domenica 3 luglio 2011

Gilliat...il mostro 5^ ed ultima parte

gli scogli delle Douvres

GILLIAT...IL MOSTRO
Quinta ed ultima parte.

Gilliat attese il tempo necessario a digerire il lauto pranzo a base di cernia ai ferri che finalmente lo aveva sfamato. Restò per un pò seduto al sole, su di una cengia del più alto scoglio della Druve, contravenendo così per la prima volta da quando vi era sbarcato, all'ossessiva determinazione di lavoro senza respiro, per realizzare quell'impresa impossibile...
Poi si alzò, si stiracchio godendosi il tiepido calore del sole e la piacevole sensazione di pienezza che gli aveva reso il pasto consumato.
Quindi, modificando la scaletta dei lavori che aveva mentalmente prgrammata, visto che era già lassù, accanto al ponte di sollevamento,
si dedicò a sbrogliare le funi dei paranchi incattivite dalla tempesta, rimettendole in chiaro.
Infine, con il sole ancora alto poco oltre lo Zenit, scese per effettuare l'immersione in programma: ripescare quello scrigno intravisto sul fondale e svelarne il contenuto. Arrivo sul piatto scoglio di granito accanto alla "pancia", si spoglio del solo camiciotto, mantenendo il fido coltellaccio al suo fianco, nella cintura dei pantaloni. Fece alcuni esercizi di iperventilazione per accumulare più ossigeno possibile nei polmoni e dallo scoglio direttamente si tuffò verso l'abissso. Sulla spinta del tuffo fù velocemente sul fondale, senza fatica, tranne quella minima di compensare la crescente pressione durante la discesa.
Si accorse arrivando in profondità che il forte abbrivio lo aveva spinto oltre lo scrigno, ritrovandosi già all'ingresso della caverna.
Avendo allora ancora tutte le forze e riserve d'aria praticamente intatte ne approfittò per entrarvi ed esplorarla rapidamente.

Non esiste pescatore apneista che riesca a sottrarsi al fascino di simili visite, essendo gli antri sottomarini perlopiù ricchi di atmosfera, spesso di affascinanti visioni o perfino di misteriosi segreti.
Gilliat era così anche lui: forse ancor più atratto per il suo spirito avventuroso, l'intelligenza curiosa e la generosità vitale, che lo rendevano incline ad allargare ogni esperienza in ambito "naturale".
Trattandosi poi di un ambiente "marino"ciò era da lui sentito quasi come un dovere !
Penetrò così l'accesso di quel buio antro, sito a circa 10 metri di profondità, all'interno del quale la penombra resisteva alle tenebre: subito notò in fondo al buio della caverna una luce discendente dall'alto, sicuramente da un altro accesso posto in un'altra zona della scogliera. Troppo lontano comunque per poter pensare in quel momento di raggiungerla. Si limitò ad avanzare di qualche metro guardandosi intorno, ma subito con raccapriccio lo vide, chiaro e netto a due metri alla sua destra: uno scheletro bianco dal teschio macabramente ridanciano, solo in parte coperto dai pochi stracci che residuavano dai suoi vestiti.
Vinto l'attimo di stupito terrore, con una lieve sforbiciata di gambe gli fù subito sopra e notò tra quelle ossa, tra le costole vicino al cranio, un medaglione legato ad una collana di cuoio. Rabbrividendo allungò una mano per afferrarlo, mentre con l'altra, che già aveva impugnato il coltello, provvide a tagliare la striscia di cuoio che lo tratteneva.
Infilò rapidamente il reperto nella tasca dei pantaloni per averla libera nel nuoto e si voltò per uscire fuori da quella grotta...spettrale...e ritornare verso la scrigno, che sapeva subito li fuori, recuperarlo e quindi risalire.
Ma mentre già sporgeva la testa fuori dalla caverna sentì il terribile, inesorabile avvolgersi di un tentacolo intorno ad una gamba e poi subito, mentre si voltava anche intorno all'altra ! La formidabile presa gli lo aveva ormai gremito sino alle cosce, risucchiando voracemente la sua carne, nonostante fosse coperta dalla pesante tela delle braghe da marinaio, in una presa indisolubile.
Mentre si voltava Gilliat aveva già estratto il suo affilato e seghettato pugnale da pesca, 30 centimetri di lama, con cui riusciva all’occorrenza perfino a finire grossi tonni e pesci spada che si dibattevano nella sua rete o minacciavano di strappare le sue lenze.
Il mostro era sopra di lui, un enorme piovra tentacolare con occhi enormi e feroci e dal lungo becco acuminato, che avrebbe cercato di piantargli nel petto per risucchiargli, con una forza di aspirazione terribile, tutto il suo sangue, tutta la sua linfa vitale, ed infine ogni carne molle, sino a ridurlo come quel signore che aveva appena incontrato, sdraiato all'ingresso dell'antro fatale, la tana del mostro.
Gilliat partì subito a colpirlo, forte e veloce, cercando di recidere le spire che già imprigionavano le sue gambe, attento tuttavia a non ferire se stesso !
Ma subito senti un altro tentacolo avvolgergli il tronco, a partire dalla schiena, attorno al torace, fino al collo ! Ed un altro ancora afferrargli il braccio sinistro...
Il mostro lo attirava a se, alla suo orrido becco disgustoso, guardandolo con occhi sempre più grandi e terribili...
A quel punto Gilliat sapeva di avere una sola possibilità ed a quell'unica, flebile chançe doveva ricorrere nel disperato tentativo di sottrarsi alla belva vorace.
Lui conosceva bene le caratteristiche fisiche di quella specie animale,
tanti ne aveva pescati, sopratutto tra gli scogli, ma mai di dimensioni ancorchè vagamente comparabili a quel gigantesco esemplare con cui stava lottando. I più grandi che ricordava di aver pescato superavano di poco i due metri, misurandone la massima estensione dei tentacoli.
Solo nelle leggende dei pescatori aveva sentito narrare di bestie così gigantesche, verificate solo grazie alle loro spoglie, ritrovate lungo le spiagge, ivi trasportate dalle tempeste marine.
La belva che ora lo stava mortalmente serrando superava certamente i dieci metri !
Gilliat ormai stava arrivando ai limiti dell'apnea, il suo braccio che brandiva il coltello era ancora libero, ma lo sarebbe rimasto per poco…
Concentrò rapidissimamente ogni sua attenzione, ogni forza residua e tutta la lucidità della mente nel vibrare il colpo mortale alla base della testa del mostro, subito accanto alla bocca adunca armata di pungiglione. Gilliat sapeva che in quel punto aveva sede la sua prodigiosa "pompa", che permetteva alla belva quell'enorme forza aspirante.
Giunto a portata del fatale bersaglio, mentre già il mostro gli stava lanciando l'ennesimo tentacolo che gli avrebbe bloccato anche l'unico arto libero, protendedo su di lui l’orribile rostro, Gilliat vibrò il colpo della disperazione, veloce, fortissimo …inesorabile.
Istantaneamente quell'enorme corpo si afflosciò, svuotandosi come un sacco ! Le ventose che lo risucchiavano si allentarono, i tentacoli caddero ormai privi di forza e gli occhi terribili si spensero in una nuvola nera di liquido umore che dalla belva, mortalmente colpita, usciva offuscando l’acqua tutto intorno.
Gilliat scrollo via quel pesante groviglio, mostruoso ed ammosciato e guizzando in rapidi, lunghi movimenti di gambe e braccia raggiunse presto la superfice, l'aria !
Che inalò in totale abbondanza e con estrema ingordigia, per diversi, molti minuti, all'inizio ansimando e poi via, via, con più lenti e lunghi sospiri.
Restando nell’acqua salmastra lavò e massaggiò a lungo i tanti punti del suo corpo martoriati dalle terribili ventose. Salì infine sullo scoglio vicino, accanto alla “pancia”, spossato dal terribile sforzo, dal grande stress subito nell’impari lotta che lo aveva infine visto vincitore ma in cui era stato ad un pelo dal soccombere…

