri residui di calce crepata,
grattando via la quale si sarebbero facilmente staccate, consentendo allora di rimuovere l’inferriata, togliendola completamente dalla finestra.
Per fare quel lavoro Victor pensò di utilizzare l’unico attrezzo possibile, il manico di ferro della brocca dell’acqua, ma staccarlo non fù cosa rapida né facilissima.
Il manico era saldato al vaso per entrambe le estremità e con la sola forza delle mani
il giovane campione non riusciva; ma una volta ne avesse rotto un lato sapeva che staccarne l’altro sarebbe stato assai meno difficile.
Dopo svariati, inuti tentativi di forza, guardandosi più attentamente intorno notò un anello di ferro che sporgeva da una parete della cella, a circa un metro dal pavimento, probabilmente utilizzato per incatenarvi i prigionieri. Riflettè brevemente e tentò con quello: infilò l’ansa del manico della brocca sull’anello, saldamente fissato nel muro,
per poi girarvi intorno la brocca, impugnatala per le estremità, così da far leva contro l’anello. Dovetti spingere con tutte le sue forze, ripetendo più volte il tentativo perché il manico si torceva senza staccarsi dalla brocca, oppure scivolava via, fuori dall’anello. Ma dai e ridai trovò poi la tecnica migliore, spingendo la brocca contro il muro e poi ruotandola a strappi bruschi e violenti il manico divelse dal vaso e fù quindi assai più facile staccarlo poi completamente !
Ora Victor disponeva di una breve sbarra contorta, appuntita alle estremità dai traumi della rottura, e con quella iniziò subito a grattare intorno alla finestra le vecchie crepe di malta che tenevano insieme le pietre, nelle quali erano infisse le sbarre della grata.
Come lui aveva previsto quella calce era molto povera, invecchiata dal gelo e dalle infiltrazioni di umidità, quindi facile a screpolarsi, ma cinonostante gli ci volle mezza giornata per venirne a capo, anche perché per lavorare sul lato superiore della finestra dovette arrampicarsi sulla grata, rimanendovi scomodamente appeso.
Quando infine sentì la grata comiciare a muoversi sotto il suo peso, ne ridiscese ed appendendosi al lato inferiore lo divelse, facendo leva del suo corpo, puntando i piedi contro la base della finestra: l’inferriata si staccò completamente, abbattendosi sul davanzale, ma senza eccessivo clangore. Del resto Victor sapeva che le guardie all’esterno non avevo titolo ad entrare nella cella prima della scadenza delle 24 ore di durata della prova.
Victor si affacciò allora sul baratro sottostante e quasi rabbrividì constatandone la profondità: almeno 30 metri di salto !Per calarvisi non gli sarebbe certo bastata la fune che intrecciava il pagliericcio o quella che pendeva dal soffitto: aveva assolutamente bisogno di entrambe, tranne rischiare un salro pericolosissimo, di circa 15 metri, per cui sicuramente si sarebbe come minimo gravemente infortunato.
Cominciò quindi con lo svolgere la corda che intrecciava sotto il pagliericcio, e già mentre faceva quel lavoro pensava come avrebbe potuto recuperare l’altra fune, pendente dal gancio là in cima, sull’altissimo soffitto.
Non aveva ancora finito il lavoro sul pagliericcio che si aprì uno spioncino della porta blindata…,Victor abbassò velocemente il letto, a scanso di interferenze, ma era solo una guardia che lo chiamava per la consegna del suo pranzo di prigioniero: un pane di crusca, del manzo bollito ed una mela, che mise da parte per tornare a svolgere la corda del pagliericcio. Come l’ebbe recuperata subito la calò dalla finestra per capire
fin dove scendesse, ma ebbe la conferma che non arrivava oltre la metà dell’alto dirupo. Occorreva assolutamente recuperare anche la fune pendente dal soffitto !
Victor si sedette sul pagliericcio, ormai afflosciato sul pavimento perché privo di sostegno, per consumare il suo pasto, cercando di farlo con calma e serenità, mentre tuttavia già rifletteva sul nuovo problema: come recuperare quell’altra fune.
Erano ormai trascorse oltre quattro ore da quando era stato rinchiuso nella cella per la quinta prova del torneo e ne aveva altre venti a disposizione per l’evasione, ma
non intendeva certamente usarle tutte, anzi !
Masticava tuttavia lentamente il suo cibo, mentre pensava ad una soluzione.
Salire là in cima, arrampicandosi sulla fune, non era certo un problema per lui.
Lo era invece ridiscendere, affrontando un salto di 15 metri, avendo necessariamente staccato la corda dall’anello prima di poterla usare di nuovo per calarsi al suolo.
Victor provò ad immaginare l’azione: lui che saliva…, ma anche solo per sciogliere la corda dall’anello doveva avere un altro sostegno, perché restando a quella sopesa l’avrebbe mantenuta in tensione, condizione che non gli avrebbe permesso di allentarne i nodi…Appendersi all’anello, sì era teoricamente possibile, ma quanto avrebbe resistito con una mano sola, mentre con l’altra tentava di sciogliere i nodi ?
No, gli occorrevano entrambe le mani e per averle disponibili doveva sostenersi con la fune avvolta sulle gambe…Certo, questo era possibile, ma poi, sciolti i nodi…, ecco !
Si avrebbe fatto scorrere la fune nell’anello, ridiscendendo appeso a quella doppiata, ma gli sarebbero rimasti infine, calcolando anche la lunghezza del suo corpo con le braccia appese, oltre 5 metri di salto, cioè una misura possibile, ma non esente da rischi !
Se cadendo da quella pur minore altezza si fosse anche solo slogata una caviglia,come avrebbe poi potuto sostenere al meglio le altre 5 prove del torneo, alcune delle quali sicuramente avrebbero richiesta la massima integrità fisica ?
Ma mentre addentava un altro boccone di cibo gli balenò la soluzione e si diede una manata di rimprovero sulla fronte: come non ci aveva pensato subito !
Lui aveva anche la corda recuperata dal pagliericcio, che aveva calcolata utile per completare la discesa nel dirupo, ma poteva benissimo servire al recupero della fune, quella pendente dal soffitto !
Risolse anche che anziche sciogliere i nodi sarebbe stato assai più pratico e veloce tagliare la fune. Non avendo un coltello poteva utilizzare il manico di ferro della brocca che già gli era ben servito per scardinare le pietre dell’inferriata: una delle estremità era sufficientemente aguzza per poter tagliare un canapo.
Ora gli era tutto chiaro: Victor capì che sarebbe evaso entro al massimo un’ora.
Finì tranquillamente i suo pasto, bevve un po’ d’acqua dalla brocca, poi si avvolse intorno alla vita il canapo recuperato dal telaio del letto ed in neppure mezzo minuto
risalì arrampicandovisi la fune appesa al soffitto. Arrivato in cima si appese con entrambe le mani all’anello, sollevandosi il più possibile, così d’aver agio per avviluppar bene le gambe intorno alla fune, in modo da potervi rimanere appeso solo con quelle. Scolse quindi l’altro canapo che recava intorno alla vita, ne lasciò cadere un capo verso terra e passò l’altro attraverso l’anello, per po annodarlo allestremità superiore dell’altra fune, su cui si trovava appeso, subito sotto l’anello. Al quale di nuovo si appese con le braccia, con le quali tornò a sollevarsi per poter liberare le gambe dalla corda per poi aggrapparle intorno ad entrambe le funi, che pendevano ora tutte e due dall’anello. Estrasse quindi dalla tasca il ferro tagliente che era stato manico della brocca e con la punta aguzza di quello cominciò a scalfire la fune che aveva utilizzato per salire sin lassù. Dovette lavorare per alcuni minuti, perché la fune era grossa e robusta ed il ferro che utilizzava non era esattamente un coltello…
Ma alla fine, recidendo con pazienza ogni singolo cavetto ritorto a più capi che formava quel canapo riuscì a tgaliarlo tutto.
Il risultato fù che egli era ora appeso ad una doppia fune, che passava libera e non più annodata attraverso l’anello, che formata da due funi di lunghezza più o meno uguale, calate sino al pavimento della cella, o quasi.
Victor allora potè ridiscendere appeso a quella doppia corda e quando fù giunto al suolo potè recuperarla, tirando il capo su cui aveva fatto il nodo di congiunzione in modo che non avesse ad incattivirsi scorrendo nell’anello.
Tutta la fune in fine cadde ai suoi piedi, disponibile per la discesa nel baratro.
Victor subito ne legò un estremità all’inferriata divelta, saldamente incastrata contro un angolo della finestra ormai aperta, e butto in basso tutta la fune.
Affaciatosi a controllare vide che giungeva a forse neppure 3 metri dal fondo del baratro. Superò allora decisamente il parapetto e si calò veloce lungo la parete della torre e poi della roccia verticale su cui essa poggiava: dopo pochi secondi, con un breve salto di due metri, ne fù subito alla base.
Girò allora intorno al castello, correndo con passo leggero verso l’entrata principale, che varcò sorridente per presentarsi davanti ai giudici di gara, che con evidente sorpresa registrarono il suo tempo di evasione: 4 ore e 47 minuti contro le 24 rese
Disponibili !
Dovettero poi trascorrere altre 6 ore prima che arrivasse il succesivo “evaso”, l’Indiano Karimbad, probabile secondo classificato della prova, che si sarebbe tuttavia conclusa solo al termine del giorno successivo, quando fosse terminato il turno successivo, che vedeva impegnati gli altri 5 concorrenti.

