(Battello Vapore a "ruote", simile alla "Durand",
impegnato al passaggio di Capo Horn)
GILLIAT...IL MOSTRO
Quarta Parte
Nei giorni successivi Gilliat lavorò ancora di più, mentre la notte, nella sua angusta tana di pietra riposava il corpo, ma assai poco la mente, occupato a calcolare, prefigurarsi ed organizzare le soluzioni da adottare per superare gli ostacoli enormi che lo separavano dall'esito impossibile.
Cercava di sfruttare al massimo la fantasia per inventare gli strumenti, le tecniche possibili, i marchingegni utili a raggiungere l'improbabile risultato: riportare a Guernesì l'apparato motore della Durand sano e salvo !
La prima cosa da fare era predisporre il sistema di sostentamento e sollevamento della macchina a vapore ed era questo forse il problema più grosso ed importante da risolvere.
Avrebbe così potuto imbragarla ed impedire che affondasse ulteriormente quando lui poi, lavorando sott'acqua in apnea, avesse provveduto a liberarla dai relitti dello scafo che ancora ad essa erano collegati e che la sorreggevano di qualche metro rispetto al sottostante fondale.
L'unica possibilità di Gilliat era di utilizzare le torri delle Druve come pilastri, tra i quali doveva quindi realizzare un "ponte" capace di sostenere l'enorme peso della macchina, dotato per altro di svariate carrucole, al servizio di un articolato sistema di paranchi in grado di provvedere al sollevamento.
Egli infatti aveva accertato che il differenziale di marea non era sufficiente per consentirgli di inserire la"pancia"sotto il carico da collocare: doveva provvedere un ulteriore inalzamento di circa un metro.
Calcolando anche l'altezza totale della macchina Gilliat aveva stimato che il ponte di sollevamento tra le Druve doveva posizionarsi a non meno di una decina di metri al di sopra del livello di alta marea.
A quell'altezza posizionò i pali più grossi e robusti che gli riuscì di pescare tra i relitti, incastrandoli ad arte in apposite nicchie che aveva scavato nella roccia di entrambe le torri. Al di sotto dei pali, a loro rinforzo e sostegno, posizionò poi numerose capriate, ugualmente incastrate al meglio tra le rocce ed affrancate con solidi canapi, così da formare un'imbragatura complessa, articolata, ma il più possibilie resistente.
Alla fine su quel "ponte"avrebbe potuto transitare un...treno !
Ed il peso della macchina equivaleva sicuramente a quello di un'intera Locomotiva, con l'aggiunta di qualche vagone !
Ma il lavoro più delicato fù poi quello che dovette fare come "fabbro", per organizzare tutte le carrucole necessarie a formare il complesso insieme di paranchi destinati al sollevamento.
Per far quello Gilliat dovette stare alla fucina e battere il ferro per almeno due giorni interi, modificando ed incrementando il per altro abbanodante materiale già recuperato tra i relitti disseminati sugli scogli e nei fondali più accessibili: ruote, carrucole, pulegge, e soprattutto i grossi paranchi di cui la Durand era dotata per il sollevamento delle merci da caricare e scaricare.
La mazza e la tenaglia, nelle forti ed esperte mani di Gilliat battevano e serravano il ferro incandescente sull’incudine di granito dandogli forma e consistenza, subito raffreddati in un bulacco d’acqua marina.
Una volta che ebbe pronto tutto quel materiale Gilliat salì sul ponte fra le Druve, per posizionarlo nei vari punti, funzionali al sollevamento, secondo un attento schema che prevedeva gli ingombri del carico in linee verticali, ma anche oblique del sollevamento.
Poi, come il ragno che tesse un enorme ragnatela, egli dispose attraverso tutte quelle carrucole un complesso sistema di funi, di tiranti riavvolte a più mandate per raddoppiare, quadruplicare…decuplicare le leve di forza che avrebbe dovuto applicare per sollevare l’enorme peso della macchina. I capi di tutte quelle funi raccolse alla fine in chiaro in posizione comoda, libera e sicura, per poterle manovrare tutte, contemporaneamente o quasi, una volta che avesse liberata ed imbragata la piattaforma che sosteneva macchina, favorito dall’alta marea.
Nel compiere tutte queste delicate, difficili e spesso pericolose operazioni, Gilliat si muoveva sugli scogli, si arrampicava sulle Druve, carponava sul prodigioso ponte da lui stesso realizzato, con l’agilità e la sicurezza di un esperto equilibrista e rocciatore, in totale economia di movimenti, sempre calibrandoli al meglio, sempre misurando ogni passo, ogni mossa, ogni sforzo !
Secondo i parametri correnti di un normale individuo quante volte arrischiò la sua vita in quell’opera impossibile ?
Sicuramente tantissime volte, ogni giorno.
Non gli mancava tuttavia la prudenza, anzi cercava di agire con la massima circospezione, conscio che anche un incidente di secondaria entità, una ferita, una frattura di lieve importanza in condizioni normali, là in mezzo a quell’improbabile isola di infidi scogli battuti dalle onde, nell’alto mare lontano da qualsiasi soccorso, avrebbe potuto essergli fatale, nel migliore dei casi vanificare tutto il suo eroico, epico, laboriosissimo tentativo.
Predisposto che ebbe il sistema di sollevamento Gilliat intensificò le sue immersioni in apnea per liberare la macchina dai residui rottami dello scafo. Ed allora trascorse intere giornate ad immergersi, inabissarsi e risalire, boccheggiante, sempre affamato di aria.
Per quanto infatti cercasse di risparmiare ossigeno, con movimenti lenti ed accorti, ilproblema là sotto era esercitare la forza necessaria per staccare dalla macchina lo scafo restante. Data la densità dell’elemento, non moteva usare efficacemente l’ascia da carpentiere né la mazza, il cui slancio veniva frenato dal peso dell’acqua. Dovette allora cercare di “smontare” ogni pezzo, allentando bulloni, tagliando bande d’acciaio con seghetto o cesoie ed aiutarsi infine con una lunga e pesante leva di ferro per divellere quanto già aveva allentato. Operazioni quanto mai imporbe, lunghe e spossanti da compiere in apnea ed in profondità: per ogni immersione, tolti i tempi per discendere e risalire, riusciva a dedicare al massimo due minuti, anche uno soltanto se lo sforzo che doveva compiere era tale da fargli velocemente bruciare ogni riserva d’ossigeno nei polmoni !
Poi, risalito in superfice, almeno due o tre minuti doveva riposare per riprendere fiato, per ricaricare l’ossigeno, ma restando in acqua, al freddo nel salmastro bagnato, che alla lunga finì per irritargli la pelle, in assenza di acqua dolce che potesse poi sciacquargli il sale di dosso.