Come era accaduto sicuramente alla persona il cui scheletro Gilliat aveva rinvenuto nella caverna sommersa. Ricordandola si frugò nella tasca e ne trasse il medaglione di bronzo recuperato da quei resti.
Lo guardò bene stringendo gli occhi ancora accecati dal salmastro, nel luccichio riflesso di sole e mare, indicava una scritta: “Alphonse Cublin, comandante piroscafo Durand” !
Gilliat potè così ricostruire il dramma di quel naufrago, finito tra gli scogli in tempesta delle Druve, che forse tentava di salvarsi ma era finito inesorabilmente preda del mostro gigante. Ricordò quindi la presenza dello scrigno ancora sul fondale.
Gli rimaneva ancora quel recupero, prima di procedere alla fase finale del salvatggio della preziosa macchina, compito ormai lieve, dato che il terribile custode dello scrigno era già stato eliminato.
Gilliat procurò una fune, la legò allo scoglio e con l’altro capo legato intorno alla vita si tuffò nuovamente, direttamente dall’alto.
Fù subito sul fondo, accanto allo scrigno, attorno al quale legò la fune e poi risalì svelto in superfice per poi recuperarlo. Non era enorme ma assai pesante e per aprirlo dovette forzarne la serratura con il coltello: subito rimase abbagliato dall’intensa luminosità dei preziosi che conteneva, monili d’oro, diamanti ed altre pietre preziose, oltre a tante monete d’oro zecchino.
Gilliat non si domandò la provenienza di quella grande richezza, non aveva appigli ne motivi per formulare ipotesi, né aveva tempo per congetture. Ma mentre lo riponeva al sicuro nell’angolo più protetto del gavone della sua barca, rammentò vagamente la storia che aveva udito anni primi, di un tesoro rubato a Mastro Letierrì da un suo nostromo alcuni anni addietro…