Ma alla fine solo in 4 riuscirono ad evadere dalla torre nel termine massimo delle 24 ore, e naturalmente Victor risultò ancora il vincitore, davanti a Karimbad e Won Lin Uan. Yakowskj, quarto nella classifico generale non aveva superato la prova, mentre c’era riuscito Piropulos, un greco Ateniese, che con quella prova era risalito nella classifica generale, superando Yakowskj.
Dopo la quinta prova, a metà torneo, questa era la classifica.
1° Victor con 50 punti !
2° Karimbad, 43 punti
3° Won Lin Uan 39
4° Piropulos 34 punti
5° Yakoswkj 27 punti (zero punti per la mancata evasione !).

(immagine tratta dalla "Tomba del tuffatore", Paestum 48o a.c.)

Ma prima ancora che quella lunga prova finisse, Victor dovette già affrontare la
sesta gara, una difficile immersione in apnea.
Avendo a disposizione solo 20 minuti di tempo, occorreva recuperare in fondo al mare antistante il Castello reale, una pesante anfora sommersa tra gli scogli, a 30 metri di profondità.
Sopra la zona di mare in cui si trovava sprofondata l’anfora c’era una zattera galleggiante, ben ferma perché ancorata al fondale. Partendo da quella bisognava immergersi in apnea, cercare l’anfora nell’abisso e trovatala, riportarla in superfice con l’aiuto di una lunga fune che si trovava arrotolata sulla zattera.
Il peso del reperto era tale che non era pensabile di riportarla in superficie nuotando.
Nei venti minuti era compreso anche il tempo che i concorrenti avrebbero impiegato per raggiungere a nuoto la zattera, posta a circa 200 metri da riva. !
Al via Victor partì con lunghe bracciate rilassate, lente ma potenti, respirando profondamente ad ogni bracciata: sapeva che doveva far presto, ma senza bruciare
troppo ossigeno, che gli sarebbe poi servito per l’immersione, che ne richiedeva tantissimo ! Raggiunse la zattera in circa 3 minuti e vi salì con calma, già facendo lunghi respiri di iperventilazione, come tante volte aveva già fatto, per immersioni in apnea guidate dal suo maestro Architagora.
In piedi sulla zattera considerò la fune: aveva tre alternative, portarla con se nell’abisso, legarvi ad un capo l’anfora quando l’avesse trovata e poi risalire con in mano l’altro capo, utile per il successivo recupero; legarne un capo alla zattera e portare con se durante la ricerca in apnea l’altro capo, cui legare l’anfora; lasciar pendere la fune legata in alto, sotto la zattera, per utilizzarla quando avesse ritrovato l’anfora. Per ogni alternativa esistevano pro e contro, che Victor analizzò rapidissimo già mentre ne considerava ognuna: non c’era tempo per lunghe riflessioni !
Scelse la terza alternativa: legò un capo della fune alla zattera e l’altro intorno alla propria vita, ed allo scadere dei primi sei minuti Victor si tuffò, dopo aver fatto un ultimo lunghissimo, profondo respiro.
Con lunghi, lenti movimenti di braccia e gambe, scese nella profondità marina:
L’acqua era molto trasparente per cui subito vide il fondale sassoso, disseminato di grandi pietroni, mentre già faceva la prima “compensazione”, sui 5 – 6 metri, dove era giunto senza sforzo, sulla spinta del tuffo.
Per scendere a quella profondità era indispensabile compensare, tecnica che gli aveva assai bel insegnato il Mago suo maestro, che consisteva sia nel deglutire a vuoto, come si volesse ingoiare la propria lingua…, sia nel soffiare forte a bocca chiusa contro le narici strettamente tappate dalle dita di una mano.
Ciò per evitare il dolore e perfino la rottura dei timpani dell orecchie, sottoposti alla pressione dell’acqua, che aumentando la profondità d’immersione, sarebbe divenuta insopportabile se non “compensata” da un aumento della pressione interna !
Victor continuò a scendere scrutando il fondale, con movimenti sempre lunghi e lenti, ma molto efficaci, che in pochi secondi lo spinsero infondo a quel mare, tra scogli e massi. Slegò allora la fune intorno alla sua vita, velocemente legandone poi il capo pendente allo spuntone di uno scoglio. Guardando in alto si scorgeva benissimo il piccolo, nero quadrato della zattera là in cima, in superfice, ma la fune pendente sarebbe stato un altro ottimo riferimento.
A quel punto era passato neppure mezzo minuto e Victor sapeva di averne a disposizione almeno altri due per la sua apnea attiva. A quella profondità inoltre il bisogno di respirare era assai meno avvertito: la pressione di tutta l’acqua soprastante sul suo torace, riducendo il volume dei polmoni e concentrandone l’ossigeno presente,
gli impediva di sentire la fame d’aria, che avrebbe poi invece parossisticamente provata risalendo, soprattutto negli ultimi metri, prima di riemergere, con la dilatazione dei polmoni ormai privi di ossigeno !
Victor iniziò a nuotare in mezzo a scogli e pietroni, in economia di movimenti, ma
con estrema attenzione, cercando con gli occhi ogni possibile indizio.
Si muoveva in maniera concentrica, partendo dalla base sotto la zattera, da cui pendeva la fune, in cerchi via, via più ampi, sapendo di avere disponibili non più di due minuti, calcolando anche il tempo che avrebbe poi impiegato per imbragare l’anfora alla fune ed infine risalire in superfice.
Sapeva anche che un secondo tentativo sarebbe stato molto aleatorio, richiedendo un adeguato recupero di ossigeno in superfice, con un’iperventilazione più lunga, necessario anche per eliminare le tossine accumulate nello sforzo precedente.
Perciò si mosse con la massima attenzione ed economia di movimento, scrutando
ogni angolo, ogni anfratto, ogni buca. Ma il tempo inesorabilmente trascorreva, i suoi giri, sempre più ampi, lo avevano ormai allontanato di circa 20 metri dalla verticale della zattera e cominciava a sentire carenza d’ossigeno nel suo corpo…

Victor capì che i due minuti operativi disponibili erano già passati e poteva essere pericoloso insistere, rischiando anche l’esito di una successiva prova d’immersione.
Decise quindi malvolentieri di ritornare verso la fune, già risalendo verso la superfice.
Ma nel superare uno scoglio sottostante, mentre nuotava ormai a 5 metri dal fondale, la vide, la maledetta anfora ! Era seminascosta nell’ombra, alla base di quello scoglio, leggermente inghiaiata sul fondale…La tentazione di ridiscendere immediatamente per recuperarla fù enorme e Victor dovette appellarsi a tutto il suo buon senso per non farlo: prolungare l’apnea a quel punto era assolutamente troppo rischioso !
Dopo un attimo d’esitazione riprese dunque a risalire, ma fissandosi con estrema attenzione nella mente la posizione del reperto, le coordinate del sito in cui l’anfora era posata in fondo a quell’abisso. Prese come riferimento almeno tre punti cospiqui:
la fune pendente sul fondo, un grosso pietrone di forma tondeggiante ed un aguzzo scoglio appuntito, dai rossi riflessi, probabilmente corallini.
Riemerse infine, inalando voracemente l’aria di superfice, allo scadere del quarto minuto di apnea attiva, il decimo minuto dall’inizio della prova, però a mani vuote, seguito dal mormorio dei molti suoi tifosi presenti per assistere anche a quella prova.
Victor non sprecò energie per risalire sulla zattera, ma vi rimase appeso mentre faceva accurati esercizi di respirazione, per smaltire le tossine e ricaricare di ossigeno i suoi polmoni. Terminò con un’iperventilazione forzata, trattenendosi dalla fretta di ridiscendere prima, cercando di dimenticare l’ossessione del tempo che continuava a passare. Lo rincuorava il fatto che ora sarebbe stato assai più rapido, sapendo già dove trovare l’anfora. Sforò così i quindici minuti sui venti disponibili per la prova, mentre da riva e dalle barche circostante gli gridavano ormai in crescendo di muoversi, che il tempo si avviava a scadere !
Con un’agile capriola Victor tornò ad immergersi, scendendo però sulla verticale della fune: aveva deciso di recuperarne il capo sul fondo, privo di alcun peso, per portarlo verso l’anfora, sicuramente assai più pesante da spostare.
Sciolse il capo della fune che la legava allo spuntone di uno scoglio e subito riparti
con quello in direzione dell’anfora, che ritrovò senza esitazioni.
Faticò un po’ per sbloccarla dal ghiaione sul fondale, ma presto l’ebbe imbragata e potè immediatamente risalire verso la zattera, su cui risalì poco dopo un minuto dall’inizio di questa ultima immersione: aveva a disposizione quasi 4 minuti ancora.
Ma di nuovo senza fretta, con lenti e delicati movimenti, recuperò la fune, dalla quale l’anfora avrebbe potuto staccarsi se eccessivamente scossa o strattonata per la fretta di recuperarla.
Il reperto infine emerse dal mare e fù da Victor caricato sulla zattera, allo scadere del diciottesimo minuto disponibile, tra le urla di approvazione dei molti presenti !

