giovedì 16 giugno 2011

GILLIAT...IL MOSTRO 3^ Parte

GILLIAT...IL MOSTRO
Terza Parte
(foto di tempesta in arrivo, vista da uno scoglio che simula la testa di...un "mostro", una enorme iguana !)

Il vento era fresco, ma il mare calmo, appena increspato: la brezza Atlantica accompagnò la mattina stessa Gilliat a ridosso delle Druve, al termine della bassa marea. Il fumaiolo della Durand sporgeva ora dall'acqua per almeno due metri. Gilliat calcolò che, se lo scafo non era stato completamente distrutto, la restante chiglia posando sul fondo, c'era in quel punto, sotto le Druve, alla "porta dell'inferno", una profondità di una decina di metri. Quando fù a ridosso delle secche che circondavano l'infida scogliera, in gran parte sommersa ma pericolosamente affiorante, ammainò velocemente tutte le vele ed avanzò sfruttando sapientemente l'abbrivio dello scafo, indirizzandolo con i pesanti remi nell'acqua relativamente calma ma irta tuttavia di pericoli.
Lentamente, con circospezione, Gilliat arrivò fin sotto gli scogli giganti, sino a toccare con lo scafo della barca il fumaiolo della Durand. Giudicò che quello fosse un attracco provvisoriamente sicuro e vi legò la "pancia", serrandola contro l'enorme tubo emergente, da prua e da poppa.
Poi, vista la temperatura relativamente calda della giornata mite, decise di fare subito un'ispezione in apnea al relitto, per rendersi esattamente conto della situazione. Unicamente bardato con il suo coltello da pescatore legato intorno alla vita, prese diversi, lenti e profondi respiri e si tuffò in quell'acqua limpida ma tetra, subito nuotando verso l'abisso, contemporaneamente deglutendo ed a tratti soffiando contro le narici serrate con le dita, per compensare la crescente pressione del mare profondo contro i timpani auricolari.
Fù subito prossimo al fondale: lo scafo c'era ancora, ma squarciato da numerose falle, alcune assai grandi, tali da permettergli di nuotarvi comodamente all'interno. Ciò che rapidamente fece, limitandosi a controllare nella penombra della poca luce che filtrava, le condizioni della caldaia a vapore e dell'apparato motore.
Tutto gli parve in ordine, salvo qualche possibile secondaria e rimediabile ammaccatura. Anche le grandi ruote laterali allo scafo, destinate a spingere il piroscafo tra le onde, sembravano essere state risparmiate dalla furia degli elementi, sopravissute indenni al naufragio.
Ai limiti ormai dell'apnea, Gilliat risalì veloce avvertendo crescente fame d'aria: aveva trascorso nuotando sul fondo quasi tre minuti, ma ciò era per lui ordinaria amministrazione.
Risalendo gli era parso di avvertire come un'ombra inseguirlo dall'abisso, ma poi girandosi senza nulla vedere, aveva pensato ad un gioco di luci, tremolanti a causa della superfice mossa dell'acqua.