Infine anche la macchina fù libera, nel frattempo già legata, affrancata in sicurezza alle funi del sistema di sollevamento soprastante che perciò risultavano ormai in tensione. Una tensione tuttavia ancora modesta, perché il peso della macchina immersa era così ridotto a neppure la metà, pari al peso del volume dell’acqua spostata, come un tale Archimede, totalmente sconosciuto a Gilliat, aveva teorizzato qualche mille anni prima. Ma se Gilliat non conosceva quell’antico scienziato ed i principi di fisica, matematica e geometria da lui formulati, ne conosceva per esperienza vissuta, sicuramente ne intuiva ogni conseguenza pratica ed era perciò in grado di agire illuminato da quella elementare ma profonda cultura, che gli apparteneva al miglior livello in quanto marinaio della vela, pescatore d’altura, carpentiere navale, fabbro provetto ed attento osservatore della natura e dei suoi fenomeni !
Gilliat a quel punto era pronto per la verità, per la grande, definitiva prova. Fino ad allora era stato sicuramente fortunato: il tempo, il clima lo aveva aiutato, favorendolo con giorante tiepide, mare relativamente tranquillo, notti non eccessivamente fredde, giusto qualche acquazzone di passaggio, utile per fare un po’ di provvista d’acqua dolce e per lavarsi la salsedine di dosso.
Ma proprio quando fù pronto all’imbarco della grande, pesante macchina sulla relativamente piccola “pancia”, certamente sottodimensionata a quel carico, Gilliat scorse all’orizzonte, nel tramonto un minaccioso agglomerato di nubi nere, che stava crescendo verso di lui rapidamente, sollevandosi via più sulla linea lontana del mare che confina con il cielo di ponente.
Era una tempesta Atlantica in arrivo ! Non ebbe dubbi: la prova che ora doveva ancora affrontare poteva essere terribile e vanificare completamente tutto il lavoro duramente e sapientemente svolto, tutti gli epici sforzi che aveva sino ad allora compiuti.
Calcolò che prima di quel fortunale aveva ancora due, forse tre ore per predisporre ulteriori rimedi, ripari, protezioni, sia a preservare la macchina e soprattutto la sua barca. La macchina infatti essendo ancora totalmente immersa ed imbragata era meno esposta, ma la “pancia”, per quanto legata e ridossata e già protetta ad Est dalla robusta diga, inizialmente posta da Gilliat nel varco della scogliera, non lo era altrettanto verso Ovest, dove c’erano è vero le formidabili Druve ed altri potenti scogli a far barriera contro i marosi, ma tra quelle torri restava pur sempre, per quanto stretta, la "porta dell'’inferno", attraverso cui la restante, dirompente forza di onde gigantesche, quali si formano durante gli uragani, si sarebbe facilmente insinuata sconquassando la piccola rada con la sua spinta, residua ma pur sempre devastante !
Gilliat allora, armato della sua ascia multiuso da carpentiere si era precipitato a radunare ogni possibile elemento: pali, assi, longheroni, utili ad improvvisare, il più rapidamente ma saldamente possibile, una barriera protettiva che chiudesse almeno in parte la “porta dell’inferno” rimasta aperta tra le Duvre.
Si aiutò anche con le poche funi che gli erano rimaste, ancorandole al meglio agli spuntoni di roccia esterni, contro l’incombente forza del mare, la cui spinta avrebbe contribuito a cazzarli ulteriormente, stringendone i nodi con cui erani fissati.
Realizzò quel lavoro incrociando le funi a circa 90 gradi, così che alla fine, tra le Duvre risultò tesa come una grande rete, dalle larghe maglie, formata da grossi canapi che s’intessevano con l’assito di pali e tavole, ugualmente incrociate.
Il tutto rendeva un risultato esteticamente assai discutibile, ma formava altrimenti una barriera protettiva che avrebbe potuto resistere almeno in parte alla furia degli elementi scatenati in arrivo.
Quanto avrebbe resistito, Gilliat l’avrebbe ben presto verificato: non aveva infatti ancora terminato che già un forte vento a raffiche lo investiva con prepotenza, mettendo a dura prova il buon equilibrio del suo piede marino.
Poi arrivarono le prime ondate. Ma non in maniera graduale: Gilliat fece in tempo a scorgerle e quindi a riparare velocemente nella sua nicchia, in alto, a circa 12 metri d’altezza sulla Duvre minore.
Quella che stava sopraggiungendo a gran velocità era un’alta barriera d’acqua spumeggiante, di almeno 5 o 6 metri ! Gilliat capì che quell’enorme massa di tonnellate liquide, che giungeva con l’inerzia di almeno 20 nodi di spinta, avrebbe messo immediatamente in discussione tutto il suo lavoro !
Ma non stette ad osservare: sapeva fin troppo bene che, per effetto della scogliera l’onda vi avrebbe rotto sollevandosi, arrampicandosi con forza dirompente, spazzando ogni cosa che vi si trovasse libera al di sopra.
E quella cosa non voleva essere lui, che ne sarebbe stato sbalzato via come un fuscello. Si incastrò invece il più saldamente possibile in fondo al suo minimo ricovero, impiantandosi con gli arti, in spinta contro le pareti di roccia.
Ed infatti l’onda assassina s’insinuò fin là dentro a cercarlo, tentando di snidarlo, di strapparlo via con la sua incredibile pressione !
Non fù solo la prima: molte altre ondate successive di uguale mole e spinta, o perfino maggiori insistettero a spazzare le Druve ed ogni altro scoglio, con la loro ramazza di tonnellate d’acqua sbatture in velocità.
L’uragano durò e crebbe sino a quando fu notte e solo nel buio totale iniziò a scemare. Quando ormai neppure gli spruzzi delle ondate riuscivano a raggiungere il suo covo Gilliat capì che la tormenta era passata, ma che non ne avrebbe potuto verificare i danni sino al chiarore dell’alba. Che saggiamente si rassegnò allora ad attendere, sfilandosi la cerata e cambiando gran parte degli indumenti bagnati.
Il suo fù un sonno breve, ansioso per l’attesa e tuttavia rassegnato:
la sua coscienza era più che a posto, nulla di più e di meglio avrebbe potuto fare in quelle circostanze.
Il chiarore dell’alba lo colse all’interno del cunicolo quando era già in grado di fornirgli luce per una visione chiara e netta della situazione.
La barriera improvvisata tra le Druve aveva in gran parte ceduto: restava solo qualche palo e qualche tavola penzolante tra le maglie della grande rete appesa tra i due enormi scogli. Il ponte di carico soprastante era invece del tutto intatto, c’era solo da sgrovigliare e riordinare i paranchi sbattacchiati dalle onde più alte.