Fù poi la volta del principe Indiano Karimbad, secondo nella classifica generale, grande apneista grazie ad una sviluppatissima capacità pomonare ed ancor maggiore facoltà di concentrazione, entrambe derivategli da molti anni di assidui esercizi di Yoga, in particolare delle tecniche dello pranhayama . Era anche un abile nuotatore e presto raggiunse la zattera, su cui salì per poi eseguire esercizi di preparazione ancor più prolungati di quelli che aveva fatto Victor.
Soltanto allo scadere del nono minuto Karimbad s’immerse, portando con se, annodata intorno alla vite, la fune per il recupero dell’anfora.
Tutto ciò significava chiaramente l’intenzione dell’Indiano di tentare il tutto per tutto in un’unica prima immersione.
Che fù lunghissima: Karimbad non era ancora riemerso dopo ben cinque minuti di apnea, quando su ordine dei giudici di gara si immersero alcuni tuffatori per controllare se non fosse stato in pericolo di vita !
Soltanto allo scadere del 15esimo minuto, dopo ben sei minuti di apnea attiva,
il principe Indiano tornò a galla, riprese fiato con calma e gli occorse almeno un minuto per recuperare le forze necessarie per risalire sulla zattera, ma aveva con se la fune ed iniziò a tirarla, via, via recuperandola con circospezione, finchè dall’acqua emerse l’anfora, prima ancora dello scadere del 17esimo minuto…
Era accaduto un fatto nuovo: per la prima volta dopo 5 prove Victor non aveva vinto, ma era stato battuto !
E alla fine della gara risultò che anche Piropulos aveva fatto meglio di lui, seppure di pochi secondi: il Greco, ottimo atleta, gran nuotatore ed eccezionale apneista, era stato fortunato, arrivando sul fondale già con il giusto orientamento per incocciare l’anfora ! Riuscì quindi a recuperarla alla prima immersione, ed avrebbe sicuramente vinto la prova se non avesse pasticciato nel recupero: nella fretta di concludere era stato approssimativo nell’imbragarla e trascurato nel tirarla su, per cui la perse e dovette ridiscendere per recuperarla di nuovo !
Se non fosse stato per quello avrebbe stravinto la prova !
Così Victor fù solo terzo, dopo Karimbad e Piropulos, davanti a Won Lin Uan e Yakowskj: in totale furono solo 5 i concorrenti a superare la prova.
Gli altri 5 non riuscirono a concluderla, oppure lo fecero fuori tempo massimo.
Coì era a quel punto, dopo sei gare la classifica del torneo:
Primo Victor, con 58 punti,
secondo Karimbad con 53,
terzo Won Lin uan con 46
quarto Piropulos con 43
quinto Yakowskj con 33
L’Indiano aveva quindi guadagnato in quell’ultima prova due punti rispetto a Victor,
il Cinese difendeva ancora il suo terzo posto, ma doveva fare attenzione al forte recupero del Greco, che nelle utlime due gare gli si era pericolosamente avvicinato.

Victor comunque restava saldamente in testa, quasi innavicinabile, se non a rischio di improbabili eclatanti defaillançes.
Ciò che gli confermò il suo Maestro Architagora, quando alla fine della prova si riunirono, insieme al cane Nuppo, tutto esultante per il suo amico-padrone.
Gli disse il Mago, mentre andavano verso il riposo: “ C’è anche la fortuna, ad influire e decidere banalmente sul fattore umano…ed oggi c’è stato chi sicuramente ha avuto assai più fortuna di te. In ogni caso ti sia di monito che solo alla fine della decima gara potrai essere sicuro del risultato !
Sino ad allora dovrai conservare ed impiegare il massimo impegno e la migliore concentrazione, anche ricercando in te stesso quello stato di grazia che sempre caratterizza le più grandi imprese”.

Fine della terza parte.

nonnorso






































































































































































lunedì 15 agosto 2011

Le 10 prove del Principe vittorioso 2^P.


LE 10 PROVE DEL PRINCIPE VITTORIOSO
Seconda parte.
(a lato: il Discobolo di Mirone 455 a.c.)

