martedì 7 giugno 2011
GILLIAT...il MOSTRO
GILLIAT...IL MOSTRO 1^ Parte
Racconto derivato da "I lavoratori del mare" romanzo di V.Hugo. L'illustrazione qui accanto,
tratta da originale del 1870 c.a, rappresenta i terribili scogli delle Drouves.
L'imbocco della Manica, canale tra l'Oceano ed il tempestoso Mare del Nord, è una specie di enorme imbuto, dove spesso infuriano onde e vento in arrivo dall'Atlantico. Ma quando si scontrano con i venti e le onde gelide che battono dalla parte opposta, scendendo dal Mare del Nord, allora si hanno le tempeste più terribili !
In quel mare,tra la Manica e l’Oceano Atlantico si trovano le isole di Guernesey e Jerseyi ed altre minori, oltre ad un infinità di pericolosissimi scogli.
Più ad est c’è lo stretto della Manica, tra i porti di Dover e di Calais.
Per navigare in questo mare, seminato di scogli pericolosi e spesso battuto da forti tempeste, bisogna essere veri marinai, capaci e coraggiosi.
Gilliat era uno di quelli. Era ancora un ragazzo, ma aveva ormai ben imparata l'arte della navigazione a vela, alla scuola più dura e severa: quella dei pescatori delle Isole della Manica.
Gilliat era orfano: era giunto sull'Isola bambino piccolissimo, solo con una donna non più giovane, forse la madre, forse la nonna, che con il suo poco denaro aveva comprato una vecchia casa diroccata con un pò di terra intorno, a ridosso di un aspro e roccioso promontorio dell'Isola, battuto dal vento e dal mare.
La donna aveva lavorato fino a consumarsi, aggiustando la casa, coltivando la sua terra e crescendo il bimbo, finchè era morta.
Così Gilliat era rimasto solo e solitario.
Era un ragazzo forte, coraggioso, ma di pochissime parole e senza nessun amico. Bravo marinaio, ma anche ottimo carpentire aveva ripescato una grande barca, mezza affondata nelle secche della scogliera davanti a casa sua, l'aveva aggiustata come nuova e ne aveva fatto il suo battello da pesca, che sapeva governare meglio di chiunque altro in mezzo alle acque così spesso molto agitate e fra i tanti scogli pericolosi del mare della Manica.
La sua abiltà nella navigazione e nella pesca, gli permetteva di arrivare normalmente per primo in porto la mattina, alle banchine del pesce, per vendere al meglio tutto quello che aveva pescato durante la notte.
Gran nuotatore si allenava quasi tutti i giorni in piccole o grandi trasversate ed immersioni in apnea profonda, spesso risalendo dagli abissi con ostriche, conchiglie, aragoste od altre prede.
Diversi erano gelosi delle sue capacità e dicevano in giro che fosse una specie di indemoniato, figlio della strega defunta, sua madre o nonna che fosse. Inoltre abitava nella vecchia casa solitaria che si diceva fosse sempre stata covo di pirati, diavoli e fantasmi. Il suo sopranome era
"Le bu de la rue".
Ma Gilliat non ascoltava quelle voci, comunque non se ne dava pena.
Viveva la sua vita solitaria, tra il mare, il vento, le vele della sua barca, i pesci che pescava ed i prodotti dell'orto che gli aveva lasciato la sua mamma-nonna.
Sull'Isola viveva anche Mastro Letierrì, anche lui grande marinaio, proprietario del primo ed unico piroscafo mercantile che navigava il mare della Manica, nave a vapore che trasportava merci tra le Isole, la Normandia e la Bretagna. Quella nave si chiamava Durand.
Mastro Letierrì, diventato ormai troppo vecchio per sostenere la fatica di navigare al comando del suo piroscafo, lo aveva affidato al suo abile Nostromo, Messer Cluben, che continuava con successo e grande maestria a portare in giro per quel mare pericoloso la bella e veloce nave a vapore.
Mastro Letierrì aveva un'unica figlia di nome Deruscet, giovane e bella come una principessa, e come fosse una principessa l'aveva cresciuta, facendole avere la migliore educazione e circondandola di ogni occasione per diventare un'aristocratica fanciulla, dai modi assai compiti e perfino sofisticati.
In pratica una "principessa" senza blasone.
Mastro Letierrì aveva anche un sogno: trovare un "Principe" per sua figlia Deruscet che fosse anche un ottimo "Capitano" per il suo piroscafo Durand.
Non era sogno facile da realizzare, ma non aveva fretta: Deruscet era ancora molto giovane ed era di gusti molto difficili, non sarebbe stato facile trovare un giovane "Principe-Capitano" che non facesse arricciare il suo aristocratico nasino...