Ugualmente sembrava essere in ordine la zona sottostante, con il fumaiolo emergente nell’usuale posizione a confermare che nulla era accaduto alla macchina, in parte protetta dalla sua immersione.
La barriera di Nord Est, la prima realizzata tra gli scogli successivi alle Druve per proteggere la “pancia” dal quel lato, intravista ancora dall’alto del suo ricovero sembrava quasi intatta, ma da lassù Gilliat non poteva scorgere la sua barca.
Scese quindi veloce ed ansioso, scivolando rapido lungo la fune di collegamento del rifugio e poi saltando tra gli scogli, finchè non fù sopra la minima rada…
La “pancia” era ancora là, saldamente trattenuta da quattro funi d’ormeggio, palesemente intatta, ma allagata d’acqua sin quasi alle murate ed ingombrata dai relitti della diga di fortuna che aveva ceduto.
Gilliat subito diede mano alla pompa a mano di sentina, con la quale dovette lavorare per un’ora, finendo poi l’opera di svuotamento con un gavone. Sgomberò dai relitti la barca ormai recuperata al suo normale galleggiamento ed infine… sentì come un capogiro, era…la fame.
Gilliat, epico eroe indistruttibile aveva fame !
Ed a ragione: era dal mezzogiorno del giorno prima che non mangiava.
Nel minimo antro dov’era riparato dalla tempesta non aveva ormai alcunchè di commestibile, finite le gallette, la carne secca, il stokfish, rimaneva solo un po’ di farina d’avena ammuffita, che avrebbe comunque richiesto condizioni e lavoro per poter essere resa mangiabile. Da alcuni giorni ormai viveva quasi unicamente di pesce, di frutti di mare e di qualche alga brevemente essicata, che lui sapeva commestibile. Il suo corpo era ormai quasi completamente privo di grasso, di riserve combustibili. In caso di bisogno avrebbe giusto potuto metabilizzare fibre muscolari, ciò che sarebbe stato disastroso per un atleta quale egli era, votato in quell’incombenza al duro lavoro per circa 16 ore al giorno !
Proprio mentre aveva terminato di svuotare la sua barca dai molti metri cubi d’acqua marina riversatavi dalla tempesta e stava considerando la necessità di procurarsi una colazione vide, appena sotto la “pancia”, un grosso pesce, probabilmente una cernia che appena sotto la barca stava pascolando, brucando vegetazione marina dallo scoglio antistante. Senza perdere un attimo Gilliat afferrò l’arpione che aveva, con gli altri suoi attrezzi da pesca lì sulla “pancia”, a portata di mano, si sporse dalla murata, prese istintivamente la mira e lo scagliò, infilzando il grosso pesce.
Che se pur ferito immediatamente s’inabissò nuotando verso il fondo.
Nella fretta Gilliat non aveva legato la sagola nell’anello dell’arpione, indispensabile per poterlo recuperare insieme con la preda infilzata. Veloce allora più del pensiero si tuffò immediatamente per recuperare entrambi, preda ed arpione, nelle profondità del mare.
Il grosso pesce, nonostante fosse infilzato, stava già nuotando in profondità. Gilliat lo inseguì rapido, a forza di grandi sforbiaciate di gambe e vigorose trazioni delle braccia, spinto soprattutto dalla…fame, verso quella ben consistente preda.
Fù presto nella scia di sangue che il pesce dietro di se lasciava e riuscì a raggiungerlo all’ultimo istante, mentre tentava d’infilarsi in una stretta fessura della roccia sul fondale, ma inibito per farlo dall’ingombro dell’arpione.
Gilliat finì subito la preda che violentemente si dibatteva, con una sola coltellata in mezzo al capo, da esperto pescatore e poi tornò a salire verso la superfice.
Ma mentre ripartiva con una spinta dei piedi contro la roccia, notò con la coda degli occhi un luccichio sul fondo di sassi e ghiaione, girò allora la testa, e quasi si fermò vedendo chiaramente che si trattava di uno scrigno metallico arenato sul fondo, sulla cui lucida superfice rimbalzavano i raggi del sole filtrati sin laggiù, nell’acqua limpida.
Uno forziere metallico !
Nonostante l’immediato, grande interesse che quella vista gli suscitò, Gilliat ormai ai limti dell’apnea, sia per il molto ossigeno consumato all’inseguimento del pesce, sia per la debolezza da carenze alimentari, riprese a salire, memorizando però attentamente il punto in cui giaceva quello scrigno, subito accanto all’ingresso di quella che pareva essere una grande caverna sottomarina, da lui mai prima notata, nelle pur tante immersioni effettuate alla ricerca di relitti da riciclare nel suo lavoro di recupero e di prede alimentari per integrare le sempre più scarse riserve.
Riemerso in fame d’aria si asciugò, per poi subito dedicarsi a soddisfare l’altra fame, quella dello stomaco, ormai esasperata nell'incombente debolezza.
Cucinò velocemente quella bella e grassa Cernia, direttamente arrostendola su di uno spiedo improvvisato al fuoco della sua fucina di fabbro, fuoco che faticò non poco ad avviare a causa della recente tempesta, che aveva bagnato quasi ogni cosa combustibile.
Mangiò infine con calma, abbondantemente ma lungamente masticando, sia per riabituare lo stomaco al pasto insolitamente abbondante, che per assaporarlo meglio.
Ed intanto che si cibava riposava e pensava, facendo il punto della situazione: la “pancia era intatta, sana, pronta per il grande carico; la macchina pure, già imbragata per il sollevamento, occorreva unicamente rimettere “in chiaro” le tante sovrastanti funi dei molti paranchi già attrezzati che la tempesta aveva aggrovigliato,
lavoro che un agile “ragno”, come Gilliat sapeva diventare, avrebbe potuto fare nel tempo massimo di un’ora.
Dopodichè si poteva procedere alla delicata conclusione di tanto lavoro: sollevare la macchina e con l’aiuto della bassa marea, posizionarvi sotto la “pancia” per potervela poi adagiare.
La prossima bassa marea si sarebbe verificata verso sera e Gilliat calcolò di approfittarne. Ma avrebbe inziato assai prima la lunga, lenta e delicata operazione di sollevamento, già nelle prime ore del pomeriggio, in modo da poter aver poi il tempo di completare la discesa del greve carico ancora in condizioni di adeguata visibilità, prima che facesse buio.
Dopodichè, il mattino successivo, sperando che il mare gli desse tregua, si sarebbe arrischiato fuori da quel labirinto di infidi scogli e di secche pericolose, con la “pancia” immersa al massimo del suo maggior pescaggio e quindi a gran rischio di scontrarsi con le tante asperità semisommerse. Fino al mare aperto, dove avrebbe finalmente potuto issare le vele, sperando in venti favorevoli dal quadrante Nord, verso l’ambita meta. l’Isola di Guernesì, dove avrebbe potuto cogliere il suo premio più ambito: la bellissima Deruscet !