Ma Gilliat ora aveva ben altro cui dedicarsi. Il sole era ormai oltre lo zenit e la bassa marea incombeva: bisognava provvedere senza indugi al sollevamento della macchina !
Operazione estremamente complessa e delicata, fondamentale, cui immediatamente si dedicò con la massima attenzione. La macchina era già completamente imbragata a dovere e le funi dei paranchi erano già state tutte risistemate in chiaro dopo la tempesta. Gilliat inizio allora il sollevamento, tirando le numerose funi un po’ alla volta, un breve tratto per ciascuna, saltando da un lato a quello opposto ed incrociando via, via i momenti di trazione, così da mantenere in piano equilibrio tutto quell’enorme, pesante apparato motore. Lo sforzo che doveva compiere non era indifferente, se pur assai rapportato: per ogni metro di fune che traeva il peso si sollevava neppure di un centimetro, così accadeva che presto la fune finisse ed occorreva recuperarla per ripristinarla, operazione quanto mai complicata nell’intricato sistema di pulegge che permetteva il sollevamento.
Lentamente, lentissimamente Gilliat vide emergere dall’acqua la macchina che, man mano ne usciva…aumentando il suo peso a causa di quel principio teorizzato migliaia di anni prima da uno scenziato della Magna Grecia, tale Archimede, a lui totalmente sconosciuto. Che aveva ugualmente teorizzato i principi della leva, basi fondamentali dei paranchi che Gilliat stava utilizzando per sollevare quella grande macchina: “datemi un punto di apoggio e con una leva sufficientemente lunga e robusta vi solleverò il mondo, aveva citato Archimede oltre 2000 anni prima...
Ed il mondo intero gli pareva stesse sollevando Gilliat, per l’enorme, lunghissimo sforzo che lo stava impegnando sino allo stremo !
Quando dopo alcune ore di quell'epico lavoro la macchina fù completamente fuori dal mare, Gilliat seppe che …aveva ancora almeno un’altra ora di lavoro. Bisognava infatti issarla ad un’altezza tale da potervi sotto introdurre la “pancia” su cui caricarla. Ma lo aiutò infine la marea: era ormai ora in cui la Luna, grande calamita del cielo sopra la terra, posizionata oltre l’orizzonte, a 90 gradi dallo Zenit delle Druve, avrebbe attirato gli Oceani, sollevandoli verso di se e quindi abbassandoli altrove. E la marea quella sera fù provvidenzialmente molto bassa, scoprendo gran parte degli scogli affioranti, così che Gilliat ebbe infine modo di saltare sulla “pancia”, levarne gli ormeggi fermi da settimane e remando con cautela nel breve tratto, comunque irto di secche affioranti tra le Druve, posizionarla, accuratamente ormeggiandola esattamente sotto la macchina, perfettamente in linea con il carico a bordo. Carico che avrebbe comunque poi aggiustato man mano che si fosse avvicinato alla stiva della barca che doveva riceverlo.

Gilliat si prese a quel punto un breve, meritatissimo riposo; mangiò parte della grande Cernia che aveva avanzato a pranzo e bevve acqua piovana, già recuperata dalle pozze in cima alle Druve, dove il sale degli spruzzi delle onde era meno presente, quella stivata nel bidone essendo ormai da giorni terminata.
Il giovane, mitico eroe era ridotto ad una sorta di spettro muscoloso, totalmente privo di grassi, in parte emaciato, gli occhi rossi ed infossati, i capelli ispidi ed infeltriti dal sale, la pelle ruvida, scalfita dalle intemperie marine, le unghie rosicchiate dagli scogli, gli arti, la schiena ed il torace piagati da mille urti accidentalmente subiti ed ora anche dall’atroce risucchio delle terribili ventose del mostro. Ma aveva ancora in se una forza incredibile, che gli veniva dallo spirito valoroso, indomito, dalla mistica fede nel risultato che solo appartiene al grande guerriero invincibile, assolutamente determinato alla vittoria oppure…alla morte.
E la vittoria per lui aveva un volto: quello soave, bellissimo di Deruscet

Drouet, amante di V:Hugo, cui si ispirò per il personaggio di Deruscet

Si prese quel riposo anche perché ora poteva attendere il determinante aiuto dell’alta marea, che sollevando la “pancia” vi avrebbe quasi automaticamente caricato la grande mole della macchina a vapore.
E così fù: Gilliat ebbe allora il compito assai più lieve, di mollare gradualmente tutte le funi dei paranchi attrezzati, ma soprattutto quello molto più delicato ed impegnativo di far si che il carico scendesse esattamente, perfettamente centrato, nell’incavo della stiva della “pancia”!
Operazione che terminò con successo nella tarda penombra di un sole ormai da tempo tramontato, luce scarsa, tuttavia sufficiente a Gilliat, ormai divenuto anche “felino” nell’uso della vista notturna.
La barca con il suo preziosissimo carico era già ormeggiata al meglio possibile, ma per maggior sicurezza Gilliat lasciò ancora in moderata tensione tutte le funi dei paranchi che lo legavano al sovrastante ponte di carico abilmente costruito tra le Druve.
E dopo quell’ultima, forse più epica giornata di lotta e di lavoro, risalì nella sua tana di roccia, finalmente per riposare.

Gilliat era sparito da Guernesì, senza che nessuno ne notasse quasi l’assenza, mentre l’attenzione generale rimase a lungo catturata dal naufragio della Durand: per giorni non si parlò d’altro, sprecandosi ogni oziosa congettura su come Messer Cublen avesse potuto, contrariamente alla sua fama di marinaio accorto e prudente, ripartire da Dover in quel giorno di fitta nebbia ed infido mare per avventurarsi alla cieca nel dedalo di scogli e secche che rendono quel mare tanto pericoloso.
Come avesse potuto…, ebbene nessuno sapeva spiegarselo.
Comunque era a tutti evidente che aveva pagato con la vita l’errore commesso, qualunque ne fosse l’esatta natura. E purtroppo non solo con la sua vita !
Mastro Letierrì, senza pace, assai sofferente per la gravissima perdita del suo Pirsocafo, molto lentamente sembrava rassegnarsi, consolato in ogni mdo dalle donne di casa, soprattutto dalla diletta Deruscet.