Del resto anche la nave non aveva fretta, affidata alle abili mani del Capitano Nostromo, Messer Cluben, che per quanto non fosse giovane non era neppure vecchio, era molto fidato, capace e poteva comandare la Durand ancora per anni.
Una sera d'inverno che era nevicato Gilliat stava facendo una passeggiata lungomare e vide lontano, davanti a se una leggiadra figurina che lo precedeva: quando si voltò a guardarlo riconobbe in lei Deruscet, la bellissima figlia di Mastro Letierrì. La ragazza si fermò, si chinò come frugando nella neve con la mano e poi subito ripartì con passo svelto.
Arrivato in quel punto Gilliat notò, ma solo per caso, che nella neve c'era scritto il suo nome: "Gilliat". L'aveva scritto la fanciulla !
Il ragazzo aveva già notato la bellezza ed il fascino di quella ragazza, incontrandola per caso nelle vie del porto, perlopiù in compagnia del padre, ma non aveva mai osato pensare di poterla avvicinare, né tantomeno di desiderarla.
Ma ora, di fronte a quel gesto, rimase colpito, frastornato...: la ragazza sapeva il suo nome e gli aveva inviato un segnale..., gli aveva dimostrato la sua attenzione !
Allora Gilliat il solitario, lo scontroso e timido introverso che viveva emarginato da quasi tutti gli abitanti dell'Isola, osò quasi pensare, quasi sperare di poter avvicinare Deruscet, di corteggiare e far sua quell'inarrivabile "Principessa" !
In realtà Deruscet non aveva alcun interesse per Gilliat, se non l'infantile curiosità per quella sorta di strano ed isolato tipo, di cui si raccontavano storie, perfino leggende diaboliche intrise di stregoneria.
Scrivendone il nome nella neve aveva voluto semplicemente sfidarne la presenza ed esorcizzarne i paventati poteri occulti.
Di quell'episodio, di quella specie di incontro da lontano, in Gilliat rimase però un segno profondo, indelebile ed indimenticabile: tanto poco era bastato alla sua semplice ed inesperta emotività sentimentale.
Messer Cublen, il Nostromo ora capitano del piroscafo Durand, era un uomo tarchiato, non alto ma solidissimo, grande nuotatore, quasi come il giovane Gilliat, e valente marinaio: dell’arte della navigazione, a vela ed a motore, sapeva tutto ed aveva un’enorme esperienza, avendo anche lui, come Mastro Letierri, proprietario del piroscafo Durand, navigato per tanti anni attraverso i mari e gli Oceani di tutto il mondo. Aveva inoltre fama di essere persona di tutta fiducia, di specchiata e meticolosa onestà. Per questi motivi Mastro Letierri, che lo aveva avuto con sé come nostromo per tanti anni, ritirandosi gli aveva affidato il comando, cioè il destino della sua nave.
Ma purtroppo sotto la pelle dell’agnello si nascondeva il “lupo”!
Messer Cublen era in realtà quel lupo, travestito da agnello !
Era un lupo che viveva da sempre nascosto sotto la candida pelle dell’agnello: molto astuto e gran calcolatore solo raramente compiva i suoi misfatti e senza farsi mai scoprire, sempre alla ricerca del grande “colpo”, quello che gli avrebbe permesso di ritirarsi definitivamente a vivere nella ricchezza frutto dei suoi delitti.
Alcuni anni prima era accaduto che un altro nostromo, che navigava sulla Durand con Mastro Letierri gli avesse rubato un gran tesoro, uno scrigno pieno di oro e pietre preziose, la dote di nozze dell’allora giovanissima Deruscette. Quel ladro matricolato era poi sparito con tutto il tesoro senza farsi più trovare.
Ma Messer Cublen, che quel ladro avrebbe voluto essere stato lui, non aveva mai smesso di cercarlo, sempre indagando, cercando e domandando in tutti i suoi viaggi per mare. Finchè lo aveva rintracciato nel porto di Dover ! Era di passaggio e travestito da prete Quacchero, si era fatto crescere i favoriti sulle tempie e si era tagliato i baffi, i suoi capelli erano diventati in parte grigi, ma Cublen lo riconobbe immediatamente.
Senza farsi accorgere lo seguì, ne curò le mosse, ne calcolò gli spostamenti ed indagò sulle sue intenzioni. Seppe infine che, coinvolto nelle beghe allora in corso tra Napoleone e gli Inglesi, stava cercando di scappare in America ed aveva già trovato un imbarco clandestino verso il nuovo continente.