Ma ora, riposatosi ancora un poco, aveva una verifica da effettuare: che cosa mai celasse quel grosso scrigno che aveva intravvisto nel fondale, in profondità, poco oltre la piccola darsena naturale in cui era ormeggiata la “pancia”, davanti all’ingresso dell’ignota caverna sommersa che mai prima in quei giorni aveva notata...
Fine della quarta parte.
mercoledì 22 giugno 2011
giovedì 16 giugno 2011
GILLIAT...IL MOSTRO 3^ Parte
GILLIAT...IL MOSTRO
Terza Parte
(foto di tempesta in arrivo, vista da uno scoglio che simula la testa di...un "mostro", una enorme iguana !)
Il vento era fresco, ma il mare calmo, appena increspato: la brezza Atlantica accompagnò la mattina stessa Gilliat a ridosso delle Druve, al termine della bassa marea. Il fumaiolo della Durand sporgeva ora dall'acqua per almeno due metri. Gilliat calcolò che, se lo scafo non era stato completamente distrutto, la restante chiglia posando sul fondo, c'era in quel punto, sotto le Druve, alla "porta dell'inferno", una profondità di una decina di metri. Quando fù a ridosso delle secche che circondavano l'infida scogliera, in gran parte sommersa ma pericolosamente affiorante, ammainò velocemente tutte le vele ed avanzò sfruttando sapientemente l'abbrivio dello scafo, indirizzandolo con i pesanti remi nell'acqua relativamente calma ma irta tuttavia di pericoli.
Lentamente, con circospezione, Gilliat arrivò fin sotto gli scogli giganti, sino a toccare con lo scafo della barca il fumaiolo della Durand. Giudicò che quello fosse un attracco provvisoriamente sicuro e vi legò la "pancia", serrandola contro l'enorme tubo emergente, da prua e da poppa.
Poi, vista la temperatura relativamente calda della giornata mite, decise di fare subito un'ispezione in apnea al relitto, per rendersi esattamente conto della situazione. Unicamente bardato con il suo coltello da pescatore legato intorno alla vita, prese diversi, lenti e profondi respiri e si tuffò in quell'acqua limpida ma tetra, subito nuotando verso l'abisso, contemporaneamente deglutendo ed a tratti soffiando contro le narici serrate con le dita, per compensare la crescente pressione del mare profondo contro i timpani auricolari.
Fù subito prossimo al fondale: lo scafo c'era ancora, ma squarciato da numerose falle, alcune assai grandi, tali da permettergli di nuotarvi comodamente all'interno. Ciò che rapidamente fece, limitandosi a controllare nella penombra della poca luce che filtrava, le condizioni della caldaia a vapore e dell'apparato motore.
Tutto gli parve in ordine, salvo qualche possibile secondaria e rimediabile ammaccatura. Anche le grandi ruote laterali allo scafo, destinate a spingere il piroscafo tra le onde, sembravano essere state risparmiate dalla furia degli elementi, sopravissute indenni al naufragio.
Ai limiti ormai dell'apnea, Gilliat risalì veloce avvertendo crescente fame d'aria: aveva trascorso nuotando sul fondo quasi tre minuti, ma ciò era per lui ordinaria amministrazione.
Risalendo gli era parso di avvertire come un'ombra inseguirlo dall'abisso, ma poi girandosi senza nulla vedere, aveva pensato ad un gioco di luci, tremolanti a causa della superfice mossa dell'acqua.
Risalì a bordo della "pancia", si asciugò per bene, si rivestì e passò a guardarsi attentamente intorno.
Per prima cosa aveva bisogno di un rifugio, il più possibile sicuro, per la sua barca. Subito dopo gli occorreva un attendibile rifugio per se stesso, un riparo dall'acqua del mare e di quella che inevitabilmenbte sarebbe piovuta dal cielo, protetto dai venti, talora gelidi, che perlopiù soffiavano alla velocità di molti nodi. Infine gli occorrevano un'officina, dove possibilmente installare anche una focolare per alimentare una forgia da fabbro ed un magazzino, dove stivare ed asciugare il legname recuperato dal naufragio, utile anche ad alimentare la forgia.
Tutte bazzeccole da realizzare!
Là, in mezzo al tempestoso mare della Manica, esasperato incrocio tra l'Oceano ed il Mare del Nord, sopra quegli aguzzi scogli taglienti, aridi ed inospitali, battuti da onde anche gigantesche e talora da venti che neppure i gabbiani sapevano gestire !
Gilliat iniziò con il preoccuparsi per la barca. Sapendo che le maggiori bufere in quella zona muovevano nelle direzioni da Est verso Ovest e viceversa, cioè trasversalmente di circa 45° rispetto alla "porta dell'inferno" tra le Druve, doveva trovare un ridosso, una sia pur minima cala in qualche modo protetta da queste correnti di vento e di mare.
Liberò la "pancia" dall'ormeggio provvisorio del fumaiolo e si mosse lentamente alla ricerca, dosando sapientemente la forza sui grossi remi.
Superato con estrema attenzione lo stretto passaggio tra le Druve, vide a manca un breve ridosso tra scogli più piatti, meno esasperati, ma con possibili appigli per le funi d'ormeggio, oltre il quale le rocce tornavano a stringere, in un successivo passaggio, appena più largo delle Druve, ma non troppo, così che avrebbe volendo potuto costruirvi una rudimentale diga di protezione, una porta chiusa contro il mare più esasperato, a riparo della sua barca.
Da quel ridosso inoltre, ormeggiatavi la "pancia", avrebbe potuto agevolmente risalire su quasi tutti gli scogli circostanti.
Gilliat organizzò l'ormeggio incrociando ben quattro canapi, tesi dalla barca verso altrettanti solidi ed ortoganali spuntoni di roccia, intorno ai quali legò le funi preventivamente protette dall'atrito con adeguata imbottituta di stracci.
Nulla, in quell'ambiente ostile poteva lasciare al caso od alla "sfortuna". La "pancia" era così sistemata: in quel ridosso alloggiava giusta, giusta, quasi fosse una darsena a sua misura.
Sbarcò poi sulla parte più alta e più piatta dello scoglio adiacente, una sorta di alto molo naturale, scaricandovi tutto il suo carico: cibarie, attrezzi, vestiti, unicamente lasciando sulla sua barca il grosso e pesante bidone dell'acqua potabile, da cui avrebbe attinto via, via, a secondo della necessità.
Ora doveva provvedersi di un rifugio, di un magazzino e di un'officina,
niente di più semplice !
