mercoledì 20 luglio 2011

Pelle d'asino


PELLE D’ASINO
(Variazioni e semplificazioni dalla classica fiaba di Perrault)

C'era una voIta un Re molto ricco, forte e felice, che aveva sposato una Principessa tanto bella quanto buona, con la quale vivevano felici e contenti.
I due fortunati sposi avevano avuto una figlia, bellissima ed intelligente.
Il lusso, l'abbondanza, il buon gusto regnavano nel loro castello: i ministri erano saggi e capaci: i cortigiani virtuosi e affezionati: i domestici fidati e laboriosi, le grandi scuderie piene dei più bei cavalli del mondo.
Tra tutti quei magnifici cavalli c’era un Somaro con delle grandissime orecchie. Questo raro animale meritava ogni riguardo, perche’ la natura lo aveva formato in un modo così straordinario e singolare, che tutte le mattine nella sua lettiera, invece di esserci la cacca c’erano sempre tante preziose monete d'oro, che venivano raccolte appena lui si svegliava.
Un giorno, siccome le disgrazie capitano anche ai Re, accadde che la Regina si ammalò, né i medici riuscivano a curarla.
Il Re disperato, tenero di cuore e innamoratissimo, cercava in tutti i modi chi potesse guarire la sua amatissima moglie.

La Regina, sentendo avvicinarsi l'ultim'ora, disse al suo sposo, :"Prima di morire, voglio da te una promessa, nel caso che tu dovessi sposarti ancora...".
A queste parole il Re prese le mani di sua moglie e le bagnò di pianto, dicendo che non doveva neppure pensare a una cosa del genere.
Ma la Regina continuò:"lo Stato ha ragione di pretendere da voi dei successori; e vedendo che io vi ho dato solamente una figlia, vorrà da voi dei figli maschi che vi somiglino: ma io, con tutte le forze dell'anima e per tutto il bene che mi avete voluto, vi domando di aspettare a risposarvi sino a quando avrete trovato una Principessa più bella e più buona di me. Giuratemelo, e morirò contenta.
Il re promise e poco dopo la regina purtroppo morì, con grande dolore e disperazione del re suo marito.
Ma anche i più grandi dolori passano.
D'altra parte, tutto il paese voleva che il Re riprendesse moglie.
Lui disse “va bene”, ma ricordò loro il giuramento fatto alla Regina e sfidò i suoi consiglieri a trovargli una mogile più bella e buona della sua sposa morta, persuaso che sarebbe stato impossibile.
I ministri allora cercarono fra le Principesse da marito.
Ogni giorno gli portavano a vedere i ritratti delle più belle principesse, ma non ce n'era neppur una che avesse le grazie della defunta Regina. E così il re non si decideva mai.

Quand'ecco che per gran disgrazia, sebbene fosse stato fin allora un uomo pien di giudizio, tutto a un tratto il re impazzì e cominciò ad avere una fissazione: siccome la sua giovanissima figlia era più bella della Regina madre, arrivò a dire che era lei che voleva sposare
A questa brutale proposta, la giovane Principessa, un fior di virtù e di pudore, ci mancò poco che non svenisse. Si gettò ai piedi del Re suo padre, e lo scongiurò, con tutte le forze dell'anima, a non costringerla a commettere quel delitto. Ma il Re impazzito, che si era messo in testa questa strana idea, chiamò un vecchio stregone, per convincere la giovane Principessa.
Lo stregone, molto più furbo che capace, ambizioso di diventare il confidente del re, senza farsi scrupolo alcuno fece di tutto per giustificare il delitto che il re impazzito stava per commettere, e lo convinse perfino che sposare la propria figlia era una buona cosa.
Il Re, persuaso dai maligni discorsi dello scellerato, e ordinò alla sua giovane figlia di prepararsi ad ubbidire.
La Principessa straziata dal dolore, scapò via dal castello e andò dalla sua la fata madrina. Partì la sera stessa si di un grazioso calessino, tirato da un grosso montone che conosceva tutte le strade, e arrivò felicemente sino dalla fata, che le voleva molto bene, e che le disse che già sapeva ogni cosa.
Ma disse anche che non doveva temere, perché non poteva accaderle nulla di male, solo che le avesse dato retta.
"Perché, mia cara figlia", le disse la fata Lilla,"sarebbe un grande sproposito sposare tuo padre: ma senza contradirlo, puoi venirne fuori: digli, che se vuole sposarti, deve regalarti un vestito color dell'aria. Con tutta la sua potenza non sarà mai capace di tanto."
La Principessa ringraziò la fata e ripeté al Re suo padre, quello che Lilla le aveva consigliato, dichiarando che senza il vestito color dell'aria non avrebbe mai fatto nulla. Il re chiamò allora i sarti più famosi e ordinò loro quel vestito, con la minaccia che, se non ci fossero riusciti, li avrebbe fatti tutti impiccare.
Il giorno dopo, incredibile ma vero, gli portarono il vestito richiesto, bello come il cielo quando è sparso di nuvole d’oro.
La ragazza ne rimase malissimo e non sapeva più cosa fare.
Scappò di nuovo dalla fata, che fù molto stupita che fossero riusciti a fare quel vestito, ma le suggerì ora di chiedere un altro vestito color della luna.
Il re, che non sapeva negare nulla alla fanciulla, chiamò di nuovo i sarti più bravi e ordinò loro un vestito color della luna, ma che si sbrigassero: doveva essere pronto per il giorno dopo !
E così, incredibilmente fù fatto anche quella volta. La ragazza era proprio disperata, ma la fata Lilla le venne ancora in aiuto e le disse: "O io non ne azzecco più una, oppure ho ragione di credere che se ora gli chiedeste un vestito color del sole ruscirebbero a farlo ! Ma male che la vada, guadagneremo sempre del tempo".