E infine iniziò il torneo.
Nella mattinata, nella grande piazza d’armi del Castello, un enorme prato perfettamente rasato, ci fù la presentazione dei concorrenti al Re Imperatore ed alla Principessa Monia, la sua bellissima figlia, la cui mano avrebbe potuto essere il premio per il vincitore del torneo.
Le grandi tribune intorno al campo di gara erano strapiene di spettatori: gran parte dei cittadini di Metropolia erano venuti asassistere al torneo.
Il punteggio funzionava così : per ogni gara veniva fatta la classifica, dal primo al decimo posto. Il primo classificato prendeva 10 punti, il secondo nove, il terzo otto e così via, fino al decimo cui toccava un solo punto.
Alla fine delle 10 gare si sarebbero fatte le somme ed avrebbe vinto il concorrente che avesse totalizzato più punti.
10 gare, 10 concorrenti, 10 punti. Un concorrente che avesse vinto tutte le gare avrebbe totalizzato 100 punti !
Ed ecco finalmente fù rivelata la prima gara: molto semplicemente era una gara di massima velocità nella corsa breve, cioè l’attraverasata della piazza, lunga circa 100 metri. I 10 concorrenti furono allineati ad una estremità del percorso, dietro una bianca riga di gesso tracciata sull’erba. Il traguardo era dalla parte opposta, oltre un’altra riga bianca, dove erano anche i giudici di gara per stabilire la classifica.
Victor fece diversi esercizi per riscaldarsi i muscoli dopo che il Mago glieli ebbe ben massaggiati. Architagora gli raccomandò la massima prontezza nello scatto e di spingere al massimo, ma restando col corpo inclinato in avanti per i primi 40 metri, curando soprattutto la rapidità di frequenza dei passi, per poi allungare progressivamente le falcate, curando molto la spinta dei piedi e distendendosi con movimenti sempre potenti ma sciolti nella seconda metà del percorso.
Al suono della tromba che dava il via Victor scattò, partendo tra i primi, poi le rapidissime spinte dei suoi piedi furono tali da sollevare dietro di lui ciuffi d’erba e perfino frammenti di terra ( ma ciò era dovuto anche ad un trucco ideato dal Mago, che gli aveva preparato, per quel tipo di corsa, delle scarpe con minuscoli chiodi, che spuntavano appena dalle suole, così che le sue spinte poderose non scivolassero sul terreno, rendendo così al massimo…).
A metà gara Victor era tuttavia terzo, superato di soli pochi centimetri dal Cinese Won Lin Uan e dal polacco Yakowskj, entrambi dal fisico molto possente, in grado di ottenere il massimo in accelerazione.
Ma poi, progressivamente Victor si allungò, con falcate armoniose, quasi senza sforzo, raggiungendo i due avversari ed infine superandoli, se pur di poco, sulla linea del traguardo. La stessa cosa aveva fatto anche il principe Indiano Karimbad, che riuscì a superare il polacco, ma non il Cinese: Victor aveva vinto la prima gara !
Secondo era Won Lin Uan, terzo Karimbad, quarto Yakowskj e poi gli altri, a seguire.
Così Victor aveva guadagnato i suoi primi 10 punti, tra gli applausi e le grida della gran folla presente. I primi 3 arrivati furono allora accompagnati davanti al palco del Re Imperatore, che insieme alla sua bellissima figlia si congratulò con loro, spronandoli a continuare così per le gare successive.
La Principessa Monia, vista da vicino era davvero una bellissima ragazza, i lunghi capelli ondulati, morbidi come la seta, i grandi occhi limpidi sottolineati da lunghe ciglia vibranti, le leggiadre forme del corpo sinuoso, le labbra carnose dal sorriso luminoso…
Ma fù poi già tempo per la seconda prova, annunciata a gran voce dal banditore, per spiegarla sia ai concorrenti che al pubblico: ai limiti del grande campo di gare c’era un laghetto dall’acqua profonda, oltre il quale terminava un boschetto di piante di bambù. Sul bordo del laghetto, ai margini del prato, era stata montata una sorta di porta, fatta giusto con le canne di bambù, alta circa 4 metri. La seconda prova consisteva nel superare quella porta, saltandola e senza farla cadere !
I concorrenti, precisò il banditore, per riuscirci potevano usare solamente ciò che avessero trovato nel perimetro del campo, ma senza farsi aiutare da nessuno.
Avrebbe vinto chi fosse riuscito a “saltare” quella porta nel minor tempo possibile, avendo a disposizione soltanto 10 minuti per farlo. Chi non fosse riuscito avrebbe potuto riprovare in turni successivi, con la porta via via abassata, ogni volta di 20 centimetri.
Ma per evitare di avantaggiare i concorrenti con l’esperienza di chi li aveva preceduti, tutti sarebbero stati rinchiusi negli spogliatoi e da li richiamati, uno alla volta per il suo turno.
Era una prova di agilità, di forza, ma che richiedeva soprattutto inventiva, fantasia creativa per soluzioni “tecniche”. Victor superò rapidamente la perplessità per quella difficilissima prova, ricordando alcuni dei tantissimi esercizi e problemi che il Mago Architagora gli aveva dato da risolvere. Guardò allora verso il Mago, che era lontano, tra la folla del pibblico, gli fece alcuni rapidi segni e lui assentì vigorosamente con il capo, sorridendo.
La regola del Torneo prevedeva che il concorrente in testa fosse il primo a tentare ogni prova successiva, seguito dal secondo, poi dal terzo e così via, sino al decimo.
Ciò era uno svantaggio per i primi, perché non dava tempo per prepararsi mentalmente alla gara, di studiare possibili soluzioni. Del resto permetteva anche di evitare la tensione, il nervosismo dell’attesa.
Toccò quindi subito a Victor, che scese in campo, andò subito davanti alla porta per valutarne meglio l’altezza e controllò la consistenza del prato davanti ad essa, cui cui effettuare un’eventuale rincorsa. Andò poi decisamente da una delle guardie armate che circondavano il campo di gara ai suoi limiti e gli chiese la sua spada.
Il guardiano rimase perlplesso, ma Victor, per non perdere tempo, si rivolse ai giudici di gara, ricordando la regola del concorso appena annunciata, per cui si poteva utilizzare tutto ciò che era presente nel perimetro del campo.
I giudici parlottarono brevemente tra di loro per confermare infine che si, Victor poteva avere la spada..Avutala il giovane corse davanti alla porta del salto e vi scavò, poco prima della base, una piccola buca, compattandola poi bene con il piede.
Corse allora al boschetto di bambù e scelse accuratamente una canna ben dritta, non troppo grossa ma neppure sottile, lunga circa 5 metri e la tagliò alla base.
Con quella in mano, bilanciandola bene mentre correva, tornò sotto la porta del salto, piazzò un’estremità della lunga canna nella piccola buca e provò poi a spingervela dentro stando all’estremità opposta. Spinse diverse volte, flettendo leggermento il palo di bambù e sollevandolo sopra la sua testa.
Guardò poi il grande orologio sopra le tribune gremite di folla: erano già passati quasi tre minuti, gliene restavano sette per superare la prova.
Partendo allora dalla base della porta, in direzione opposta al laghetto che si trovava subito dopo di quella, contò 40 lunghi passi, bilanciando sempre tra le braccia la lunga pertica di bambù. Giunto a 40 passi si girò, guardò attentamente la sommità della porta da superare, quasi a studiarne l’altezza, poi partì in una veloce, progressiva rincorsa verso l’altissimo ostacolo, tenendo tra le mani, di fianco e leggermente inclinato verso l’alto, il bambù.
Giunto davanti alla porta alla massima velocità, abbassò la canna piantandola nella buca, facendo il massimo sforzo per rimanervi appeso dall’altra parte, mentre quel palo di bambù si alzava, leggermente arcuato sotto la spinta del peso del giovane atleta, che fù proiettato in alto dallo slancio, volò su, fino all’altezza massima dell’ostacolo, mentre la folla urlava come impazzita: nessuno aveva mai visto né immaginato un esercizio del genere !
Ma giunto all’esaurimento della spinta Victor, pur essendo a quel punto perfino più in alto dell’ostacolo, non aveva più spinta per riuscire a superarlo, ad andare oltre per tuffarsi nell’acqua del laghetto, come era unicamente possibile fare.
Ricadde quindi all’indietro e fù molto attento a non farsi male, da quell’altezza !
Erano passati più di 5 minuti, il tempo stringeva, ma Victor mantenne tutta la calma necessaria per tentare di nuovo, al meglio della concentrazione.
Tornò a misurare i 40 lunghi passi della rincorsa e poi, mentre faceva alcuni profondi respiri, si girò verso il mago lontano, tra la folla, che gli fece un breve gesto con le mani. Victor capì, ed aggiustò allora l’impugnatura del bambù, più in basso di circa un piede: aveva capito che nella posizione precedente, più alta, avrebbe esaurito tutta la spinta verso l’alto, prima di riuscire a superare l’ostacolo, come gli era pocanzi accaduto. Tornò a concentrarsi sulla sommità dell’ostacolo poi partì, velocissimo, in una crescente, rapida frequenza di falcate, ma sempre sciolto ed agile.
Imbucò con forza il bambù alla base della porta e poi volò in alto, appeso alla sua estremità, come aveva già fatto prima. Ma questa volta, arrivato all’altezza della traversa superiore aveva ancora spinta sufficiente per buttarsi oltre quella senza toccarla, volando nel sottostante laghetto, con un tuffo magistrale !
La prova era superata ! Il mago guardò l’orologio: erano passati otto dei dieci minuti disponibili. La folla urlava come impazzita gridando ripetutamente il nome di Victor !
Che risalì grondante dall’acqua, si asciugò e andò a ritirarsi nella zona del riposo, ai margini del campo.
Ma fece allora un grande errore, che avrebbe potuto costargli la vittoria in quella gara: dimenticò sul campo, accanto alla base della porta ostacolo, l’asta di bambù che gli aveva permesso di superarla ! Che diventava così un preciso, formidabile riferimento per il concorrente successivo: la chiave fondamentale per la soluzione del problema di come superare quell’altissimo ostacolo !
Anche la piccola buca alla base era un chiaro indizio, avrebbe dovuto nasconderla ricoprendola e compattandola.
Il Mago se ne rese subito conto e cercò di attirare l’attenzione di Victor per fargli dei segnali, ma lui era beatamente distratto dall’euforia dell’ottimo risultato e non fece attenzione al Mago.
Poi fù comunque troppo tardi, perché venne il concorrente successivo, il Cinese Mandarino Won Lin Uan, che grazie ai chiari segnali, involontariamente lasciati da Victor sul campo, in pochi minuti capì come si poteva superare il difficile ostacolo. Ma per fortuna la tecnica di salto del Cinese lasciava a desiderare: o impugnava troppo alto, o sollevava il pendolo del suo corpo sull’asta troppo in anticipo, oppure era in ritardo…fatto è che allo scadere dei 10 minuti disponibili, pur avendo tentato tre salti non era riuscito ad andare oltre l’ostacolo, passando così al turno successivo.
Peggio fù per i concorrenti che seguivano, perché il Cinese non fece l’errore di Victor: nascose per bene l’asta ai limiti del campo, e riempì per bene la fossetta d’imbucata, compattandola poi con l’erba.
Nessuno riuscì a saltare al primo turno, al termine del quale fù allora chiaro che anche quella gara era stata vinta da Victor, che ora vantava punteggio pieno: 20 punti !
Al secondo turno la porta fù abbassata a 3,80 cm., e solo il Cinese, che ormai aveva imparato la tecnica, riuscì a superarla, ma allo scadere dei suoi dieci minuti di tempo. Tutti gli altri dovettero passare al terzo turno, con la porta scesa a 3,60 cm., e solo allora alcuni riuscirono a saltarla, avendo finalmente realizzato quale tecnica adottare. Ma la maggior parte dovette passare a diversi turni successivi per poter infine riuscire. L’ultimo concorrente saltò infine l’ostacolo, abbassato ormai a 180 cm., senza l’aiuto di alcun attrezzo, solo con la spinta delle sue gambe !

Questa prova fù nel complesso talmente lunga che si concluse solo quando era ormai sera, alla luce di fiaccole e lampioni. Ma nel frattempo i Giudici del Torneo avevano deciso di iniziare nel frattempo la terza gara, sottoponendovi quei concorrenti che, come Victor avevano già terminato la seconda.
La terza prova consisteva nel risolvere un problema di logica matematica, applicata alla fisica di base, e fù Victor il primo a doverla affrontare.
In una grande sala del Castello Reale, alla presenza di un pubblico selezionato in grado di apprezzare quel tipo di gara, i Giudici del Torneo posero a Victor questo problema d’esame:
“Tre ladri stanno fuggendo in barca, con una cassa piena d’oro, sul lago artificiale che circonda il Castello, inseguiti da un'altra barca con a bordo le guardie.
La barca dei ladri, appesantita dal peso dell’oro, è più lenta e rischia di essere presto raggiunta da quella delle guardie. Uno dei ladri dice che sarebbe meglio buttare in acqua la cassa dell’oro, per alleggerire la barca e renderla più veloce, recuperando così la velocità necessaria per fuggire e ritornare poi di nascosto a recuperare il tesoro.
Ma il secondo ladro dice che buttare la cassa nel lago potrebbe essere molto pericoloso: l’ingombro della cassa affondata nell’acqua potrebbe infatti alzare il livello dell’acqua, che tocca già l’orlo della diga che forma il lago, così da provocare una cascata erosiva che potrebbe far crollare l’ormai vecchia e debole diga ! Se ciò accadesse finirebbero tutti risucchiati e travolti nel disastro del crollo !
Il terzo ladro, dopo aver riflettuto qualche secondo, dice la sua: per me non succede niente di tutto questo, anzi: se buttiamo la cassa con l’oro nel lago il livello dell’acqua diminuirà !
Nel frattempo la barca con le guardie è sempre più vicina, non c’è tempo per altre chiacchere, bisogna prendere una decisione ! Quale: buttare la cassa nel lago o mantenerla a bordo, sulla barca ?”