Che tuttavia aveva già segretamente recepito un ottimo motivo di distrazione nella persona del giovane nuovo ministro del culto protestante, venuto e reggere la parocchia di Guernesì, sostituendo l’anziano titolare, oramai in età per la pensione.
Entrambi, l’anziano prelato uscente ed il nuovo, giovane sostituto, avevano fatto un giro di presentazione presso le famiglie dei notabili di Guernesì, e Mastro Letierrì fù uno dei primi che andarono a trovare.
Il nuovo pastore era un bel giovine, alto, slanciato, biondo di capelli con occhi cerulei, dai dolci lineamenti e modi compiti, eleganti ma senza affetazione. Pareva un Arcangelo disceso dal Paradiso.
L’incotro con la soave, non meno angelica Deruscet, fù una sorta di fulmine per entrambi: si videro, si riconobbero per le loro fattezze tra gli eletti e si amarono, così, a prima vista, senza nulla dirsi ed ancor meno fare, se non guardarsi con reciproco rapimento !
Ciò che ebbe poi a ripetersi in varie altre occasioni, in Chiesa o altrove. Occasioni in parte cercate, volute da entrambi, prima inconsciamente, poi con crescente, determinata consapevolezza.
Così che presto il reciproco interesse fù palese non solo a loro due.
Di certo non fù colto da Mastro Letierrì, troppo ottenebrato dal suo dolore, che se tuttavia l’avesse notato non l’avrebbe approvato, essendo da sempre suo preciso disegno avere un genero che fosse anzitutto “marinaio”…e sicuramente non un damerino vestito da prete ! Un marinaio, un capitano per la Durand, il suo piroscafo…
Ma quella nave ora non c’era più !

Era ancora buio, quando nel sonno Gilliat avvertì sul viso scoperto una fredda brezza che s’insinuava fin nel suo cunicolo. Faticosamente risvegliato da quell’alito marino, prese vagamente coscienza che giungeva da Nord, Nord Est e che era insolitamente“fresco”. Subito fù completamente sveglio ed allarmato, ogni senso teso a recepire l’eventuale imminenza del pericolo !
Uscito sulla roccia percepì vagamente nel buio senza stelle una leggera increspatura del mare e la conferma del vento, non ancora teso ma decisamente fresco che soffiava di Grecale. La situazione era sicuramente favorevole, la migliore per un rientro a Guernesì con il vento in poppa ed il mare a favore, quale lui tante volte aveva auspicato. Ma poteva divenire assai pericolosa se vento e mare fossero cresciuti, come sembrava indicare il cielo palesemente coperto.
Gilliat dovette decidere. Rimandare ancora la partenza significava confinarsi ancora, non sapeva quanto a lungo, in quella trappola di scogli dove fino ad allora era assai faticosamente e pericolosamente sopravissuto, lui, la “pancia” ed il prezioso carico. Ora tutto era pronto per il rientro. Gilliat non ebbe dubbi: la decisione era automaticamente già presa.
Velocisssimo recuperò dalle grotte sulle Druve le poche cose ancora utili, soprattutto i suoi attrezzi e li caricò sulla “pancia”, ormai completamente ingombra ed immersa fino alle murate dal pesantissimo carico. L’operazione più lunga fù recidere rapidamente tutte le funi che ancora affrancavano la macchina al ponte di carico, gli argani inclusi.
Nel giro di neppure un’ora, manovrando a remi con grande ansia e fatica in mezzo alle insidie di tutti quegli scogli, fù finalmente in grado di levare le vele, che si gonfiarono d’un botto, gloriosamente tese verso la meta finale: Guernesì.
Per farvi rotta Gilliat si affidò, in assenza di stelle, alla luce dell’alba ormai in arrivo nel lontano, fievole chiarore che ad Est intravedeva. Della bussola a quel punto diffidava, ed a ragione, non essendo tarata per quell’enorme carico di metallo che ora la barca recava, sicuramente in grado di alterarne il magnetismo.

Nonostante il greve carico ne appesantisse oltremodo la linea di dislocamento, la barca procedeva veloce, ad almento sei, sette nodi, tutte le vele armate al gran lasco, sulla spinta decisa della brezza sempre più tesa e della corrente favorevole.
In poche ore Gilliat fù in vista dell’Isola, ne doppiò il capo nei cui pressi si vedeva la sua casa, solitaria, a strapiombo sul mare, e poi dentro, nel lungo seno riparato, sino al porto ancora semideserto per l’ora tuttavia mattutina.

I pochi, marinai e pescatori presenti rimasero sbalorditi per l’incredibile visione di quell’improbabile battello, quell’impossibile scherzo marino che stava attraccando al molo principale, nei pressi della casa di Mastro Letierrì: un barcone a vela, immerso finoalle murate, che recava un grosso, pesante apparato motore di piroscafo, con tanto di ruote !
O meglio: un pesante, enorme motore di Nave a Vapore che avanzava sulla spinta di vele che forse appartenevano ad una qualche barca mimetizzata sotto tutto quell’incombro !
Dopo svariati, lunghi secondi di incredulo stupore, gli astanti capirono e presero ad urlare, dandosi reciprocamente la voce, richiamando ogni altro che ancora dormisse, suonando corni e campane di richiamo,
strillando al miracolo incredibile, all’evento epico e magico di tutti i tempi: il motore della Durand era stato strappato agli artigli feroci delle Druve e ora giungeva a Guernesì salvo, intatto, ivi recato sulla sua inverosimile barca a vela da Gilliat, il “Bu de la rue”, il solitario marinaio pescatore in fama di stregoneria e diabolici sortilegi.
Ciò che superava di gran lunga ogni possibile altra diavoleria che si potesse immaginare !

Preoccupato da tutto quel clamore che stava sollevando Gilliat si defilò velocemente. Saldamente ormeggiata al molo la “pancia”, con il suo vistoso carico, dove solitamente attracava la Durand, l’eroe provato di tanta impresa, stanco, tirato e consunto, si avviò verso casa per un ben meritato riposo.
E quando si coricò sul suo rigido giaciglio di paglia e di crini, gli parve fosse il più soffice, comodo ed accogliente materasso di piume...dopo le diverse settimane in cui aveva dormito in un cunicolo di nuda roccia.