Si attrezzò per risalire la roccia ed affrontò la scalata della Druve minore, su cui aveva intravisto verso la vetta una rientranza, un possibile incavo. Vi arrivò facilmente, pratico scalatore com’era di strapiombi e dirupi, che circondavano la sua casa di Guerenesì verso il mare, ma tra le proteste dei gabbiani cui risultava invadente intruso. Trovò in effetti un incavo, una piccolissima grotta profonda poco oltre due metri e larga ancor meno, in cui non poteva rimanere in piedi ed entrare solo carponi.
Aveva tuttavia pendenza ed orientamenti favorevoli per potervi riposare all’asciutto al riparo dalle intemperie. Gilliat vi depositò cibo ed indumenti che issò fin là in cima con una fune, predisponendone poi un’altra più grossa lungo l’alto scoglio, affrancata con chiodi da roccia nei punti di più agevole risalita, così da permettergli di salire e ridiscendere con relativa facilità.
Poi affrontò il terzo problema, quello dell’officina.
Dall’alto del suo rifugio aveva già scorto di fronte ma più in basso, sulla Druve più alta, circa 7 od 8 metri sopra il livello dell’acqua, un altro incavo, più grande ma più aperto, meno riparato.
Raggiunse anche quella postazione: era effettivamente assai più ampia, forse 3 metri per 4 ed alta circa 2, ma aperta su quasi tutto un lato verso il mare di Nord Est ed attraversata da una forte corrente d’aria a causa di una breccia aperta dal lato opposto, verso Sud Ovest, un lungo cunicolo di cui non si vedeva la fine, né si scorgeva la luce, ma da cui risultava soffiare decisamente il vento.
Subito Gilliat realizzò che quello scomodo sventagliare sarebbe potuto essere un ottimo mantice naturale per alimentare la combustione della sua fornace da fabbro!
Ma occorreva, tra gli altri accorgimenti, riparare la più grande apertura di Nord Est dalla pioggia e dagli spruzzi delle ondate più alte, che sospinti dal forte vento avrebbero facilmente potuto inondare quella più bassa ed aperta caverna.
In cui subito provvide a stivare, nella posizione più arretrata e riparata, tutti i suoi attrezzi, tranne l'ascia da carpentiere.
Era infatti ancora soltanto il primo pomeriggio e Gilliat aveva fortunosamente già risolto tutti i suoi problemi logistici: darsena per la barca, alloggio per lui ed offcina per i lavori più delicati od impegnativi. Per quanto riguardava il magazzino del legname aveva già anche risolto che quello più asciutto e più adatto ad alimentare la sua fornace di fabbro l’avrebbe in gran parte stivato nella stessa officina.
Per tutto il resto: travi, assi, funi ecc…avrebbe provveduto nelle nicchie minori, su cengie e balze relativamente abbondanti anche sugli scogli meno alti che circondavano le Druve, provvedendo a legare il materiale accumulatovi ed a ripararlo con la tela cerata che con se aveva portato e con quella che eventualmente avrebbe potuto recuperare dal naufragio.
Aveva già fatto una breve colazione arrivando, a bordo della “pancia” (alcune gallette inzuppate nell’acqua) per cui, avendo ancora svariate ore di luce davanti a se, partì subito a caccia di legname e quant’altro tra i relitti disseminati sull’ampia ed articolata scogliera.
Lavorando con l’ascia i pezzi più grossi, schiodandoli dagli assembramenti tuttavia superstiti e selezionando i vari pezzi a seconda della forma, dimensione e qualità del legno, a sera aveva già organizzato delle ottime riserve di materiale.
Era ormai buio quando l'instancabile lavoratore del mare si ritirò a riposare nella sua angusta nicchia, dopo una cena a base di gallette, carne secca ed acqua dolce.
Ed ebbe il meritato riposo del "giusto" che aveva compiuto un buon lavoro.
L’alba del giorno dopo colse Gilliat ranicchiato nelle pesanti coperte, riposato dopo una notte in cui aveva comunque dormito con un occhio solo, tuttavia attento a cogliere eventuali cambiamenti del tempo che avrebbero potuto mettere in pericolo la sua barca. Cambiamenti che, sulla base della sua lunga esperienza di marinaio pescatore, non erano comunque prevedibili nel breve termine di qualche giorno.
Dopo una veloce colazione a base di gallette e di stockfish Gilliat scese subito al lavoro: per prima cosa doveva mettere in maggior sicurezza la”pancia”, e lo fece realizzando una sorta di diga nello stretto passaggio della piccola darsena, subito oltre la porta dell’inferno formata dalle Duvre. Il giorno prima aveva già selezionato del legname adatto a quello scopo, raccolto tra i relitti della Durand. Incastrò con perizia tra gli scogli i travi di maggior spessore e consistenza, sui quali poi legò strettamente le assi più robuste, a formare un solidissimo assito, una porta frangiflutti che avrebbe potuto sfidare i violenti marosi che fossero precipitati da quel lato, ogni altro circostante la piccola darsena naturale essendo protetto dai formidabili scogli delle Druve.
Dopo di chè si arampicò sulla torre più grande, e raggiunta la caverna si apprestò ad organizzarvi la sua officina di fabbro. Innazitutto occorreva posizionare il focolare, necessariamente in linea con il providenziale mantice naturale che vi aveva scoperto il giorno prima, il potente soffio d'aria che attraverava la grotta giungendovi dal lungo e stretto pertugio che attraversava la roccia arrivando nella Caverna da Sud Ovest. Alla bocca di quella fessura Gilliat posizionò una sorta di braciere, organizzato con grossi frammenti di roccia, in parte raccolti nella stessa caverna, in parte prodotti spaccandone le pareti nei punti più acconci, con l’uso della pesante mazza appartenente al suo corredo. Su quel braciere pose a mò d’incudine un blocco di granito e all’uscita della fessura collocò un asse modellata su quell’apertura, così che orientandola poteva regolare il flusso dell’aria, come fosse un registro.
Realizzò infine una rudimentale barriera di travi ed assi incastrate nella roccia, per chiudere o quasi l’unico lato aperto della caverna, così da proteggierla dagli spruzzi delle onde più alte e dirompenti e dalle piogge di stravento.
Terminato anche quel compito scese accanto al fumaiolo della Durand, ad ispezionare la situazione assai più attentamente di quanto non avesse già sommariamente fatto.
Calcolò l’ingombro di tutto l’apparato motore del piroscafo ipotizzandone anche il peso totale, dato quanto mai preoccupante…!
Il progetto che aveva già in mente prevedeva infatti di liberare completamente quella parte fondamentale della nave, quella per cui Mastro Letierri era arrivato a promettere tutto quanto poteva, nell’impossibile caso fosse mai stata recuperata.
Apparato motore che a quei tempi valeva almeno quattro volte il costo dell’intera nave di esso privata.