Questo il problema della terza prova. Finito di leggerlo, il Capo dei Giudici ricordò a Victor che aveva 10 minuti per dare la sua risposta.
Il ragazzo sorrise tranquillo: per lui la domanda era sin troppo facile !
Quante volte il suo Maestro, il Mago Architagora gli aveva dato da risolvere problemini di Fisica come quello…, comunque molto simili !
Rispose quindi immediatamente: “Ha ragione il terzo ladro: buttando la cassa con l’oro nell’acqua il livello del lago si abbasserà”.
I giudici lo guardarono sbalorditi: non erano ancora passati 10 secondi dei 10 minuti disponibili e quel concorrente aveva già dato la risposta, ed era quella giusta !
Ripresosi anche lui dallo stupore, il Capo dei Giudici gli disse allora:
“Bravo, la risposta è esatta ! Ma sai spiegarmi il perché di questo strano fenomeno ?” “Certamente” Rispose Victor: “E’ una questione di Massa, cioè di Peso Specifico delle cose, ossia di peso per l’unità di volume. La barca ad esempio ha un peso specifico inferiore a quello dell’acqua, altrimenti non galleggerebbe, mentre l’oro ha un peso specifico molto supeiore, almeno 4 o 5 volte quello dell’acqua, ed è perciò che va subito, velocemente a fondo. Fintanto che l’oro resta a bordo il suo gran peso viene ben sopportato dal notevole volume della barca, alzandone però il livello della linea di galleggiamento: con lo scafo più immerso la barca è quindi più lenta perché per avanzare deve spostare una maggior quantità d’acqua.
Buttando in acqua la cassa con l’oro il livello della barca si alzerà fuori dall’acqua per un volume assai maggiore di quello della cassa, proporzionato al suo maggior peso specifico di quella, quindi il livello del lago diminuirà.”*
*(v. chiarimento alla fine del racconto)
La risposta fù così completa ed esauriente: “Bravissimo, disse a Victor il Capo dei Giudici” mentre tutti nella grande sala scoppiavano in un fragoroso, frenetico applauso per l’esito della prova di quello che si dimostrava essere un grande Campione, il probabile vincitore del Torneo !
Victor tornò quindi nell’enorme campo di gara all’ aperto, dove il gran pubblico presente, informato della sua prestazione nella terza prova, urlava ed applaudiva forsennatamente per il suo risultato.

E intanto, mentre continuava la gara del salto della porta, con i concorrenti ormai giunti al terzo turno, Victor dovette affrontare, sempre per primo, la sua quarta prova: il lancio del disco. Era questa una prova semplice, banalmente classica, che si diceva risalisse ai tempi degli antichi Greci. Tuttavia era importante svolgerla al meglio per raggiungere il massimo punteggio possibile.
La zona di lancio era una piattaforma di pietra di 2 metri di lato, sita all’estremità del campo opposta a quella dove si svolgeva la prova di valicamento della porta che Victor aveva già brillantemente superata.
Era apparentemente una prova più di forza che di agilità: vi risultavano infatti tradizionalmente favoriti gli atleti più massicci, più forti, di taglia maggiore alla media. Victor era forte e prestante, fisicamente ben dotato, ma tra i concorrenti al torneo c’era sicuramente chi era prestante più di lui, superandolo in altezza, peso e masse muscolari.
Ma Victor aveva ben imparato dal Mago suo Maestro che più della “quantità” era la “qualità” che contava ! Conosceva bene la grande importanza dell’agilità, dell’intelligenza dei movimenti e della loro velocità d’esecuzione.
Il Mago si era perfino spinto ad anticipargli una semplice ma fondamentale formula della fisica che di lì a qualche secolo avrebbe rivoluzionato il mondo della scienza:
l’Energia è uguale al prodotto della Massa per il quadrato della Velocità*.
**( v. spiegazione al termine del racconto)
Che vuole semplicemente significare come per determinare la “forza” sia molto più importante la “velocità” che non la “massa”. Per cui ad esempio, un atleta assai più veloce può batterne uno più pesante in un’azione di forza !
Per non parlare poi dell’importanza dell’abilità con cui viene svolto il movimento atletico.
Victor si trovava ora ad affrontare i suoi avversari più temibili, i pochi che erano finora riusciti a saltare la grande porta: Won Lin Uan, Karimbad e Jakoswky.
E purtroppo anche questa volta aveva il vantaggio di essere il primo, di poter quindi suggerire involontariamente ai suoi avversari eventuali tecniche di lancio migliori.
La gara prevedeva solo due prove di lancio a disposizione dei concorrenti, che si sarebbero succeduti l’un l’altro dopo ogni prova.
Victor entro in pedana, raccolse il disco di pietra, liscio e pesante, lo soppesò attentamente tra le mani, poi si avvicinò al limite del quadrato di lancio verso il prato dondolando tra le mani la pesante pietra. Non era la prima volta che faceva quell’esercizio: era uno dei tanti che il Mago gli aveva insegnato a svolgere.
Il ragazzo sapeva già bene quanto fosse importante la velocità di esecuzione del lancio, ma anche il suo controllo e l’inclinazione della parabola, che non doveva essere bassa, ma neppure troppo alta, così da planare bene sull’aria, poggiandovisi il più a lungo possibile.
Il Mago non aveva perso occasione, facendogli svolgere quell’esercizio, di insegnargli le basi elementari della Balistica, cioè la scienza che studia la gittata degli oggetti, perlopiù applicata allo sparo dei cannoni e delle catapulte, ma applicabile benissimo al lancio di frecce, lance, pietre, giavellotti e sicuramente anche del “disco” in atletica.
Victor sapeva che per quel l’angolo di uscita ideale era sui 40 gradi. Sapeva inoltre che la velocità massima d’esecuzione era data dalla rotazione centrifuga a braccia distese, in un crescendo progressivo, tale da non rischiare il distacco accidentale dell’attrezzo dalle dita per un accelerazione troppo brusca. Era infine importante il controllo finale delle dita della mano che ghermiva il disco, la cui presa era fondamentale: soprattutto il pollice doveva rimanere nella giusta posizione, quella che avrebbe permesso l’inclinazione giusta in uscita: se lo avesse inavvertitamente rilasciato alzandolo, il disco avrebbe sfarfallato verso l’alto, esaurendovi gran parte della sua spinta anziché volare lontano sul prato.

Ricco di tanta teoria e di qualche esperienza, Victor si apprestò dunque al suo primo lancio: con le gambe ben piegate e sufficientemente allargate fece alcune rotazioni, roteando la pietra con le braccia aperte, lontane dal corpo. Poi si raccolse nel massimo piegamento e nella maggior torsione del busto, subito rialzandosi in uno scatto progressivo, come una molla: il disco uscì velocisimo dalla sua mano, volando piatto, senza sfarfallamenti, planando sull’aria grazie ad una perfetta inclinazione, per atterrare infine lontano, verso la metà del prato.
La folla urlava al gesto del campione, per l’esito di quel gran lancio che fù dai giudici misurato in 142 piedi, circa 43 metri. Victor rintracciò tra la folla il suo Maestro che sorridendo mostrava il pollice alzato, segno di approvazione.
I concorrenti successivi fecero del loro meglio, e non fù poco, ma soltanto il Capitano Jakowsky, dal fisico possente, alto dieci centimetri più di Victor e con una formidabile apertura di braccia, tale da favorire al massimo la velocità in quanto forza centrifuga, riuscì a scagliare più lontano di Victor il greve disco: 147 piedi, più di 44 metri !
Quando Victor tornò in pedana di lancio per la sua seconda ed ultima prova, sapeva che doveva ora tentare il tutto per tutto ! Guardò verso il suo Maestro che gli fece un cenno molto significativo, quello che lui si aspettava. Il Mago aveva accennato con la mano,l’indice alzato, il movimento di un giro…e Victor aveva capito: doveva ora tentare la nuova tecnica, quella della rotazione completa, gambe incluse.
Con il Mago l’aveva già provata, come esercizio di studio per il perfezionamento del lancio: i risultati erano stati promettenti, con lanci incredibilmente lunghi, ma anche con molti errori. Avrebbero dovuto perfezionare quella tecnica con molto esercizio, ma presi da tante altre cose, molte più importanti, non l’avevano poi mai fatto.
Ma ora non c’era da dubitare: il giovane campione avrebbe dovuto provare in quel modo, o la và o la spacca. Anche perché difficilmente, lanciando come aveva fatto prima, sarebbe riuscito a superare il possente e tuttavia velocissimoJakowskj.

Incitato dalle grida dei suoi ormai tanti tifosi, Victor, primo nella classifica provvisoria, entrò in pedana, prese il disco di pietra, ma andò all’estremità del quadrato più lontana dal settore di lancio, iniziandovi i movimenti dondolanti di preparazione: sembrava incredibilmente che volesse lanciare da li, con uno svantaggio di circa 4 piedi.
Ci fù un diffuso mormorio, cui seguì il silenzio dell’attesa.
Nessuno guardava più le prove del salto della porta, tutta la folla aveva puntati gli occhi su Victor ! Che giunto al massimo del raccoglimento, gambe piegate e busto in torsione, partì con un saltello, roteando su se stesso come un agile ballerino, ritrovandosi subito col piede più avanzato sull’orlo esterno della pedana, dove si rialzò con uno scatto velocissimo per concludere la vorticosa rotazione.
Il disco volò alto, appena leggermente sfarfallando, ma con una spinta tale da non lasciare dubbi di quanto lontano sarebbe andato a finire: cadde alla metà del campo, tra le urla in boato assordante degli spettatori esaltati al massimo !
Victor, trascinato dall’impeto vorticoso della rotazione, dovette fare un notevole sforzo per non uscire dalla pedana sul prato, ciò che avrebbe invalidato la sua prova e ci riuscì sfogando la sua spinta residua in un'altra piroetta all’interno del quadrato.
160 piedi ! oltre 48 metri fù misurato quel lancio !
E subito i suoi avversari tentarono di imitarlo, ma con scarsa fortuna: non era certamente facile improvvisare quella tecnica, apparentemente semplice, ma in realtà di esecuzione molto complessa.
Ne beneficiò comunque l’Indiano Karimbad che, fosse per bravura, sicuramente per fortuna, riusci ad imbroccare una sifatta rotazione che gli permise di migliorare il suo precedente risultato, salendo a 151 piedi, 45 metri e mezzo, superando così Jakosky, il quale, nel suo analogo tentativo, era finito fuori pedana: lancio nulo.
Anche il Cinese Won Lin Uan aveva tentato la nuova tecnica, ma alla fine della rotazione il disco gli era sfuggito di mano, volando basso, lateralmente, senza esito.