Così la principessa chiese anche quel vestito, color del sole.
Il re, matto innamorato di lei, pagò senza pensarci tutti i diamanti e i rubini della sua corona, con l’ordine di non risparmiare nulla perché anche quel vestito fosse confezionato.
E quando fù pronto e messo in mostra, tutti quelli che lo videro, furono costretti a chiuder gli occhi per il gran bagliore. Figuratevi un po' come rimase la ragazza a quella vista: una cosa più bella e più artisticamente lavorata non s'era vista mai. Ella restò confusa, e col pretesto che le faceva male agli occhi guardarla, si ritirò nella sua camera, dove la fata l'aspettava incredula, al punto che diventò rossa di rabbia e disse:
"Oh, questa volta poi, figlia cara"metteremo tuo padre a una prova terribile. Per quanto lui sia impazzito son sicura che rimarrà molto senza parole alla richiesta che ti consiglio di fargli. Si tratta della pelle di quell'asino, al quale egli vuole un gran bene perché invece della cacca fa monete d’oro in gran quantità, che sono tutta la ricchezza del regno. Vai e digli che vuoi quella pelle." La ragazza allora, tutt'allegra di aver trovato un altra scappatoia, colla speranza che suo padre non avrebbe mai sacrificato l'asino del suo cuore, andò da lui e gli disse chiaro e tondo che voleva la pelle di quel bell'animale.

Il Re rimanesse molto sconcertato per questo capriccio, ma non esitò a contentarla. Il povero asino fu sacrificato e la sua pelle fù donata alla fanciulla sbalordita, che non vedendo più speranza, stava perdendosi d'animo, quando ecco che arrivò la fata: "Cosa fai bambina mia", le disse vedendo la Principessa che si strappava i capelli e si graffiava il bel viso; "Non devi perdere il coraggio ! Indossa la pelle, esci dal castello e fuggi il più lontano possibile. Quando si sacrifica tutto alla virtù, gli Dei sanno ricompensare. Vai, io farò in modo che le tue cose ti seguano dappertutto: in qualunque luogo, dove ti fermerai troverai il baule dei tuoi vestiti e i tuoi gioielli; eccoti la mia bacchetta magica, te la regalo, battendola in terra tutte le volte che avrai bisogno quel che ti serve apparirà ai tuoi occhi. Ma sbrigati a partire, presto !".
La ragazza abbracciò la sua fata, pregandola di non abbandonarla mai; si mise addosso quella brutta pelle, e dopo essersi sporcato il viso di fuliggine per non farsi riconoscere, uscì scappando dal castello.

La sparizione della principessa fece gran chiasso. Il Re, che aveva fatto preparare una magnifica festa, era disperato e mandò più di cento cavalieri e più di mille moschettieri in cerca della figlia: ma la fata, che la proteggeva, la rendeva invisibile agli occhi di tutti.