Liberato il complesso motore, caldaia e ruote motrici con tutto il basamento, Gilliat avrebbe dovuto caricarlo in qualche modo sulla “pancia”, barcone molto ampio, solido e capace, sia in termini di volume che di peso trasportabili.
Ma per farlo avrebbe dovuto certamente dimostrare di essere ben più di quel gran mostro di stregoneria, imparentato con il diavolo, la cui immagine gli aveva cucita adosso la bigotteria superstiziosa dei paesani di Guernesì.
Gilliat calcolò anche gli spazi esistenti all’interno delle Druve, che svettavano giusto sopra il motore affondato, e cercò d’immaginarsi quali travi, quali pulegge, leve e paranchi tra di esse incastrati, avrebbe potuto organizzare che gli permettessero di sollevare tutto quel peso ad un’altezza sufficiente per potervi sotto introdurre la “pancia”, su cui poi calare l’enorme, preziosissimo carico.
Ragionò che non gli occorreva un grande diferenziale di sollevamento: così a naso potevano bastare poche spanne: bastava infatti sfruttare al meglio le maree…!
Se lui infatti avesse sollevato l’apparato motore con l’alta marea per poi introdurvi sotto la “pancia,”con la bassa marea in massima escursione, già solo quello spazio avrebbe forse potuto essere quasi sufficiente…!
Il problema restava comunque notevolissimo: quello d’imbragare tutta quella gran mole così che non avesse a cedere, a calare, financo a schiantare, nelle lunghe ore di attesa per la marea più bassa.
Si ripromise dunque di effettuare precise misurazioni del diferenziale di marea tra le Duvres, sopra la ciminiera sommersa, nonché valutare l’altezza sopra il livello dell’acqua della zona libera in coperta della “Pancia”, utile per il carico.
Teoricamente avrebbe anche potuto abbassarla, demolendo la parte più alta delle murate, ma ciò era in pratica da escludere, perché avrebbe esposto la barca a possibili allagamenti per le onde più formate.
Inoltre Gilliat già paventava come l’alto ingombro dell’apparato motore, posizionato sulla “pancia”, avrebbe impedito in misura non secondaria l’uso delle vele, soprattutto dovendo risalire il vento. Per il rientro a Guernesì avrebbe dovuto attendere un vento portante, dal quadrante Nord.
Ma in quel momento era quello l’ultimo dei problemi da risolvere ed affrontare !
Gilliat concluse la seconda lunga, faticosa ma redditizia giornata con un’immersione, per verificare meglio che lavoro lo attendesse, da svolgersi in apnea a svariati metri di profondità, per liberare completamente l’apparato motore da quelle parti dello scafo che ad esso erano ancora collegate.
Si spogliò, trattenendo legato alla cintola il suo coltello da marinaio e si tuffò nell’acqua trasparente, provvidenzialmente illuminata dal chiarore del tramonto, che come un faro enfatizzava la visione del piroscafo inabissato.
Nuotando vigorosamente, ma con movimenti lenti e lunghi, a risparmio di ossigeno, Gilliat fece il periplo dello scafo, in profondità, realizzando che almeno tre quarti del lavoro necessario già era stato compiuto dagli scogli e dai marosi.
Ma comunque gli sarebbe toccato lavoro da palombaro molto impegnativo, senza scafandro e, quel che era assai peggio, senza aria pompata per poter respirare.
Fine della terza parte.
Terza Parte
(foto di tempesta in arrivo, vista da uno scoglio che simula la testa di...un "mostro", una enorme iguana !)
Il vento era fresco, ma il mare calmo, appena increspato: la brezza Atlantica accompagnò la mattina stessa Gilliat a ridosso delle Druve, al termine della bassa marea. Il fumaiolo della Durand sporgeva ora dall'acqua per almeno due metri. Gilliat calcolò che, se lo scafo non era stato completamente distrutto, la restante chiglia posando sul fondo, c'era in quel punto, sotto le Druve, alla "porta dell'inferno", una profondità di una decina di metri. Quando fù a ridosso delle secche che circondavano l'infida scogliera, in gran parte sommersa ma pericolosamente affiorante, ammainò velocemente tutte le vele ed avanzò sfruttando sapientemente l'abbrivio dello scafo, indirizzandolo con i pesanti remi nell'acqua relativamente calma ma irta tuttavia di pericoli.
Lentamente, con circospezione, Gilliat arrivò fin sotto gli scogli giganti, sino a toccare con lo scafo della barca il fumaiolo della Durand. Giudicò che quello fosse un attracco provvisoriamente sicuro e vi legò la "pancia", serrandola contro l'enorme tubo emergente, da prua e da poppa.
Poi, vista la temperatura relativamente calda della giornata mite, decise di fare subito un'ispezione in apnea al relitto, per rendersi esattamente conto della situazione. Unicamente bardato con il suo coltello da pescatore legato intorno alla vita, prese diversi, lenti e profondi respiri e si tuffò in quell'acqua limpida ma tetra, subito nuotando verso l'abisso, contemporaneamente deglutendo ed a tratti soffiando contro le narici serrate con le dita, per compensare la crescente pressione del mare profondo contro i timpani auricolari.
Fù subito prossimo al fondale: lo scafo c'era ancora, ma squarciato da numerose falle, alcune assai grandi, tali da permettergli di nuotarvi comodamente all'interno. Ciò che rapidamente fece, limitandosi a controllare nella penombra della poca luce che filtrava, le condizioni della caldaia a vapore e dell'apparato motore.
Tutto gli parve in ordine, salvo qualche possibile secondaria e rimediabile ammaccatura. Anche le grandi ruote laterali allo scafo, destinate a spingere il piroscafo tra le onde, sembravano essere state risparmiate dalla furia degli elementi, sopravissute indenni al naufragio.
Ai limiti ormai dell'apnea, Gilliat risalì veloce avvertendo crescente fame d'aria: aveva trascorso nuotando sul fondo quasi tre minuti, ma ciò era per lui ordinaria amministrazione.
Risalendo gli era parso di avvertire come un'ombra inseguirlo dall'abisso, ma poi girandosi senza nulla vedere, aveva pensato ad un gioco di luci, tremolanti a causa della superfice mossa dell'acqua.
Risalì a bordo della "pancia", si asciugò per bene, si rivestì e passò a guardarsi attentamente intorno.
Per prima cosa aveva bisogno di un rifugio, il più possibile sicuro, per la sua barca. Subito dopo gli occorreva un attendibile rifugio per se stesso, un riparo dall'acqua del mare e di quella che inevitabilmenbte sarebbe piovuta dal cielo, protetto dai venti, talora gelidi, che perlopiù soffiavano alla velocità di molti nodi. Infine gli occorrevano un'officina, dove possibilmente installare anche una focolare per alimentare una forgia da fabbro ed un magazzino, dove stivare ed asciugare il legname recuperato dal naufragio, utile anche ad alimentare la forgia.