Fù allora chiaro che, in assenza di improbabili esploit degli altri concorrenti, ancora impegnati nella seconda e terza prova, Victor si sarebbe confermato alla grande in testa alla classifica con punteggio pieno : 30 punti !

Ma solo il giorno dopo si sarebbe saputo l’esito, essendo in ritardo gran parte dei concorrenti, soprattutto a causa della prova di superamento dell’alta porta.
Victor raggiunse infine il Mago e il suo cane Nuppo, per andarsene con loro, a riposare dopo una lunga seduta di massaggio e di esercizi di ossigenazione e rilassamento.
Nuppo, reso invisibile e muto dal Mago Architagora, aveva potuto assistere alle gare del suo amico padrone, manifestando il suo grande entusiasmo solo dimenando alla grande la coda, che nessuno però poteva vedere.

E nessuno quella sera sapeva che il giorno dopo Victor avrebbe dovuto affrontare la prova forse più difficile ed impegnativa: quella della “fuga dalla torre”.

Fine della seconda parte.

Nonnorso

*Supponendo che la barca abbia un Volume (Stazza Lorda) di 500 litri ed un peso di 150 kg. e che la cassa con l’oro abbia un Volume di 30 litri ed un peso di 120 kg, se vogliamo disturbare Archimede, la barca con su l’oro per galleggiare ha bisogno di una spinta verso l’alto pari al suo peso, spostando un corrispondente volume d’acqua: 270 kg. per 270 litri.
Se togliamo l’oro la barca si alleggerisce da 270 a 150 kg., le basterà quindi una spinta di 150 litri d’acqua spostata per galleggiare, 120 litri di meno rispetto a prima.
D’altro canto, la cassa affondata nel lago lo ingombrerà con tutti i suoi 30 litri.
Avremo quindi infine, per differenza, 90 litri di minor ingombro totale: 120 in meno per la barca
a dedurre 30 in più per l’oro affondato.
Va tuttavia notato che nella realtà, per quanto il lago possa essere piccolissimo, un ingombro di 90 litri, distribuito sulla sua pur minima area equivale ad uno spessore di “micron”, cioè millesimi di millimetri, in pratica irrilevante ai fini della sua esondazione.
A meno di voler considerare il “micron che fa tracimare il vaso…”
(l’esempio non considera il peso degli uomini a bordo, algebricamente irrilevante ai fini del calcolo)

** e= mc2, è la formula base della toria della relatività di Einstein, ma è anche semplicemente una elementare formula matematica per misurare l’intensità di una Forza. Come nel facile esempio:
se un uomo di 90 chili applica una spinta di 100 km/ora (lancio del disco) la FORZA risultante sarà =
90 per il quadrato di 100, cioè 90 x 10.000 = 900.000.
Un altro uomo di 100 chili applica invece una spinta di 90 km/ora, la forza risultante sarà =
100 per il quadrato di 90, cioè 100 x 8100 = 810.000.
La FORZA complessiva risultante sarà quindi a favore dell’uomo meno pesante ma più veloce.
A parità di tecnica esecutiva, ovviamente.
E’ in ogni caso evidente come l’importanza della “Velocità” prevalga su quella della “Massa”
Ma altrettanto ovviamente, a parità di Velocità è la Massa maggiore a prevalere.

(Bob Fischer, grande campione degli scacchi,
dove è la "massa" del cervello a prevalere...)
















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venerdì 5 agosto 2011


LE 10 PROVE DEL PRINCIPE VITTORIOSO
Prima parte
(a lato locandina del film "Il principe coraggioso"1954)
Il testo è originale di nonnorso.

C'era una volta un principe povero, senza castello, nè servi, nè terreni, nè carrozze e neppure cavalli.
Non aveva nulla, neanche una spada per difendersi dai briganti.
Quel principe, si chiamava Victor ed era un bel giovane, forte e ben proporzionato, capace di resistere ad ogni fatica e con una mente molto aperta, intelligente e capace.
Victor non era nato povero e aveva fatto in tempo a ricevere un'ottima istruzione ed educazione dal Mago Architagora, grande saggio e sapiente, che viveva alla corte di suo padre Brusamon, re del paese di Dovestan, un grande regno che era stato assalito e distrutto dai Saraceni di Salimam.
Victor, che era ancora bambino, si era salvato fuggendo insieme al Mago Architagora, sulla macchina volante inventata e costruita da mago.
Scappando erano giunti sull'Isola di Silend, dove poi erano rimasti per diversi anni, durante i quali il Mago aveva cresciuto il bambino Victor,
facendolo diventare un ragazzo forte, istruito, intelligente e corraggioso.

Ma poi i feroci Saraceni di Salimam erano arrivati ad attaccare anche l'isola di Silend ed il principe Victor era dovuto scappare sulla veloce barca a vela che il mago Architagora aveva costruito per lui e che gli aveva da tempo insegnato a pilotare da lupo di mare.
Il mago era fuggito sul monte più alto dell'isola, per salvare il suo nascosto labporatorio, fucina di segrete invenzioni, che guai se fossero cadute nelle mani dei Saraceni Salimani !
Victor avrebbe voluto rimanere con il mago, ma Architagora lo aveva costretto ad andarsene da solo, per essere più libero di combattere i nemici invasori con la magia della sua scienza.

Così il giovane principe navigò verso Ovest per nove giorni nell’Oceano Bluatico, finchè arrivò alla terra di Continental, dove sbarcò stanco ed affamato.
Non trovò una grande accoglienza in quei oposti: la poca gente che incontrava parlava una strana lingua a lui incomprensibile ed aveva poco tempo da dedicargli, esendo perlopiù occupata in mille modi dal lavoro. Riuscì comunque ad ottenere il ristoro di acqua e cibo, ma poi dovette cercarsi un lavoro anche lui, per potersi mantenere.
Fece allora il pescatore, il marinaio, lo stalliere, il bracciante contadino…ed altro ancora. La sua intelligenza e preparazione culturale gli avrebbe permesso di fare anche altri lavori, ma avrebbe dovuto conoscere anche la lingua di quel paese.
Che con il tempo riuscì anche ad imparare e dopo 7 mesi la conosceva abbastanza bene da poter fare quasi ogni cosa.
Nel frattempo si era fatto un amico, un cane molto simpatico e giocherellone che aveva chiamato Nuppo: lo aveva trovato cucciolo, abbandonato ed affamato, che cercava cibo in mezzo alle immondizie, ne aveva avuto pietà e se lo era portato a casa, nella capanna abbandonata dove viveva quando faceva il pescatore.
Se lo era portato anche in barca, per andare a pescare e Nuppo era diventato un buon marinaio, nuotatore e pescatore, capace di tenere il timone con la zampa, di virare al vento cazzando le scotte della vela con i denti e, sempre con i denti, di aiutare il suo amico padrone a tirare su le reti con il pescato.

Ma Victor aveva anche continuato, nel poco tempo libero, a fare le cose che il Mago Architagora gli aveva insegnato, cioè allenare la mente ed il corpo con esercizi molto impegnativi ma efficaci: studiava con la fantasia del pensiero le cose del mondo, i fenomeni della natura, gli avvenimenti della vita, cercando di spiegarli col ragionamento; faceva poi continui allenamenti di abiltà, forza e resistenza nella corsa a piedi ed a cavallo, nel nuoto, nella lotta ed in ogni altra disciplina di atletica
competitiva.

Ogni tanto si domandava che fine avesse fatto il suo amico Mago, che aveva lasciato sull’Isola di Silend, inseguito dai Saraceni Solimani, mentre fuggiva verso la montagna, verso il suo laboratorio segreto di scenze e di magia.
Ma Victor aveva fiducia che il mago Architagora fosse così bravo ed astuto da potersela benissimo cavare.
Un giorno, nella cittadina sul mare dell’Oceano Bluatico dove Victor ormai da più di un anno viveva, arrivò un araldo banditore con un proclama del re, suonò la sua tromba nella piazza grande per chiamare a raccolta tutti gli abitanti del posto, poi gridò l’annuncio del re: diceva che fra sei mesi, nella grande città capitale del regno ci sarebbe stato un grande torneo di gare di abilità, forza ed intelligenza e il vincitore avrebbe potuto chiedere la mano della principessa Monia, la figlia minore del re. Per partecipare a quel torneo bisognava iscriversi alle gare di selezione che si sarebbero svolte in ogni Contrada del Paese e vincerle.
Le iscrizioni, e le relative prove di ammissione, erano aperte quel giorno stesso negli uffici del governatore di quella Contrada.
Victor non aveva mai visto la principessa, la più giovane figlia del re che cercava marito, ma decise comunque di partecipare: poteva essere un modo per migliorare la sua situazione di principe povero in esilio.