Mastro Cublen lo seguì di nascosto sino quell’imbarco, sull’alta costa a precipizio sul mare, dove era in attesa di una scialuppa che venisse a prelevarlo. Cublen allora lo affrontò e lo spinse facendolo precipitare sulla sottostante scogliera, ma non prima di avergli sottratto lo scrigno del tesoro, che lui aveva già rubato a Mastro Letierri anni prima.
In quello scrigno c’era tutta laricchezza che Cublen aveva sempre desiderata ! Che ora avrebbe potuto finalmente ritirarsi a godere per il resto dei suoi giorni.
Ritornò sul piroscafo Durand, che il giorno dopo avrebbe dovuto riportare all’Isola di Guernesy e, contrariamente al suo solito, festeggiò bevendosi un’intera bottiglia di acquavite !
Così che al mattino si sveglio tardi, rintronato e stordito, con un forte mal di testa.
Tra Dover e le Isole, nel canale della Manica battuto dalle tempeste, tra le tante insidie, tra gli infiniti pericolosi scogli affioranti, ci sono le grandi “torri” di Duvre, enormi scogli di granito che troneggiano in mezzo al mare, terribili da vedersi ma assai più da avvicinare !
Invisibili nella nebbia che spesso copre il mare della Manica, grave ostacolo alla navigazione, spesso inevitabili nelle tempeste quando, scorti all’ultimo momento nella breve distanza non si riescono più ad evitare.
Nessuna nave finita contro gli scogli delle Duvre si è mai salvata !
Nessun passeggero o uomo d’equipaggio !
Le rocce di granito tagliente si ergono maestose sino a 30, 40 metri d’altezza. Torri verticali acuminate come enormi denti di squalo, a precipizio in un circostante mare profondo, in cui si nascondono probabili mostri marini, pronti a divorare ogni preda finita in quegli abissi, tra altri scogli taglienti e sommersi, caverne ed anfratti,
sempre coperti dal mare profondo.
Quegli scogli terribili si trovavano sulla rotta, sulla via del ritorno all’Isola di Guernesy che quel giorno Messer Cublen, al comando del piroscafo Durand si apprestava a navigare.
Quella mattina a Dover c’era molta nebbia, sospinta da un vento da Nord Est che presagiva mare molto agitato. Il piroscafo Durand partì comunque alla volta dell’Isola di Guernesy, ma con le stive semivuote per mancanza di merce da trasportare.
Aveva solo un carico di bovini destinato ad un allevamento e poco d’altro.
Appena uscito in mare aperto il comandante Messer Cluben si era fatto sostituire alla guida della nave dal suo Secondo, perché non si sentiva in condizione. La sbornia della notte precedente ne era la causa: gli girava la testa, gli pulsavano dolorosamente le tempie, aveva le gambe malferme, lo stomaco in subbuglio e la vista annebbiata peggiorava l’effetto della…nebbia, che già pesantemente rendeva quanto mai ardua la navigazione in quell’infido mare.
Cublen non era abituato all’alcool, l’episodio solitario della sera prima poteva solo giustificarsi per la grandissima emozione di quanto gli era accaduto, l’uccisione del ladro da tanto tempo ricercato e l’euforia per la grande ricchezza che così aveva conquistata, contenuta nello scrigno del tesoro, ora rinchiuso nella cassaforte della sua cabina.
A metà giornata la nebbia non era scomparsa, ma il mare s’era incattivito: onde sempre più alte e dirompenti spingevano la Durand da Nord Est, colpendola ed agitandola in continuazione di tre quarti a poppavia: il Piroscafo procedeva così in un tribolato dondolio, tra il beccheggio ed il rollio, ma sicuramente più veloce di quanto il motore non le rendesse, grazie alla spinta del mare.
Il Secondo al timone faceva del suo meglio, aguzzando la vista in quel ceco biancore: già un paio di volte era riuscito ad evitare all’ultimo istante scogli e secche apparsi all’improvviso, ma gli mancavano completamente dei punti di riferimento visibili. Il punto stimato verso mezzogiorno non aveva potuto misurare la latitudine, causa l’offuscamento totale del sole, perso oltre la nebbia.
Tenendo conto della spinta dei motori, della corrente, dell’orario e del costante orientamento della bussola, aveva calcolato, ma molto a spanne, di trovarsi a circa 30 miglia a Nord Nord Est di Guernesy, quindi in rotta per la destinazione.