Mastro Letierrì fù strappato quasi a forza al sonno agitato in cui continuava a rivivere senza fine il drammatico naufragio della Durand. Suoni di corni e di campane, voci urlanti che chiamavano il suo nome davanti alla sua porta, sotto casa, lo destarono.
Smarrito, incredulo, allarmato, lentamente cominciò ad afferrare tra quelle grida alcune parole: dicevano della “macchina”, della “Durand”, di un miracoloso, impossibile salvataggio…Chi aveva dunque il corraggio di celiare su quel dramma ?
Rallentato dalla ruggine che al risveglio tende a ristagnare nelle ossa dei vecchi, Mastro Letierrì si alzò, si vestì ed accompagnato dalle donne si affaciò all’uscio di casa, dove una piccola folla insisteva gridando, chiamandolo, invitandolo a venire poco più avanti, al molo antistante dove avrebbe ritrovato il “miarcolo”, l’incredibile sorpresa: la macchina a vapore della Durand salvata dalle Druve, insperabilmente recuperata dal mago stregone, il diabolico Gilliat !
Trascinato da tutta quella gente, claudicando veloce sull’appoggio del bastone, Mastro Letierrì fù ben presto davanti al prodigio. Gli occhi sbarrati, un filo di bava alla bocca tremante per l’enorme, improvvisa emozione, riconobbe subito la sua magnifica, costosissima macchina a vapore, l’unica che ormai da anni aveva regolarmente incrociato in quei mari spingendo la sua nave, la Durand.
Ma di navi si poteva facilmente realizzarne altre, mentre di macchine come quella era ben difficile ed estremamente costoso a quei tempi potersi dotare.
Vinto il tremore che gli aveva preso anche le gambe, Mastro Letierrì si avvicinò al motore, sul bordo del molo, osservandolo attentamente, controllandone a vista ogni angolo, ogni lato, ogni superfice: tutto pareva in ordine, privo di rotture, di ammaccature o graffi. Perfino le ruote motrici, le più delicate ed esposte agli urti, gli parvero sane, in ordine, a parte un paio di longheroni leggermente piegati, ma di facile ripristino.
Fù subito una grande festa, che presto quel giorno propagò in tutta l’Isola ! Ma tra le grida di giubilo, congratulazioni e festeggiamenti Mastro Letierrì non dimenticò l’eroico, l’epico autore dell’impossibile impresa: Gilliat !
Come aveva potuto un uomo evidentemente solo, umile, silenzioso marinaio pescatore, giovane timido e schivo compiere quel miracolo?
Mastro Letierrì voleva saperlo, voleva “conoscerlo”, perché nulla in effetti sapeva di lui, tranne le sue modeste sembianze, avendolo raramente incrociato ed appena risposto al suo rispettoso saluto. Sapeva anche delle dicerie che su di lui correvano, in odore di stregoneria e diavolerie varie, ma a queste cose Mastri Letierrì era alieno, il suo scetticismo essendo confortato da una lunga esperienza di vita, trascorsa in giro per il mondo, dove miti e leggende si sprecano, ma la solida concreta realtà dei fatti è l’unica cosa che infine resta sempre dimostrata.
Ed i fatti erano lì, miracolosamente, felicemente davanti a lui.
Che fine aveva fatto l’attore di tanto prodigio ? Portatemelo dunque, andate a recuperarlo, che io possa abbracciarlo come un figlio, il salvatore che mi ha restituito la vita ! Portatelo qui, che io possa ribadirgli la mia promessa: sarà lui il Comandante del mio nuovo piroscafo, la Durand Seconda, attrezzata con la macchina da lui prodigiosamente recuperata, sarà lui mio genero, il padre dei miei nipotini !

Accanto a Mastro Letierrì, in mezzo alla folla esultante era giunta anche Deruscet, ugualmente strappata dalle braccia di Morfeo, sonno che tuttavia nel suo caso non implicava incubi funesti, ma ben altrimenti era popolato dalle tenere immagini del suo efebico principe azzurro, il leggiadro giovane Pastore arrivato ad assistere i fedeli di Guernesì.
Anche lei stralunata dall’inverosimile ed improvvisa novità non aveva ancora avuto alcun modo di coordinare pensieri ed emozione, né tantomeno ralizzarne le conseguenze. Perciò quando udì l’ultima, stentorea dichiarazione di suo padre, che ribadiva la promessa già fatta, di darla in isposa a chi “mai” avesse compiuto l’impossibile impresa, subito colse la terribile situazione in cui ora si trovava irrimediabilmente calata !
A quella promessa lei stessa aveva formalmente aderito, confermandola con una sua precisa affermazione “…ed io lo sposerò”, riferendosi all’ipotetico autore del miracolo, allora da tutti ritenuto, a ragion veduta, assolutamente improbabile !
Ma ora…l’impossibile era accaduto e lei vi si trovava tragicamente coinvolta…
Così, di fronte a quell’imporvviso incontro con l’inesorabile realtà che drammaticamente ora la riguardava, Deruscet fece banalmente ciò che ogni fanciulla del suo tempo era solita fare, in occasioni anche assai meno sconvolgenti: svenne.
Fatto che fù tranquillamente da tutti attribuito alla forte emozione, alla grande gioia per il lietissimo evento. Ciò che ebbe a confermare il medico, anche lui tra i presenti, che tastatole il polso ne consigliò il consueto allentamento di stringhe e bottoni che ne costringevano strettamente le leggiadre forme negli abiti, risaltandole come di moda, per favorire invece una più adeguata ossigenazione, il trasporto sul divano di casa, ed infine gli inevitabili “sali” da annusare, per favorire la ripresa dei sensi.