Ma agli uffici del governatore lo guardarono con alterigia e commiserazione: chi era dunque quello sconosciuto male in arnese che osava proporsi per una così importante competizione, pretendendo di garaggiare contro nobili, già titolati campioni della migliore aristocrazia e ricca borghesia ?
Il segretario del Governatore lo sfidò con aria di scherno, dicendo: “fammi vedere di cosa sei capace: ecco, vedi ad esempio quel lungo, alto tavolo massiccio in mezzo alla sala ? Vediamo dunque se sei in grado di saltarlo con un solo balzo e poi di sollevarlo tutto da terra !”.
Il ragazzo guardò il tavolo, andò ad una sua estremità e poi camminò lentamente sino in fondo alla grande sala, contando lunghi passi, poi si girò, guardò attentamente il tavolo e la distanza, come a calcolarne esattamente le misure, infine partì velocissimo per una breve ma potente rincorsa…arrivato vicino al tavolo spiccò un gran salto, alto e lunghissimo, che gli permise di volare dall’altra parte del mobile senza toccarlo, atterrando in piedi agile e leggero !
Tutti i presenti erano rimasti sbalorditi. Ma senza permettere loro di riprendersi da quel grande stupore, Victor s’infilò sotto il grande tavolo massiccio, piegato sulle gambe appoggiò la schiena a quell’enorme peso ed aiutandosi con le braccia che spingevano sulle ginocchia lentamente si rialzo, spingendo con tutte le sue forze, finche tutte le gambe del tavolo si staccarono da terra !
A quel punto tutti i presenti scoppiarono in un ovazione di applausi e grida di apprezzamento. Il segretario del Governatore intimò il silenzio e disse al giovane campione:”Bene, abbiamo visto che sei molto agile e forte. Ora vediamo se hai anche l’intelligenza e l’istruzione necessarie per partecipare al torneo”.
Chiamò allora tra i presenti il saggio della città invitandolo a sottoporre quel giovane ad una prova culturale. Il saggio, dopo aver riflettuto qualche minuto, propose a Victor un curioso problema di geometria, di numeri applicati alle dimensioni dello spazio: lo sfidò a misurare l’altezza della torre del palazzo governativo, senza potervi salire, né utilizzare funi, pertiche od altri strumenti di qualsiasi tipo.
Victor ricordava bene gli insegnamenti di matematica del suo maestro, il mago Architagora, e sorrise perché conosceva bene il sistema delle proporzioni usato dall’antico greco Talete, che stupi gli architetti Egizi delle Piramidi, misurandone l’altezza senza risalirle e senza usare alcun strumento.
Il giovane invito dunque tutti a seguirlo nella piazza esterna al palazzo: il sole splendeva in cielo, nell’ora ancora matutina e a terra le ombre erano nitide e chiare.
Allora Victor, assai semplicemente, misurò la lunghezza della sua ombra: 9 piedi.
Poi andò alla base della torre e partendo da quella contò anche tutti i piedi della lunghezza di quell’ ombra lunghissima: 120 piedi.
Dopo di chè il suo calcolo fù breve: se la sua ombra era di 9 piedi e la sua altezza di 6, cioè due terzi (9 diviso 3 per 2), anche l’altezza della torre doveva misurarsi in quella proporzione di due terzi: 120 diviso 3 per 2, uguale 80 piedi.
Siccome poi Victor sapeva che il suo piede era lungo esattamente 30 centimetri, bastava moltiplicare 80 per 30, ottenendo 2400 centimetri, 24 metri.
Che era appunto l’altezza della torre !
Il saggio approvò sorridendo l’esattezza del calcolo e l’arguzia del metodo, di nuovo tra gli applausi di tutta la popolazione presente.
Così al segretario del Governatore non restò che autenticare l’iscrizione di quel giovane sconosciuto al torneo.

Il ragazzo sapeva però, che nonostante avesse brillantemente superate quelle prove, vincere il grande torneo nella capitale del regno sarebbe stato molto più difficile, perché là avrebbe incontrato e dovuto battere i migliori campioni di tutta la nazione.
Riprese quindi ad allenarsi con tutto l’impegno possibile, nel poco tempo libero che aveva, rimpiangendo che non ci fodde il suo maestro, il Mago Architagora, ad aiutarlo.

Ma che fine aveva fatto il mago ?
L’avevamo visto, più di un anno prima, fuggire verso la montagna, sull’isola di Silend, inseguito dai Sraceni Solimani. Il mago scenziato doveva salvare e nascondere tutti i suoi magici segreti, nascosti nella sua grande caverna laboratorio in cima alla montagna. Non era più giovane, ma era ancora molto agile e veloce, così arrivò al suo rifugio assai prima che i Saraceni potessero raggiungerlo, così ebbe il tempo per organizzarsi nella difesa del suo nascondiglio: rapidamente trascinò fuori dalla caverna le sue macchine da guerra e le preparò, armanole per la battaglia.
C’erano gli specchi ustori, delle grandi calotte paraboliche a specchio, capaci di concentrare migliaia di raggi di sole in un solo punto, formando così un terribile raggio mortale, di un calore così intenso da bruciare, trapassandolo, anche il metallo!
C’erano le anfore urticanti, che contenevano liquidi fortemente irritanti, in grado di provocare, se rovesciatei sui nemici, grandi ferite e lancinanti dolori.
C’erano tutto intorno alla caverna, già predisposti per l'uso, numerosi enormi massi, pronti per essere rotolati a valanga sugli aggressori che stavano salendo.
Il Mago attese che i Saraceni Solimani fossero abbastanza vicini ed allora iniziò con i pietroni, sbloccandoli via via, rapidamente, uno dopo l’altro, così da creare una terribile valanga, che investì travolgendoli gran parte dei nemici, che urlavano e cercavano di scappare.
Finiti che furono i pietroni, i superstiti che erano ancora molti, ripresero a salire, più arabbiati e feroci che mai.
Allora il Mago puntò i suoi specchi ustori verso di loro, manovrando ora uno ora gli altri, così che i nemici rimasti furono quasi tutti bruciati, trapassati dai mortali raggi infuocati. Ma ancora alcuni sopravissuti riuscirono ad avvicinarsi alla postazione del mago, che allora attese che fossero giunti proprio sotto la ripa del suo rifugio, sopra la quale c’erano ben allineate le anfore urticanti. Quando i nemici furono a portata il Mago Arcitagora tirò un’unica fune, che comandava il rovesciamento di tutte le anfore in un sol colpo, così che il liquido urticante si rovesciò su tutti gli ultimi superstiti, che ne furono dilaniati dal corrosivo, terribile effetto mortale cercando di fuggire, tra urla disperate di dolore.
Così il gran mago scienziato aveva vinto da solo la sua battaglia contro tutti quei feroci nemici e potè dedicarsi a riorganizzare le difese del suo antro laboratorio contro eventuali possibili nuovi nemici.

Victor era ora ad oltre mille miglia dall’isola di Silent, aveva brillantemente superato le difficili prove di ammissione al torneo, ma ora non dormiva sugli allori: aveva ripreso ad allenarsi con più impegno di prima. Ogni giorno s’inventava nuove prove, nuove fatiche: lunghe corse estenuanti, che mettevano alla prova la fedele compagnia del suo cane Nuppo, che talora faticava a stargli dietro; e lunghe nuotate, scatti improvvisi di corsa e di nuoto, grandi salti e tuffi spericolati, sollevamento di pesi esorbitanti, lancio di attrezzi diversi, curandone la precisione. Solo con la lotta aveva dei problemi, perché dopo un po’ di tempo non trovava più avversari disponibili a battersi contro di lui, ormai conosciuto per la sua grande forza ed abilità.
Ma non trascurava anche le discipline della mente: la esercitava continuamente, inventando problemi di matematica, di geometria, di fisica e chimica sempre più difficili, né tralasciava l’astronomia, la botanica, la medicina, così come continuamente rimandava a memoria tutta la sua cultura, cercando di aumentarla.
Ma alla fine di ogni giorno di fatica rimpiangeva l’assenza del Mago suo maestro !

Il quale, rimasto solo sull’isola di Silent, continuava i suoi studi ed i suoi esperimenti, perlopiù totalmente distratto, come spesso capita ai grandi geni della scienza e della magia, dalla realtà del tempo che passa, totalmente rapiti nel loro mondo di astratta creatività ideale.
A volte si dimenticava perfino di mangiare, di bere o di dormire, finchè estenuato non crollava e solo allora si ricordava delle necessità del cibo, dell’acqua e del riposo.
Solo dopo molto tempo, si risvegliò una mattina da un sonno agitato, durante il quale aveva sognato il suo giovane allievo Victor alle prese con durissime prove, in una grande impresa e che reclamava il suo aiuto !
Si ricordò solo allora del ragazzo e di come l’aveva fatto fuggire in barca a vela all’arrivo dei Saraceni Solimani…
Si chiese allora che fine potesse aver fatto: calcolò il lungo tempo trascorso e decise in conclusione che si sarebbe preso una vacanza andando a cercarlo.
Ma dove? Beh, per lui non era un grosso problema calcolare dove Victor potesse essere andato a finire: valutò attentamente la rotta più probabile che la piccola barca a vela aveva potuto seguire, i venti prevalenti e le correnti nella stagione in cui era partito verso Ovest, nell’Oceano Bluatico…Infine il Mago Architagora giunse alla conclusione che il suo giovane allievo fosse probabilmente giunto sulla costa più vicina della terra di Continental, che si trovava a circa 1.500 miglia ad Ovest dell’isola di Silend.
Decise dunque di partire alla sua ricerca: tirò fuori dal suo antro laboratorio la sua macchina volante che non usava ormai da molto tempo, la spolverò per bene e ne lubrificò accrutamente i delicati meccanismi, controllandone attentamente ogni parte, ogni ingranaggio. Ne caricò i serbatoi con l’energia necessaria per un lunghissimo volo ed avviò infine il motore, per una prova di funzionamento.
Il motore silenziosissimo partì senza alcuna vibrazione, obbedendo perfettamente ai sofisticati comandi che il Mago Scienziato stava azionando.
Ah, se gli uomini avessero posseduto una simile tecnologia, un’energia così pura e cos’ potente ! Ma ci sarebbero forse arrivati solo tra centinaia di anni, se prima non fossero riusciti ad autodistruggersi con qualche altra potente e pericolosa diavoleria
avessero nel frattempo inventata !