La ragazza intanto comminava giorno e notte. Andò lontano, sempre più lontano, e cercava dappertutto un lavoro; ma sebbene per carità le dessero un boccone, nessuno voleva saperne di lei, vedendola tanto sporca. Giunse finalmente a una bella città, dove vicino alla porta c'era una fattoria: e la fattoressa aveva appunto bisogno di una donna per i lavoro più umili o pesanti. Vedendola sporca come una zingara, le propose di entrare al suo servizio: e la fanciulla accettò di cuore, stanca com'era di girare. Fu messa in un angolo della cucina, dove i primi giorni dovette patire gli scherzi della bassa servitù, tanto la sua pelle d'asino la rendeva sporca e nauseante. Ma alla fine si stancarono, e poiché lei si mostrava molto svelta e precisa nel suo lavoro, la fattoressa la prese a ben volere.Portava le pecore sui prati per brucar l’erba, guardava i tacchini, faceva tutto con intelligenza, che pareva non avesse fatto altro mestiere in vita sua: ogni cosa fioriva e prosperava fra le sue mani.

Un giorno, mentre era seduta presso una fontana d'acqua limpidissima, dove veniva spesso a piangere la sua sfortuna, vi si specchiò dentro, e l'orribile pelle d'asino, che le serviva da cappello e da vestito, la spaventò. Vergognandosi di trovarsi in quello stato, si lavò ben bene il viso e le mani, che diventarono bianche più dell'avorio, e la sua pelle riprese la freschezza di prima. Il piacere di vedersi così bella le fece voglia di bagnarsi, ma dopo, per tornare alla fattoria si rimise addosso la solita pellaccia d’asino.
L'indomani era giorno di festa, così ebbe tutto il tempo di far comparire, con la bacchetta magica il suo baule dei vestiti, pettinarsi perbene, darsi la cipria e di mettersi il suo bel vestito color dell' aria. La sua camera era così piccina, che non c'entrava nemmeno tutto lo strascico della sottana. La bella Principessa si ammirò allora con tanto piacere che decise da quel momento in poi di mettersi nelle feste e per le domeniche, a uno per volta, tutti i suoi bei vestiti, non foss'altro per darsi un po' di svago.
Intrecciava fiori e diamanti fra i suoi bei capelli, con arte mirabile e spesso sospirava, dispiaciuta che nessuno la vedesse, se non le pecore ed i tacchini.
Un giorno di festa, in cui Pelle d'Asino s'era messa il suo vestito color del sole, il principe, padrone anche della fattoria, ritornando dalla caccia, vi si fermò per prendere un pò di riposo. Era giovane, bello, e gli venne offerta una merenda.
Dopo di che si messe a girare per tutti cortili, guardando un po’ dapertutto. Entrò anche in una buia catapecchia, in fondo alla quale vide una porta chiusa. Per curiosità vi guardò dal buco della serratura e immaginatevi come restò, quando vide la principessa così bella e così riccamente vestita! Per il suo aspetto nobile ed elegante, la prese per una Dea.
La passione, che provò in quell'istante, fu così forte che avrebbe di certo sfondata la porta, se non l'avesse trattenuto il rispetto per l'angelo di ragazza che aveva vista. Venne via veloce per andar subito ad informarsi chi era la persona che stava in quella stanzetta.
Gli risposero che era una servaccia, chiamata Pelle d'Asino, a motivo della pelle colla quale si vestiva, e che era tutta unta e sporca da fare schifo e che l'avevano presa per compassione per mandarla dietro a montoni e tacchini.
Il Principe, poco soddisfatto di questo chiarimento, capì subito che quella gente ordinaria non sapeva nulla, e che era inutile interrogarla.
Se ne tornò al palazzo di suo padre, innamorato cotto, coll'immagine fissa dinanzi agli occhi della bellissima fanciulla che aveva veduto dal buco della serratura.
Si pentiva di non aver picchiato alla porta per incontrarla. Ma per la grande emozione d’amore provata gli venne quella notte una gran febbre, per cui si lamentava di dolore. La Regina sua madre, disperata, vedendo inutili tutti i rimedi, promise ai medici grandi ricompense perché lo guarissero, ma loro, pur adoperavano tutta la loro scienza, non riuscivano a guarire il Principe.
Ma alla fine indovinarono che la malattia derivava da qualche passione segreta, e ne avvertirono la Regina; la quale, tutta tenerezza per suo figlio, lo pregò di raccontarle la causa del suo male, che se lui avesse desiderato in moglie una Principessa, avrebbe fatto qualunque sacrificio perché la potesse avere, ma per carità lo scongiuravano di non lasciarsi morire per quella malattia.
Allora il Principe con un filo di voce le disse: “Ebbene, madre mia, io desidero che Pelle d'Asino mi faccia un dolce: e quando sarà fatto, che mi sia portato." La Regina, sentendo un nome così bizzarro, domandò chi fosse questa Pelle d'Asino. "Signora", rispose uno de' suoi ufficiali, che per caso l'aveva veduta, "è la bestia più brutta, dopo il lupo: un muso tinto, un sudiciume che abita nella vostra fattoria e che custodisce i tacchini." "Questo non vuol dir nulla", disse la Regina, "forse mio figlio tornando da caccia, avrà mangiato della sua pasticceria: sarà un capriccio da malati: ma infine io voglio che questa donna gli faccia subito il dolce che lui vuole" Così fu fatta venire Pelle d'Asino, per ordinarle un dolce per il principe, e ché ci mettesse tutta la sua bravura.