Così Gilliat fù strappato dal suo pesante, troppo recente sonno senza sogni, da un gruppo di rumorosi volontari inneggianti al suo nome, sorpreso di non ritrovarsi ancora alloggiato nel cunicolo di roccia in alto mare, sullo scoglio della Druve.
Stralunato e più ancora allibito dalla novità mai prima accaduta, né tantomeno immaginata, di tanta gente che veniva a cercarlo, in tripudio di grida gioiose, che stavano magnificando la sua impresa, il miracolo da lui compiuto.
Incuranti della sua evidente stanchezza, non era neppure un’ora che si era addormentato, lo costrinsero a vestirsi ed a seguirlo, portandolo poi quasi a braccia, in trionfo al cospetto di Mastro Letierrì, dove infine giunse rallentato dai molti cappanelli di gente che voleva complimentarlo, festeggiarlo, toccarlo, domandarlo…

Alla presenza del suo futuro suocero e della sua promessa sposa Gilliat arrivò in condizioni pietose: tuttora stralunato, spaventato dagli eventi in corso come neppure l’ultima, terribile tempesta sulle Druve era riuscita, emaciato ed incavato nel volto, sciupato dalle privazioni, dagli sforzi e dai marosi, i capelli di stoppa infeltrita dopo settimane ininterrotte di salsedine, gli occhi infossati ed arrossati, le labbra spaccate dal sole e dal sale, i rozzi panni da marinaio di fatica raffazzonati su di un corpo cui ormai mancavano una decina di chili al peso forma…
Come avrebbe mai potuto quella sorta di spaventapasseri competere nel cuore di Deruscet con il bellissimo, delicato, slanciato, compito, curatissimo giovane dall’eloquio forbito, Pastore di anime, che la sua anima già aveva ampiamente colta ?
Non c’era storia, non esisteva competizione possibile !
Perfino mastro Letierrì di fronte a quell’immagine rimase disorientato, e faticò a collocarla mentalmente accanto a quella deliziosa, raffinata, leggiadra damina che era sua filgia Deruscet…, ma subito fù oltre, perché già aveva indovinato, almeno in parte, quali terribili prove, tremendi sacrifici e strapazzi quell’eroico giovane avesse dovuto affrontare e subire per riportargli il suo tesoro…
Ma un altro tesoro ancora Gilliat gli portava, che nella concitazione del forzato risveglio non aveva tuttavia dimenticato. Dopo aver subito immobile l’abbraccio paterno di Mastro Letierrì, Gilliat trasse dal pesante sacco che recava appeso tra le mani, lo scringo conteso al Mostro Marino e lo porse a quello che reputava essere il leggittimo proprietario.
Che di nuovo non riuscendo a credere a quanto ancora e di più stava accadendo, subito lo riconobbe. Ma sembrandogli anche questo evento assolutamente impossibile, guardò Gilliat con aria smarrita ed interrogativa…Gilliat quasi sorrise ed ebbe un minimo cenno di affermazione, quasi riflesso, con il capo…
Mastro Letierrì prese allora quello scrigno, lo pose sul tavolo della grande sala stracolma di gente, e di fronte a tutti quei testimoni lo aprì, abbagliandoli con il luccichio dei preziosi che conteneva : si, era il suo “tesoro”, il frutto di risparmi di una vita intraprendente, labiorosa ed avventurosa, investito in quei monili, che gli furono anni prima proditoriamente sottratti dall’infido ladro, un suo nostromo canaglia, invano poi ricercato ovunque fosse possibile.

Non trovando più parole per magnificare le imprese di Gilliat, che lo stava con quelle sorprese totalmente abacinando, Mastro Letierrì tornò ad abbracciarlo e poi chiese al popolo che affollava casa sua di allontanarsi, cortesemente ringraziandolo per l’entusiastica partecipazione, ma ora era giunto il momento di riacquistare un minimo d’intimità, di quiete, anche per consentire al giovane taciturno, palesemente schivo e restio, di aprirsi nel racconto delle sue mirabolanti incredibile imprese.

Racconto che il vecchio padron Letierrì faticò comunque a cavar fuori da Gilliat, quasi parola per parola, insistendo e pregando.
Seppe così, per sommi capi dell’impossibile avventura, di come quel giovane invincibile eroe, udita la promessa dichiarazione del premio pronunciata da Mastro Letierrì, era partito per conquistarlo. Di come si era organizzato, delle difficoltà enormi incontrate e come le aveva superate, della strenua lotta con le forze tremende della natura, della battaglia con il mostro subacqueo, del rtitrovamento del cadavere di Cublen e dell’inspiegabile presenza del tesoro su quel fondale, accanto al suo scheletro.
Dopo aver scavato per quasi due ore nel laconico, totalmente restio eloquio di Gilliat, avendogli nel frattempo offerto adeguato ristoro con un abbondante colazione, unicamente alla quale Gilliat non risultò alieno, Mastro Letierrì ebbe un quadro sufficientemente completo e logico degli eventi, per quanto essi si confermassero assai più incredibili, nel loro epico divenire, di ciò che lui avrebbe mai potuto immaginare.
Infine Gilliat ebbe l’ardire di chiedere di essere congedato: la sua stanchezza era ormai tale che non riusciva più a sostenersi, come accade spesso anche a causa delle grandi emozioni, che residuano il crollo dopo gli sforzi estremi.
Mastro Letierrì comprese e chiamò una carrozza con cui fece riaccompagnare il giovane a casa sua, non prima tuttavia di avergli estorto la promessa che sarebbe stato da lui a cena, con Deruscet…, quella sera stessa.