Intanto Victor, nella terra di Continental continuava i suoi allenamenti, sempre in compagnia del suo amico cane. Solo quando faveca lunghe nuotate in mare, spingendosi anche molto al largo, Nuppo lo lasciava andare, cercando di seguirlo da terra, senza perderlo d’occhio. Anche lui era un buon nuotatore, ma il suo “stile” di nuoto non gli permetteva la resistenza e soprattutto la velocità del ragazzo.
Ma nella corsa, come in ogni altra disciplina, l’amico Nuppo era sempre con lui, magari anche solo ad osservarlo tranquillamente, come quando Victor si dedicava allo studio di difficili problemi di natura culturale.

Il tempo passava e si avvicinava il periodo del grande torneo nella città di Metropolia, dove era la reggia di Chingo Maestade, re della terra di Continental, e Victor, sempre più preso dai suoi allenamenti, ma senza poter tralasciare il suo lavoro, indispensabile al suo mantenimento, doveva fare molta fatica per sopportare l’impegno di entrambi.
E tutta quella fatica, se si fosse troppo accumulata nei suoi muscoli e nella sua mente, avrebbe finito per nuocergli. Lui se ne rendeva conto, ma non riusciva a trovare una soluzione: abbandonare il lavoro non poteva e temeva che rallentando il ritmo degli allenamenti non sarebbe stato pronto al meglio per la grande competizione.

Una sera, al tramonto, che come al solito, con il suo amico Nuppo Victor stava correndo lungo la riva sabbiosa del mare, si vide improvvisamente superare da uno strano, enorme uccello che avanzava sopra di lui, silenziosamente…
Nuppo si mise ad abbaiare e ringhiare fortemente contro quella strana creatura, che infine si posò sulla spiaggia, in riva al mare a circa 100 metri dvanti a loro.
Vicotor si fermò perplesso, valutandone l’eventuale pericolosità, mentre Nuppo correva ancora verso di lei, abbaiandole contro.
Ma poi Victor, con un tuffo al cuore, riconobbe la magica macchina volante del Mago Architagora e riprese a correre verso quella, mentre il suo amico cane l’aveva già raggiunta, fermandosi davanti a lei ringhioso.
Ne scese il Mago, che con un solo gesto della mano immediatamente calmò Nuppo, che si accuccio buono e mogio davanti a lui, mentre Victor arrivava correndo per riabbracciarlo.
“Ti vedo molto in forma, ragazzo mio, ma mi sembri affaticato…” disse il Mago, subito dopo aver corrisposto all’abbraccio del giovane, che gli replicò invece: “Anch’io ti vedo molto bene, ma senza essere affaticato, nonostante il lungo viaggio che ti ha portato sin qui”.
Il Mago sorrise:”Come saprai, il mio viaggio è stato lungo, ma velocissimo e di tutto riposo: la macchina volante mi ha trasportato in poche ore, nel silenzio e nella pace di un viaggio tranquillissimo, durante il quale io ho avuto tutto il tempo di godermi il panorama dell’Oceano Bluatico che scorreva rapidissimo sotto di me, avendo solo l’attenzione di calcolare la rotta per raggiungere i lidi dove era stato più probabile il tuo sbarco, dopo il lungo viaggio per cui ti feci fuggire dall’attacco dei Saraceni Solimani”. “Ma ora raccontami di te, cosa combini da queste parti, qual è stata nel frattempo la tua vita ?”
Victor raccontò al Mago del suo lungo viaggio per mare e di come fosse infine approdato nella terra di Continental, dei mestieri fatti per sopravvivere e di come ora si stesse preparando al grande torneo, al quale mancavano ormai solo due mesi.
Il Mago Architagora capì quanto quella rpova fosse importante per il suo giovane allievo, non tanto per il premio che sarebbe toccato al vincitore, ma innanzitutto per il gusto della grande sfida competitiva.
Decise allora che lo avrebbe aiutato.
Innanzitutto Victor doveva smettere di lavorare per dedicarsi completamente alla preparazione. Avrebbe provveduto lui a mantenerlo, con il denaro che aveva portato con se e non fosse bastato avrebbe pensato lui, il mago, a guadagnarne facilmente, con
gli spettacoli delle sue magiche arti, che era in grado di allestire ovunque, in qualunque momento.
Cominciarono con affittare una bella casa sul mare, in una zona isolata e tranquilla, dove avrebbero potuto lavorare al meglio per la preparazione del ragazzo al torneo.
Poi organizò un programma di allenamenti impegnativo, ma variato, così da non risultare troppo noioso ed affaticante: le varie discipline, fisiche ed intellettuali, vi si alternavano in maniera continua, graduando l’impegno così come anche il riposo.
Ma per cominciare, il primo giorno il Mago fece fare a Victor delle prove per controllare il suo livello di forma effettivo: corsa veloce, corsa lunga, nuoto prolungato, immersioni in apnea, salti, lanci, lotta, uso delle armi. E poi esami di bravura culturale, nella soluzione di problemi di vario tipo, nel calcolo e della memoria.
Nel complesso il ragazzo risultò ad un buon livello generale, ma avrebbe dovuto migliorare ancora, soprattutto in alcune discipline, sulle quali il mago capì che bisognava allenarlo di più.
Victor infatti andava molto bene nelle prove di resistenza, meno in quelle di forza. Ciò probabilmente era dovuto all’eccessivo impegno del lavoro, che aveva dovuto continuare a svolgere durante gli allenamenti, ed alla modesta qualità del cibo che aveva potuto procurarsi.
Bisognava dunque dargli cibo migliore ed insistere di più sugli esercizi di forza e discatto, senza però trascurare la tenuta, per le prove di resistenza. Inoltre occorreva migliorare la sua scioltezza mentale nella logica del calcolo: il ragazzo era molto fantasioso ed intuitivo, ciò che lo aiutava non poco ad anticipare la soluzione dei problemi, ma gli occorreva una base di ragionamento meglio organizzata, più razionale. Ed infine molti esercizi di memoria, noiosi è vero, ma indispensabili all’allenamento della mente.
Così lavorarono assiduamente, ogni giorno nelle prime ore del mattino, poi un lungo riposo nella parte centrale della giornata, in parte dedicato ad esercizi della mente, poi ancora diverse ore d’impegno fisico nel pomeriggio, fino a sera.
Spesso gli esercizi del corpo venivano diminuiti per dare più spazio a quelli della mente, ma le due attività proseguivano comunque con grande impegno e presto si poterono vedere ottimi miglioramenti nei risultati delle prove settimanali.

Il programma del Torneo non si conosceva: tra le sue difficoltà c’era anche quella delle prove a sorpresa ! Si sapeva solo che sarebbero stati esercizi di atletica, del nuoto, della navigazione, della lotta e delle armi; e poi problemi matematici da risolvere, collegati alle scienze esatte. Ed infine esercizi della memoria.
Il Mago Architagora aveva perciò preparato una grande quantità di varianti, per le diverse possibilità delle prove di gara che avrebbero potuto in realtà esserci, e Victor si faceva fiduciosamente guidare dal suo Maestro, affidandosi a lui completamente.
I risultati che era arrivato ad ottenere erano perlopiù soprprendenti, anche per lo stesso Mago, soprattutto in alcune discipline.

Arrivati così alla vigilia del Grande Torneo, fiduciosi del miglior risultato, si trasferirono nella città di Metropolia, presso la reggia di re Chingo, dove si sarebbero tenute le varie prove del torneo. Furono anche loro alloggiati nella Foresteria del Castello reale ed ebbero modo di conoscere gli altri 9 concorrenti selezionati. Erano quasi tutti nobili principi, titolati militari di carriera o figli di ricchi borghesi: alcuni probabilmente erano stati selezionati grazie a forti raccomandazioni, ma per la maggior parte erano sicuramente giovani molto validi, atleti capaci, molto forti, ma anche dotati di menti vivaci, allenate e preparate.
Con tutti Victor fece conoscenza, con alcuni quasi amicizia, nei pochi giorni di ambientamento che precedevano le gare.
Le cui prove erano segrete, ma tutti azzardavano ipotesi di che cosa avrebbero dovuto affrontare.
Correvano anche voci che qualcuno…, non si sapeva chi, fosse stato già messo al corrente di quali fossero esattamente le gare in programma, per favorirlo, ma senza alcuna prova del fatto furono considerate solo illazioni.

Visti in allenamento i suoi avversari, soprattutto alcuni, Victor si rese conto che non sarebbe sato facile batterli.
Tre in particolare: Karimbad, un principe Indiano, figlio del gran Sultano di Calcutta, molto agile e forte, ma si diceva anche fosse molto dotato e preparato nei calcoli matematici e nella logica dei ragionamenti.
Poi c’era Won Lin Uan, un nobile Cinese, discendente della grande dinastia Ming, altrettanto forte e preparato e, si diceva, dotato di una grandissima determinazione.
Infine il tenente Yakowskj, nobile polacco, giovane capitano della guardia imperiale, sempre primo classificato, in tutti i corsi della scuola militare.
Ma il mago Architagora tranquillizzò, seppure con prudenza il suo giovane allievo: “Sicuramente sono avversari molto temibili, ma puoi batterli ! Certamente dovrai impegnarti al massimo per riuscirci !”

Fine della 1^ Parte.