Pelle d'Asino, aveva già visto passare il principe, quanto era bello, ed era tutta contenta di poterlo ora conoscere. Si chiuse nella sua cameretta: gettò via la sua pelle d’asino, si lavò ben bene, pettinò i suoi biondi capelli, s'infilò una bella cintura e una sottana d’argento luccicante, e si mise a fare il dolce richiesto.
Prese fior di farina, uova e burro freschissimo. Ma mentre impastava un anello che aveva al dito finì nella pasta e vi rimase dentro. Appena il dolce fù pronto, indossò ancora l'orribile Pelle d' Asino e consegnò il dolce all'ufficiale, al quale chiese notizie del Principe: ma quello non si degnò nemmeno di rispondere.
Il Principe mangiò golosamente quel dolce, e i medici presenti dissero subito che quella fame non era un buon segno. Difatti ci mancò poco che il Principe non rimanesse strozzato dall'anello, che trovò in una fetta del dolce, ma poi riuscì a cavarselo di bocca,
Guardando il bellissimo smeraldo incastonato nell’anello d'oro, vide che era così piccolo che poteva star bene solo al ditino più grazioso e più affascinante del mondo. Baciò mille volte l'anello, lo messe sotto il capezzale, e ogni tanto, quando credeva di non esser visto da nessuno, lo tirava fuori per guardarlo.
Ma non aveva il coraggio di chiedere che gli portasserò la ragazza, pelle d’asino o come si chiamava, perché lo avrebbero preso per matto.
Questi pensieri lo tormentarono così tanto che gli si tornò la febbre alta, e i medici, non sapendo più che cosa dire, dichiararono alla Regina che il principe era malato d'amore. La Regina andò subito dal figlio, insieme al Re, e non sapevano darsi pace."Figlio, mio caro"disse il Re,"Dicci chi è che tu vuoi, ché noi promettiamo di dartela, fosse anche la più vile fra tutte le schiave della terra."
Il Principe, intenerito dai pianti e dalle carezze disse allora: "Padre mio e madre mia", io sposerò solo la fanciulla che potrà infilare quest'anello al suo ditino, chiunque ella sia".
Il Re e la Regina presero in mano l'anello, lo guardarono attentamente, e finirono col pensare che poteva andar bene, solo a una fanciulla aristocratica di buona famiglia. Il Re, abbracciò il Principe e lo pregò di guarire, poi andò a dare ordini che i suoi banditori ed araldi richiamassero al palazzo tutte le fanciulle da marito per provarsi un anello, e che quella che avrebbe potuto infilarlo avrebbe sposato il principe.
Prima arrivarono le Principesse: poi le Duchesse, le Marchese e le Baronesse; ma nonostante gli sforzi più grandi nessuna riuscì ad infilarsi l'anello.
Arrivarono allora le borghesine, che se pur graziose, avevano dita troppo grosse.
Toccò poi alle cameriere; ma anche loro non riuscirono a mettersi l’anello.
Allora il Principe volle che venissero le cuoche, le sguattere e le pecoraie: tutte gli furono portate davanti, ma i loro ditoni grossi e tozzi non poterono infilare l'anello al di là dell'unghia.