Risalì a bordo della "pancia", si asciugò per bene, si rivestì e passò a guardarsi attentamente intorno.
Per prima cosa aveva bisogno di un rifugio, il più possibile sicuro, per la sua barca. Subito dopo gli occorreva un attendibile rifugio per se stesso, un riparo dall'acqua del mare e di quella che inevitabilmenbte sarebbe piovuta dal cielo, protetto dai venti, talora gelidi, che perlopiù soffiavano alla velocità di molti nodi. Infine gli occorrevano un'officina, dove possibilmente installare anche una focolare per alimentare una forgia da fabbro ed un magazzino, dove stivare ed asciugare il legname recuperato dal naufragio, utile anche ad alimentare la forgia.
Tutte bazzeccole da realizzare!
Là, in mezzo al tempestoso mare della Manica, esasperato incrocio tra l'Oceano ed il Mare del Nord, sopra quegli aguzzi scogli taglienti, aridi ed inospitali, battuti da onde anche gigantesche e talora da venti che neppure i gabbiani sapevano gestire !
Gilliat iniziò con il preoccuparsi per la barca. Sapendo che le maggiori bufere in quella zona muovevano nelle direzioni da Est verso Ovest e viceversa, cioè trasversalmente di circa 45° rispetto alla "porta dell'inferno" tra le Druve, doveva trovare un ridosso, una sia pur minima cala in qualche modo protetta da queste correnti di vento e di mare.
Liberò la "pancia" dall'ormeggio provvisorio del fumaiolo e si mosse lentamente alla ricerca, dosando sapientemente la forza sui grossi remi.
Superato con estrema attenzione lo stretto passaggio tra le Druve, vide a manca un breve ridosso tra scogli più piatti, meno esasperati, ma con possibili appigli per le funi d'ormeggio, oltre il quale le rocce tornavano a stringere, in un successivo passaggio, appena più largo delle Druve, ma non troppo, così che avrebbe volendo potuto costruirvi una rudimentale diga di protezione, una porta chiusa contro il mare più esasperato, a riparo della sua barca.
Da quel ridosso inoltre, ormeggiatavi la "pancia", avrebbe potuto agevolmente risalire su quasi tutti gli scogli circostanti.

Gilliat organizzò l'ormeggio incrociando ben quattro canapi, tesi dalla barca verso altrettanti solidi ed ortoganali spuntoni di roccia, intorno ai quali legò le funi preventivamente protette dall'atrito con adeguata imbottituta di stracci.
Nulla, in quell'ambiente ostile poteva lasciare al caso od alla "sfortuna". La "pancia" era così sistemata: in quel ridosso alloggiava giusta, giusta, quasi fosse una darsena a sua misura.
Sbarcò poi sulla parte più alta e più piatta dello scoglio adiacente, una sorta di alto molo naturale, scaricandovi tutto il suo carico: cibarie, attrezzi, vestiti, unicamente lasciando sulla sua barca il grosso e pesante bidone dell'acqua potabile, da cui avrebbe attinto via, via, a secondo della necessità.

Ora doveva provvedersi di un rifugio, di un magazzino e di un'officina,
niente di più semplice !
Si attrezzò per risalire la roccia ed affrontò la scalata della Druve minore, su cui aveva intravisto verso la vetta una rientranza, un possibile incavo. Vi arrivò facilmente, pratico scalatore com’era di strapiombi e dirupi, che circondavano la sua casa di Guerenesì verso il mare, ma tra le proteste dei gabbiani cui risultava invadente intruso. Trovò in effetti un incavo, una piccolissima grotta profonda poco oltre due metri e larga ancor meno, in cui non poteva rimanere in piedi ed entrare solo carponi.
Aveva tuttavia pendenza ed orientamenti favorevoli per potervi riposare all’asciutto al riparo dalle intemperie. Gilliat vi depositò cibo ed indumenti che issò fin là in cima con una fune, predisponendone poi un’altra più grossa lungo l’alto scoglio, affrancata con chiodi da roccia nei punti di più agevole risalita, così da permettergli di salire e ridiscendere con relativa facilità.
Poi affrontò il terzo problema, quello dell’officina.
Dall’alto del suo rifugio aveva già scorto di fronte ma più in basso, sulla Druve più alta, circa 7 od 8 metri sopra il livello dell’acqua, un altro incavo, più grande ma più aperto, meno riparato.
Raggiunse anche quella postazione: era effettivamente assai più ampia, forse 3 metri per 4 ed alta circa 2, ma aperta su quasi tutto un lato verso il mare di Nord Est ed attraversata da una forte corrente d’aria a causa di una breccia aperta dal lato opposto, verso Sud Ovest, un lungo cunicolo di cui non si vedeva la fine, né si scorgeva la luce, ma da cui risultava soffiare decisamente il vento.
Subito Gilliat realizzò che quello scomodo sventagliare sarebbe potuto essere un ottimo mantice naturale per alimentare la combustione della sua fornace da fabbro!
Ma occorreva, tra gli altri accorgimenti, riparare la più grande apertura di Nord Est dalla pioggia e dagli spruzzi delle ondate più alte, che sospinti dal forte vento avrebbero facilmente potuto inondare quella più bassa ed aperta caverna.
In cui subito provvide a stivare, nella posizione più arretrata e riparata, tutti i suoi attrezzi, tranne l'ascia da carpentiere.
Era infatti ancora soltanto il primo pomeriggio e Gilliat aveva fortunosamente già risolto tutti i suoi problemi logistici: darsena per la barca, alloggio per lui ed offcina per i lavori più delicati od impegnativi. Per quanto riguardava il magazzino del legname aveva già anche risolto che quello più asciutto e più adatto ad alimentare la sua fornace di fabbro l’avrebbe in gran parte stivato nella stessa officina.
Per tutto il resto: travi, assi, funi ecc…avrebbe provveduto nelle nicchie minori, su cengie e balze relativamente abbondanti anche sugli scogli meno alti che circondavano le Druve, provvedendo a legare il materiale accumulatovi ed a ripararlo con la tela cerata che con se aveva portato e con quella che eventualmente avrebbe potuto recuperare dal naufragio.
Aveva già fatto una breve colazione arrivando, a bordo della “pancia” (alcune gallette inzuppate nell’acqua) per cui, avendo ancora svariate ore di luce davanti a se, partì subito a caccia di legname e quant’altro tra i relitti disseminati sull’ampia ed articolata scogliera.
Lavorando con l’ascia i pezzi più grossi, schiodandoli dagli assembramenti tuttavia superstiti e selezionando i vari pezzi a seconda della forma, dimensione e qualità del legno, a sera aveva già organizzato delle ottime riserve di materiale.
Era ormai buio quando l'instancabile lavoratore del mare si ritirò a riposare nella sua angusta nicchia, dopo una cena a base di gallette, carne secca ed acqua dolce.
Ed ebbe il meritato riposo del "giusto" che aveva compiuto un buon lavoro.