E quella sera arrivò ancora la carrozza a prenderlo: Mastro Letierrì aveva ormai ben compreso l’introverso e schivo carattere di Gilliat e temendo che non sarebbe venuto lo mandò a prelevare.
Il giovane giunse un po’ meno disastrato di come era apparso quel mattino, più riposato, evidentemente ripulito e rasato , nei suoi panni migliori, comunque rozzi e dozzinali, seppur pratici e robusti.
Non era affatto un brutto uomo, di statura medio alta, ben proporzionato ed atleticamente strutturato, lineamenti regolari, grandi occhi scuri incassati sotto la fronte alta, gli ondulati cappelli castani schiariti dal sole e dal mare, la pelle scura, cotta dal sole, con disegnate piccole rughe, quasi invisibili e tuttavia presenti.
Anche il suo portamento, per quanto chiaramente impacciato dalla timidezza, era sciolto, agile ed essenziale nei movimenti, così come appariva diretto e franco il suo rarefatto esprimersi, anche per la grande ritrosia di fondo.
Mastro Letierrì lo osservò attentamente apprezzandone il deciso miglioramento: quello era il “Comandante” che lui aveva sperato di trovare per il suo piroscafo affondato, quello era il “Comandante” che ora aveva trovato lui, consentendogli di far rivivere la “macchina a vapore”, insperatamente recuperata in una nuova Durand !
Ma quella sera a cena mancava Deruscet …
Mastro Letierri la scusò: cose da fanciulle: troppe emozioni in una sola volta…
Tutti quei nuovi sorprendenti fatti inattesi, d’immane portata, la rinascita della Durand ed il conseguente tornare a vivere del suo vecchio proprietario…
E poi…, soprattutto…quella sbalorditiva novità, che ora aveva un matrimonio in vista, un promesso sposo, lui Gilliat !
Il cui imporvviso rossore, a quelle parole, era mimetizzato solo in parte dalla forte abbronzatura.
Richiesto da Mastro Letierrì se fosse d’accordo, Gilliat sempre più confuso si schermì, farfugliando infine qualcosa tipo “come avrebbe potuto non esserlo”…!
Che ormai nulla di più al mondo poteva desiderare.
La cena ebbe comunque luogo, con la sola presenza delle altre donne di casa, un’anziana sorella e la matura governante del vedovo anfitrione. Oltre naturalmente alla cuoca ed una cameriera.

Come già quella mattina Mastro Letierrì dovette ancora impegnarsi per far sì che Gilliat si aprisse, benchè minimamente, ed insistendo con domande sempre più mirate riuscì a migliorare decisamente il quadro degli avvenimenti per cui qull’incredibile giovane aveva osato, voluto, saputo e potuto compiere l’impresa più straordinaria che mai il vecchio comandante, rotto a mille esperienze ed avventure, avrebbe mai pensato di poter assistere.
A tarda sera esauriti entrambi, l’inquisitore e l’inquisito, conclusero accordandosi per un nuovo incontro il giorno successivo.
Questa volta in presenza di Deruscet, promise Mastro Letierri !
Gilliat rifiutò di essere ancora scarrozzato a casa sua, avendo voglia di sgranchirsi in una passeggiata rilassante prima di coricarsi.

Ciò che Gilliat non poteva sapere, era che quel pomeriggio c’era stata una grave scenata tra padre e figlia, la quale totalmente disperata, aveva tra le lacrime confessato il suo nuovo, recentissimo amore per il giovane Ministro della Chiesa Protestante, testè giunto a Guernesì.
Mastro Letierrì, normalmente dolce e comprensivo con la figlia, non aveva retto a quella rivelazione: già non gli andavano i “preti”, di qualunque confessioni fossero, senza particolare avversione confessionale, ma solo in quanto tali…
La sua tendenza, le sue esperienze lo portavano a considerarli inutili, poco sinceri, spesso ipocritamente strumentali nei loro interventi…
Lui poi era il classico laico Volterriano, fondamentalmente illuminista, se pure non conoscesse che assai vagamente il significato di tali definizioni. Era un rude, franco uomo di mare, uso ad affrontare direttamente, guardandolo negli occhi, il Grande Spirito di tutte le cose.
E poi, mettersi con quel “damerino” da strapazzo, bellino si, ma unicamente manieroso, palesemente privo di di quella sostanza di fondo che sola appartiene ad un vero uomo ! Quella che aveva in abbondanza e da vender all’ingrosso, Gilliat !

A parte tutto ciò, che poco non era…c’era una precisa promessa, un solenne impegno da lui assunto ed immediatamente ribadito da Deruscet alla presenza di molti testimoni ! E Mastro Letierrì aveva una sola parola. Così come doveva essere per sua figlia. Che udite tali perentorie affermazioni non volle più sentire altro.
Si rinchiuse nella sua stanza a piangere disperatamente per tutto il giorno e non ci fù verso di farla più uscire, figurarsi partecipare alla cena con Gilliat !
Ma Mastro Letierrì non disperava di riuscire presto a farla rinsavire: in fondo la riteneva solo una bimba alle prese con il capriccio del momento, le sarebbe passata ed avrebbe presto imparato ad apprezzare un altro nuovo, più adatto giocattolo…
Lui sicuramente l’avrebbe molto “aiutata” in tal senso.
E così si era sbilanciato a prometterne a Gilliat la presenza per l’incontro del giorno successivo.