Allora il principe chiese:"È stata fatta venire quella Pelle d'Asino che giorni addietro, mi fece un dolce?". Tutti si messero a ridere e risposero di no, perché era sudicia da far schifo. "Cercatela subito", disse il Re, "non sarà detto mai che io abbia fatta una sola eccezione." Ridendo e burlando, corsero in cerca della tacchinaia. La ragazza, che aveva sentito i tamburi e il bando degli araldi , s'era già figurata che il suo anello fosse la causa di tutta questa confusione.
Amava il Principe, e temeva che qualche dama avesse un ditino piccolo come il suo, così fù molto contenta quando infine vennero a cercarla.
Dal momento che era venuta a sapere che cercavano un ditino al quale andasse bene il suo anello, aveva preso a pettinarsi con più cura del solito e a mettersi il suo bel busto d'argento, con la sottana tutta balze e ricami d'argento e di smeraldi. Appena sentì che la cercavano per andare dal Re, si nascose però nella sua pelle d'asino. Gli uomini di corte, pigliandola in giro, le dissero che il Re la cercava, per farle sposare suo figlio; quindi in mezzo alle più matte risate, la portarono dal Principe: il quale, anche lui stupefatto dallo strano abbigliamento della fanciulla, non voleva credere che fosse quella medesima che aveva veduto coi propri occhi, così sfolgorante così bella! Triste e confuso per il suo sbaglio le chiese: "Siete voi che abitate nella buia catapecchia in fondo al cortile della fattoria?". "Sissignore!", rispose. "Fatemi vedere la vostra mano", disse egli tremando e con un grosso sospiro.
Grandissima fu allora la meraviglia di tutti, quando videro uscir fuori da sotto a quella pelle sporca e bisunta, una manina delicata, bianca e color di rosa, dove l'anello s’infilò senza nessuna fatica nel più bel ditino del mondo!
Poi, per un leggero movimento fatto dalla ragazza, la pelle cadde, ed ella apparve in tutta la sua abbagliante bellezza !
Il Principe, sebbene ancora molto debole, si gettò ai suoi piedi e l'abbracciò con tanto ardore, che la fece arrossire; ma nessuno quasi se ne accorse, perché anche il Re e la Regina vennero ad abbracciarla con grandissima tenerezza, e le chiesero se fosse contenta di sposare il loro figliuolo. La Principessa, confusa da tante carezze e dall'amore che le dimostrava questo bel Principe, stava per ringraziare, quand'ecco che il soffitto della sala si aprì per magia, e ne scese la fata Lilla,
su di una carrozza intrecciata di fiori !
Così la fata raccontò con molta grazia tutta la storia della fanciulla.
Il Re e la Regina furono molto contenti di sapere che Pelle d'Asino era una gran principessa, ma per il Principe non aveva importanza, essendo già perdutamente innamorato di quella ragazza.. La sua impazienza di sposarla era così forte, che non lasciò nemmeno il tempo di fare i preparativi per le nozze regali.
Il Re e la Regina, anche loro innamorati della fanciulla, le facevano mille carezze e la tenevano sempre stretta fra le loro braccia.
Ma lei aveva dichiarato che non poteva sposare il Principe senza il consenso del Re suo padre; che perciò fu il primo ad essere invitato, senza dirgli per altro il nome della sposa: la fata Lilla che controllava ogni cosa, aveva voluto così, per evitare brutte sorprese. Arrivarono Principi e Re da tutti i paesi; su grandi carrozze dorate, a cavallo di elefanti, perfino di tigri e di aquile; ma il più magnifico di tutti fu il padre della ragazza, che arrivò a cavallo di un drago ! Per fortuna nel frattempo era rinsavito, aveva dimenticato la sua innaturale fissazione per lei e aveva sposato una Regina, vedova e molto bella.
La ragazza andò a incontrarlo; ed egli la riconobbe subito e l'abbracciò con gran tenerezza. Il Re e la Regina gli presentarono il loro figlio, al quale egli fece tanti complimenti.

Le nozze furono celebrate con grandissima ricchezza, ma i giovani sposi, incuranti di tutte quelle magnificenze, non vedevano e non pensavano ad altro che al loro amore. Il Re, padre del Principe, fece incoronare suo figlio lo stesso giorno, e baciandogli la mano, lo collocò sul trono al suo posto, malgrado lui non volesse, ma doveva ubbidire. Le feste di quel grande matrimonio durarono più di tre mesi; ma l'amore dei giovani sposi durò molto più a lungo, tanto finchè vissero, felici e contenti, per tanti, tanti, tantissimi anni.

Naturalmente anche io fui invitato a quel matrimonio grandioso, per raccontare qualcuna delle mie favole. E in cambio mi feci dare dalla giovane sposa la sua vecchia pelle d’asino unta e bisunta: la conservo nel Museo delle Fiabe e se venite a trovarmi ve la farò vedere.
Insieme alla mela avvelenata di Biancaneve, alla scarpetta smarrita di Cenerentola, all’ombra di Peter Pan, alla piuma fatata che faceva volare Dumbo, alla spada nella roccia di re Artù, al capello magico di Topolino apprendista stregone, al collari di Lilli e del Vagabondo, all’arco di Robin Hood, al Bianconiglio di Alice, al fuso che punse Aurora, la bella addormentata, ecc…, ecc…, ecc…

Nonnorso.

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