L’alba del giorno dopo colse Gilliat ranicchiato nelle pesanti coperte, riposato dopo una notte in cui aveva comunque dormito con un occhio solo, tuttavia attento a cogliere eventuali cambiamenti del tempo che avrebbero potuto mettere in pericolo la sua barca. Cambiamenti che, sulla base della sua lunga esperienza di marinaio pescatore, non erano comunque prevedibili nel breve termine di qualche giorno.
Dopo una veloce colazione a base di gallette e di stockfish Gilliat scese subito al lavoro: per prima cosa doveva mettere in maggior sicurezza la”pancia”, e lo fece realizzando una sorta di diga nello stretto passaggio della piccola darsena, subito oltre la porta dell’inferno formata dalle Duvre. Il giorno prima aveva già selezionato del legname adatto a quello scopo, raccolto tra i relitti della Durand. Incastrò con perizia tra gli scogli i travi di maggior spessore e consistenza, sui quali poi legò strettamente le assi più robuste, a formare un solidissimo assito, una porta frangiflutti che avrebbe potuto sfidare i violenti marosi che fossero precipitati da quel lato, ogni altro circostante la piccola darsena naturale essendo protetto dai formidabili scogli delle Druve.
Dopo di chè si arampicò sulla torre più grande, e raggiunta la caverna si apprestò ad organizzarvi la sua officina di fabbro. Innazitutto occorreva posizionare il focolare, necessariamente in linea con il providenziale mantice naturale che vi aveva scoperto il giorno prima, il potente soffio d'aria che attraverava la grotta giungendovi dal lungo e stretto pertugio che attraversava la roccia arrivando nella Caverna da Sud Ovest. Alla bocca di quella fessura Gilliat posizionò una sorta di braciere, organizzato con grossi frammenti di roccia, in parte raccolti nella stessa caverna, in parte prodotti spaccandone le pareti nei punti più acconci, con l’uso della pesante mazza appartenente al suo corredo. Su quel braciere pose a mò d’incudine un blocco di granito e all’uscita della fessura collocò un asse modellata su quell’apertura, così che orientandola poteva regolare il flusso dell’aria, come fosse un registro.
Realizzò infine una rudimentale barriera di travi ed assi incastrate nella roccia, per chiudere o quasi l’unico lato aperto della caverna, così da proteggierla dagli spruzzi delle onde più alte e dirompenti e dalle piogge di stravento.