Tutte bazzeccole da realizzare!
Là, in mezzo al tempestoso mare della Manica, esasperato incrocio tra l'Oceano ed il Mare del Nord, sopra quegli aguzzi scogli taglienti, aridi ed inospitali, battuti da onde anche gigantesche e talora da venti che neppure i gabbiani sapevano gestire !
Gilliat iniziò con il preoccuparsi per la barca. Sapendo che le maggiori bufere in quella zona muovevano nelle direzioni da Est verso Ovest e viceversa, cioè trasversalmente di circa 45° rispetto alla "porta dell'inferno" tra le Druve, doveva trovare un ridosso, una sia pur minima cala in qualche modo protetta da queste correnti di vento e di mare.
Liberò la "pancia" dall'ormeggio provvisorio del fumaiolo e si mosse lentamente alla ricerca, dosando sapientemente la forza sui grossi remi.
Superato con estrema attenzione lo stretto passaggio tra le Druve, vide a manca un breve ridosso tra scogli più piatti, meno esasperati, ma con possibili appigli per le funi d'ormeggio, oltre il quale le rocce tornavano a stringere, in un successivo passaggio, appena più largo delle Druve, ma non troppo, così che avrebbe volendo potuto costruirvi una rudimentale diga di protezione, una porta chiusa contro il mare più esasperato, a riparo della sua barca.
Da quel ridosso inoltre, ormeggiatavi la "pancia", avrebbe potuto agevolmente risalire su quasi tutti gli scogli circostanti.
Gilliat organizzò l'ormeggio incrociando ben quattro canapi, tesi dalla barca verso altrettanti solidi ed ortoganali spuntoni di roccia, intorno ai quali legò le funi preventivamente protette dall'atrito con adeguata imbottituta di stracci.
Nulla, in quell'ambiente ostile poteva lasciare al caso od alla "sfortuna". La "pancia" era così sistemata: in quel ridosso alloggiava giusta, giusta, quasi fosse una darsena a sua misura.
Sbarcò poi sulla parte più alta e più piatta dello scoglio adiacente, una sorta di alto molo naturale, scaricandovi tutto il suo carico: cibarie, attrezzi, vestiti, unicamente lasciando sulla sua barca il grosso e pesante bidone dell'acqua potabile, da cui avrebbe attinto via, via, a secondo della necessità.
Ora doveva provvedersi di un rifugio, di un magazzino e di un'officina,
niente di più semplice !
Si attrezzò per risalire la roccia ed affrontò la scalata della Druve minore, su cui aveva intravisto verso la vetta una rientranza, un possibile incavo. Vi arrivò facilmente, pratico scalatore com’era di strapiombi e dirupi, che circondavano la sua casa di Guerenesì verso il mare, ma tra le proteste dei gabbiani cui risultava invadente intruso. Trovò in effetti un incavo, una piccolissima grotta profonda poco oltre due metri e larga ancor meno, in cui non poteva rimanere in piedi ed entrare solo carponi.
Aveva tuttavia pendenza ed orientamenti favorevoli per potervi riposare all’asciutto al riparo dalle intemperie. Gilliat vi depositò cibo ed indumenti che issò fin là in cima con una fune, predisponendone poi un’altra più grossa lungo l’alto scoglio, affrancata con chiodi da roccia nei punti di più agevole risalita, così da permettergli di salire e ridiscendere con relativa facilità.
Poi affrontò il terzo problema, quello dell’officina.
Dall’alto del suo rifugio aveva già scorto di fronte ma più in basso, sulla Druve più alta, circa 7 od 8 metri sopra il livello dell’acqua, un altro incavo, più grande ma più aperto, meno riparato.
Raggiunse anche quella postazione: era effettivamente assai più ampia, forse 3 metri per 4 ed alta circa 2, ma aperta su quasi tutto un lato verso il mare di Nord Est ed attraversata da una forte corrente d’aria a causa di una breccia aperta dal lato opposto, verso Sud Ovest, un lungo cunicolo di cui non si vedeva la fine, né si scorgeva la luce, ma da cui risultava soffiare decisamente il vento.
Subito Gilliat realizzò che quello scomodo sventagliare sarebbe potuto essere un ottimo mantice naturale per alimentare la combustione della sua fornace da fabbro!
Ma occorreva, tra gli altri accorgimenti, riparare la più grande apertura di Nord Est dalla pioggia e dagli spruzzi delle ondate più alte, che sospinti dal forte vento avrebbero facilmente potuto inondare quella più bassa ed aperta caverna.
In cui subito provvide a stivare, nella posizione più arretrata e riparata, tutti i suoi attrezzi, tranne l'ascia da carpentiere.
Era infatti ancora soltanto il primo pomeriggio e Gilliat aveva fortunosamente già risolto tutti i suoi problemi logistici: darsena per la barca, alloggio per lui ed offcina per i lavori più delicati od impegnativi. Per quanto riguardava il magazzino del legname aveva già anche risolto che quello più asciutto e più adatto ad alimentare la sua fornace di fabbro l’avrebbe in gran parte stivato nella stessa officina.
Per tutto il resto: travi, assi, funi ecc…avrebbe provveduto nelle nicchie minori, su cengie e balze relativamente abbondanti anche sugli scogli meno alti che circondavano le Druve, provvedendo a legare il materiale accumulatovi ed a ripararlo con la tela cerata che con se aveva portato e con quella che eventualmente avrebbe potuto recuperare dal naufragio.
Aveva già fatto una breve colazione arrivando, a bordo della “pancia” (alcune gallette inzuppate nell’acqua) per cui, avendo ancora svariate ore di luce davanti a se, partì subito a caccia di legname e quant’altro tra i relitti disseminati sull’ampia ed articolata scogliera.
Lavorando con l’ascia i pezzi più grossi, schiodandoli dagli assembramenti tuttavia superstiti e selezionando i vari pezzi a seconda della forma, dimensione e qualità del legno, a sera aveva già organizzato delle ottime riserve di materiale.
Era ormai buio quando l'instancabile lavoratore del mare si ritirò a riposare nella sua angusta nicchia, dopo una cena a base di gallette, carne secca ed acqua dolce.
Ed ebbe il meritato riposo del "giusto" che aveva compiuto un buon lavoro.
L’alba del giorno dopo colse Gilliat ranicchiato nelle pesanti coperte, riposato dopo una notte in cui aveva comunque dormito con un occhio solo, tuttavia attento a cogliere eventuali cambiamenti del tempo che avrebbero potuto mettere in pericolo la sua barca. Cambiamenti che, sulla base della sua lunga esperienza di marinaio pescatore, non erano comunque prevedibili nel breve termine di qualche giorno.