Uscito dalla casa dello suocero promesso…Gilliat fece alcuni grandi respiri liberatori, guardo il cielo stellato, indovinò il bel tempo del giorno dopo, v’intravvide l’incantevole volto di Deruscet che gli sorrideva e si avviò verso la sua casa solitaria, sulla via del promontorio che chiudeva il porto di Guernesì, verso il Capo degli annegati.
Ma non fece che pochi passi, perche subito udì un disperato singhiozzare. Fermatosi realizzò che proveniva giusto dalla casa da cui era appena uscito. Avvicinandosi verso quello straziante lamento lo localizzò venire dalla finestra socchiusa che sapeva appartenere alla camera di Deruscet !
Nel buio e nel silenzio della notte Gilliat si fermò ad ascoltare.
Udiva il gran pianto, ora interrotto da voci esagitate, che riconobbe essere quella di Mastro Letierrì e della stessa Deruscet.
Il padre stava dicendo, la voce alterata da forte emotività: “Tu sposerai Gilliat ! Certamente non quel pretucolo da bomboniere… Ricorda la tua solenne promessa, quando neppure un mese fa affermasti davanti a tutti che avresti senz’altro sposato chi fosse mai riuscito a recuperare il motore della Durand…Ora un vero uomo, un incredibile eroe, audace, temerario vincitore dell’impossibile c’è riuscito contro ogni previsione, contro ogni probabilità, e tu avrai il grande onore di diventare sua moglie !”
Al che la voce strazziata e singhiozzante della fanciulla replicò “ Si è vero, ho detto che l’avrei fatto, ma era come giurare sull’impossibile. Alla stessa maniera avrei potuto giurare che avrei sposato un asino qualora fosse stato capace di volare…
Allora non avevo ancora conosciuto il nuovo Pastore, non avevo sentito il mio cuore battere forte per lui…E’ lui, solamente lui l’uomo che io voglio sposare, lui o nessuno !”.
“Ed allora sarà nessuno ! Come madamigella desidera.” aveva urlato Mastro Letierrì, chiudendo il dialogo e sbattendo la porta.

Gilliat era rimasto pietrificato udendo involontariamente quel concitato, durissimo e straziante discorso che totalmente lo riguardava .
Rimase immobile dov’era, quasi senza respirare per un lunghissimo, infinito lasso di tempo, pietrificato, timoroso di palesare la sua presenza , che ora sapeva essere sgradita a Deruscet, anche solo con l’azione…del pensiero.
Poi, lentamente, con sforzo infinito, riprese a camminare, ma come un automa, verso casa.

Gilliat, il “bu de la rue”, il prode, mitico eroe, lo stregone capace di incantesimi ed altre diavolerie, il solitario e taciturno marinaio pescatore…
Ma Gilliat era soprattutto un folle, tenerissimo ed incredibile romantico, vergine di qualsiasi affare di cuore !
Un pazzo sentimentale, privo di alcun senso delle proporzioni, così come della minima esperienza amorosa…
Trasferito nel campo dell’amore era più immaturo di un neonato !
Ogni sua grande capacità, tutto il suo accorto e pratico raziocinio non avevano in quell’ambito il minimo valore.
Gilliat era perdutamente innamorato, silenziosamente, segretamente, ma assolutamente e totalmente di lei, Deruscet, da quando quell’inverno la ragazza aveva scritto, così per scherzo, il suo nome nella neve. Gilliat non aveva pensato ad altro, esattamente come un pazzo maniaco, ossessionato da un’unica visione, da un’unica meta !
Poi a quella ossessione aveva provvisoriamente sostituito l’altra, il recupero della macchina naufragata tra gli scogli delle Druve, ma solo perché quello era divenuto l’insperato tramite per realizzare davvero il sogno di avere Deruscet !
Senza la quale oramai non sarebbe più riuscito a vivere !
La sua incredibile vittoria nella sfida all’impossibile era totalmente a lei dedicata e da lei motivata. Gilliat vi aveva già arrischiato almeno cento volte la vita perché la sua vita aveva ormai valore unicamente in funzione di lei.
Vita che ora, sentendosi totalmente, crudelmente rifiutato, non considerava più, assolutamente degna di essere ancora vissuta.

Gilliat procedeva trasognato, freddo ed insensibile come un manichino animato. Non aveva più pensieri, ne sentimenti, né sensazioni, se non un enorme, immenso dolore. In lui ora era rimasto solo quello : il dolore.
Il rifuto dell’amatissima, ma incosapevole Deruscet, l’aveva ucciso.
Superò la sua casa senza vederla, senza smettere di camminare e salì la china verso l’alto promontorio.

Quando fù lassù, in cima al vertiginoso strapiombo sul mare, continuò a non avere pensieri, ne sensazioni, completamente in preda dell’enorme, indicibile dolore.
Automaticamente, come per prepararsi ad un’apnea profonda...
fece alcuni lunghi respiri ritmati, poi…
spiccò il volo, come un gabbiano…

Senza un grido, senza un lamento, piombò in mare novanta metri più in basso, in mezzo agli scogli.

Quella fù la fine di Gilliat…il mostro, il bruto che aveva osato amare la bella, innarivabile principessa della favola senza lieto fine.

foto di piovra gigante





























































































































Nessun commento:

Posta un commento