Terminato anche quel compito scese accanto al fumaiolo della Durand, ad ispezionare la situazione assai più attentamente di quanto non avesse già sommariamente fatto.
Calcolò l’ingombro di tutto l’apparato motore del piroscafo ipotizzandone anche il peso totale, dato quanto mai preoccupante…!
Il progetto che aveva già in mente prevedeva infatti di liberare completamente quella parte fondamentale della nave, quella per cui Mastro Letierri era arrivato a promettere tutto quanto poteva, nell’impossibile caso fosse mai stata recuperata.
Apparato motore che a quei tempi valeva almeno quattro volte il costo dell’intera nave di esso privata.
Liberato il complesso motore, caldaia e ruote motrici con tutto il basamento, Gilliat avrebbe dovuto caricarlo in qualche modo sulla “pancia”, barcone molto ampio, solido e capace, sia in termini di volume che di peso trasportabili.
Ma per farlo avrebbe dovuto certamente dimostrare di essere ben più di quel gran mostro di stregoneria, imparentato con il diavolo, la cui immagine gli aveva cucita adosso la bigotteria superstiziosa dei paesani di Guernesì.
Gilliat calcolò anche gli spazi esistenti all’interno delle Druve, che svettavano giusto sopra il motore affondato, e cercò d’immaginarsi quali travi, quali pulegge, leve e paranchi tra di esse incastrati, avrebbe potuto organizzare che gli permettessero di sollevare tutto quel peso ad un’altezza sufficiente per potervi sotto introdurre la “pancia”, su cui poi calare l’enorme, preziosissimo carico.
Ragionò che non gli occorreva un grande diferenziale di sollevamento: così a naso potevano bastare poche spanne: bastava infatti sfruttare al meglio le maree…!
Se lui infatti avesse sollevato l’apparato motore con l’alta marea per poi introdurvi sotto la “pancia,”con la bassa marea in massima escursione, già solo quello spazio avrebbe forse potuto essere quasi sufficiente…!
Il problema restava comunque notevolissimo: quello d’imbragare tutta quella gran mole così che non avesse a cedere, a calare, financo a schiantare, nelle lunghe ore di attesa per la marea più bassa.
Si ripromise dunque di effettuare precise misurazioni del diferenziale di marea tra le Duvres, sopra la ciminiera sommersa, nonché valutare l’altezza sopra il livello dell’acqua della zona libera in coperta della “Pancia”, utile per il carico.
Teoricamente avrebbe anche potuto abbassarla, demolendo la parte più alta delle murate, ma ciò era in pratica da escludere, perché avrebbe esposto la barca a possibili allagamenti per le onde più formate.
Inoltre Gilliat già paventava come l’alto ingombro dell’apparato motore, posizionato sulla “pancia”, avrebbe impedito in misura non secondaria l’uso delle vele, soprattutto dovendo risalire il vento. Per il rientro a Guernesì avrebbe dovuto attendere un vento portante, dal quadrante Nord.
Ma in quel momento era quello l’ultimo dei problemi da risolvere ed affrontare !

Gilliat concluse la seconda lunga, faticosa ma redditizia giornata con un’immersione, per verificare meglio che lavoro lo attendesse, da svolgersi in apnea a svariati metri di profondità, per liberare completamente l’apparato motore da quelle parti dello scafo che ad esso erano ancora collegate.
Si spogliò, trattenendo legato alla cintola il suo coltello da marinaio e si tuffò nell’acqua trasparente, provvidenzialmente illuminata dal chiarore del tramonto, che come un faro enfatizzava la visione del piroscafo inabissato.
Nuotando vigorosamente, ma con movimenti lenti e lunghi, a risparmio di ossigeno, Gilliat fece il periplo dello scafo, in profondità, realizzando che almeno tre quarti del lavoro necessario già era stato compiuto dagli scogli e dai marosi.
Ma comunque gli sarebbe toccato lavoro da palombaro molto impegnativo, senza scafandro e, quel che era assai peggio, senza aria pompata per poter respirare.

Fine della terza parte.











































































































































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