Dopo aver mangiato qualche galletta asciutta, più per sedare l’acidità di stomaco che non per fame, Messer Cublen salì faticosamente in plancia e chiese notizie al secondo sulla navigazione. Avutele volle controllarle a sua volta, rifacendo una stima della spinta del motore, rimasta sempre costante a mezza forza, della spinta del vento e della corrente, e quindi dei possibili scarroccio e deriva, tenendo costante l’orientamento della bussola: Sud Ovest.
Alla fine il suo dato, anch’esso quanto mai approssimativo, risultò diverso da quello rilevato dal Secondo: per lui la nave si trovava già a circa 10 miglia a Nord Est di Guernesy ! E Cublen era sempre stato un vero fenomeno nell’arte della navigazione, anche in quanto ad orientamento ! 20 miglia di differenza non erano poca cosa !
Subito Cublen memorizzò visivamente nella sua mente oramai lucida, avendo smaltito infine i fumi dell’alcool, la carta navale di quella zona con i segnali di pericolo relativi ed immediatamente si rese conto che, se non aveva sbagliato i calcoli, si trovavano ora nelle immediate vicinanze delle terribili Druve, gli altissimi, enormi scogli, taglienti come denti di squalo, che s’innalzavano come torri assassine in mezzo al mare della Manica, 10 miglia a Nord Est dell’Isola di Guernesi !
Non fece in tempo a ribadirsi la scoperta di quell’emergenza incombente che udì un urlo terrorizzato provenire da fuori, da prua, dove era piazzato un marinaio in vedetta di turno, per cercare di vedere prima del timoniere in quella fosca nebbia ed avvertirlo.
Un urlo disperato di allarme, non fece in tempo a capirne le parole che subito anche lui vide il terribile pericolo, ormai talmente vicino da essere inevitabile !
Stavano puntando dritti, sobbalzando sulle onde diventate più alte e dirompenti, verso le tremende torri di Druve: gli alti scogli di granito tagliente stavano oramai sovrastando la nave, che già era sul punto di entrarvi in mezzo !
Messer Cublen immediatamente capì di essere perso, nessuna manovra oramai poteva salvarli: erano completamente circondati dagli scogli assasssini, l’unica possibilità avrebbe potuto essere retrocedere, ma con il mare che spingeva proprio da dietro, sommandosi all’abbrivio dato alla nave dal motore, ciò non era assolutamente fattibile !
Gridò comunque subito: “macchina indietro, a tutta forza !” E non aveva ancora finito di urlare quel comando che già correva da basso, alla sua cabina, per recuperare dalla cassaforte lo scrigno della sua nuova richezza, a cui aggrappare la sua ultima disperazione.
Aveva appena iniziato a scendere le scale che sentì il grande colpo, il primo, della nave contro gli scogli. Cui subito seguirono gli altri, in progressiva successione, con enormi stridii per gli squarci che gli scogli immersi, taglienti e potenti come magli giganteschi, stavano provocando allo scafo della nave, che presto cominciò ad innondarsi e ad affondare.
Messer Cublen riuscì comunque a raggiungere la sua cabina e a recuperare il suo tesoro. Fece anche in tempo a risalire in coperta, ormai anch’essa sommersa dalle onde e sballottata tra gli scogli, giusto sotto le terribili Druve.
Poi fù preso dai flutti, sballottato in quell’enorme frullatore che le onde furiose formavano tra gli scogli, esasperadone la distruttiva potenza.
Cublen era si un grande nuotatore, ma in quelle circostanze anche il migliore di tutti non avrebbe avuto speranze. Tuttavia lui fece del suo meglio: con grande accortezza s’immerse in apnea verso l’abisso, dove il mare assai meno risente dell’onda, cercando di raggiungere un anfratto più riparato in cui poi riemergere.
Il suo calcolo per quanto disperato non era sbagliato. Dopo oltre un minuto di apnea, nuotando in profondità con vigorosi colpi di gambe e dell’unico braccio libero, l’altro essendo impegnato a serrare lo scrigno del suo tesoro, superò la stretta porta, lo spazio che divide le Druve. Oltre il quale capì che avrebbe trovato una calma relativa, onde meno feroci, mare meno ribollente, per la protezione data dagli scogli verso la grandiosa spinta del mare che giungeva dalla parte opposta.
Vicino ormai al limite dell’apnea iniziò a risalire, ma improvvisamente si sentì afferrare una gamba, poi l’altra, da tentacoli terribilmente forti, contro i quali nulla avrebbe potuto. Fù così inesorabilmente trascinato verso il basso, privo ormai di ossigeno e di forze che comunque nulla avrebbero potuto per salvarlo.
E con lui il suo tesoro.
Fine della prima parte.
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