Dopo una veloce colazione a base di gallette e di stockfish Gilliat scese subito al lavoro: per prima cosa doveva mettere in maggior sicurezza la”pancia”, e lo fece realizzando una sorta di diga nello stretto passaggio della piccola darsena, subito oltre la porta dell’inferno formata dalle Duvre. Il giorno prima aveva già selezionato del legname adatto a quello scopo, raccolto tra i relitti della Durand. Incastrò con perizia tra gli scogli i travi di maggior spessore e consistenza, sui quali poi legò strettamente le assi più robuste, a formare un solidissimo assito, una porta frangiflutti che avrebbe potuto sfidare i violenti marosi che fossero precipitati da quel lato, ogni altro circostante la piccola darsena naturale essendo protetto dai formidabili scogli delle Druve.
Dopo di chè si arampicò sulla torre più grande, e raggiunta la caverna si apprestò ad organizzarvi la sua officina di fabbro. Innazitutto occorreva posizionare il focolare, necessariamente in linea con il providenziale mantice naturale che vi aveva scoperto il giorno prima, il potente soffio d'aria che attraverava la grotta giungendovi dal lungo e stretto pertugio che attraversava la roccia arrivando nella Caverna da Sud Ovest. Alla bocca di quella fessura Gilliat posizionò una sorta di braciere, organizzato con grossi frammenti di roccia, in parte raccolti nella stessa caverna, in parte prodotti spaccandone le pareti nei punti più acconci, con l’uso della pesante mazza appartenente al suo corredo. Su quel braciere pose a mò d’incudine un blocco di granito e all’uscita della fessura collocò un asse modellata su quell’apertura, così che orientandola poteva regolare il flusso dell’aria, come fosse un registro.
Realizzò infine una rudimentale barriera di travi ed assi incastrate nella roccia, per chiudere o quasi l’unico lato aperto della caverna, così da proteggierla dagli spruzzi delle onde più alte e dirompenti e dalle piogge di stravento.
Terminato anche quel compito scese accanto al fumaiolo della Durand, ad ispezionare la situazione assai più attentamente di quanto non avesse già sommariamente fatto.
Calcolò l’ingombro di tutto l’apparato motore del piroscafo ipotizzandone anche il peso totale, dato quanto mai preoccupante…!
Il progetto che aveva già in mente prevedeva infatti di liberare completamente quella parte fondamentale della nave, quella per cui Mastro Letierri era arrivato a promettere tutto quanto poteva, nell’impossibile caso fosse mai stata recuperata.
Apparato motore che a quei tempi valeva almeno quattro volte il costo dell’intera nave di esso privata.
Liberato il complesso motore, caldaia e ruote motrici con tutto il basamento, Gilliat avrebbe dovuto caricarlo in qualche modo sulla “pancia”, barcone molto ampio, solido e capace, sia in termini di volume che di peso trasportabili.
Ma per farlo avrebbe dovuto certamente dimostrare di essere ben più di quel gran mostro di stregoneria, imparentato con il diavolo, la cui immagine gli aveva cucita adosso la bigotteria superstiziosa dei paesani di Guernesì.
Gilliat calcolò anche gli spazi esistenti all’interno delle Druve, che svettavano giusto sopra il motore affondato, e cercò d’immaginarsi quali travi, quali pulegge, leve e paranchi tra di esse incastrati, avrebbe potuto organizzare che gli permettessero di sollevare tutto quel peso ad un’altezza sufficiente per potervi sotto introdurre la “pancia”, su cui poi calare l’enorme, preziosissimo carico.
Ragionò che non gli occorreva un grande diferenziale di sollevamento: così a naso potevano bastare poche spanne: bastava infatti sfruttare al meglio le maree…!
Se lui infatti avesse sollevato l’apparato motore con l’alta marea per poi introdurvi sotto la “pancia,”con la bassa marea in massima escursione, già solo quello spazio avrebbe forse potuto essere quasi sufficiente…!
Il problema restava comunque notevolissimo: quello d’imbragare tutta quella gran mole così che non avesse a cedere, a calare, financo a schiantare, nelle lunghe ore di attesa per la marea più bassa.
Si ripromise dunque di effettuare precise misurazioni del diferenziale di marea tra le Duvres, sopra la ciminiera sommersa, nonché valutare l’altezza sopra il livello dell’acqua della zona libera in coperta della “Pancia”, utile per il carico.
Teoricamente avrebbe anche potuto abbassarla, demolendo la parte più alta delle murate, ma ciò era in pratica da escludere, perché avrebbe esposto la barca a possibili allagamenti per le onde più formate.
Inoltre Gilliat già paventava come l’alto ingombro dell’apparato motore, posizionato sulla “pancia”, avrebbe impedito in misura non secondaria l’uso delle vele, soprattutto dovendo risalire il vento. Per il rientro a Guernesì avrebbe dovuto attendere un vento portante, dal quadrante Nord.
Ma in quel momento era quello l’ultimo dei problemi da risolvere ed affrontare !
Gilliat concluse la seconda lunga, faticosa ma redditizia giornata con un’immersione, per verificare meglio che lavoro lo attendesse, da svolgersi in apnea a svariati metri di profondità, per liberare completamente l’apparato motore da quelle parti dello scafo che ad esso erano ancora collegate.
Si spogliò, trattenendo legato alla cintola il suo coltello da marinaio e si tuffò nell’acqua trasparente, provvidenzialmente illuminata dal chiarore del tramonto, che come un faro enfatizzava la visione del piroscafo inabissato.
Nuotando vigorosamente, ma con movimenti lenti e lunghi, a risparmio di ossigeno, Gilliat fece il periplo dello scafo, in profondità, realizzando che almeno tre quarti del lavoro necessario già era stato compiuto dagli scogli e dai marosi.
Ma comunque gli sarebbe toccato lavoro da palombaro molto impegnativo, senza scafandro e, quel che era assai peggio, senza aria pompata per poter respirare.
Fine della terza parte.
domenica 12 giugno 2011
GILLIAT...IL MOSTRO 2
GILLIAT...IL MOSTRO
2^ Parte
(nella foto qui sopra le "Roches Douvres" come sono attualmente)
Il piroscafo Durand doveva arrivare in porto a Guernesì quella sera, ma l'attesero invano. Mastro Letierrì immaginò che Messer Cublen avesse rimandato la partenza a causa della nebbia e ne approvò la prudenza.
Il giorno dopo un forte vento da Nord aveva restituito sul mare un'ottima visibilità, ma giunta la sera nulla, della Durand non arrivarono neppure notizie nè segnalazioni. Altre navi giunsero, che avevano potuto incrociarne la rotta, ma nessuno l'aveva vista.
La preoccupazione allora divenne grande e Mastro Letierrì quella notte non riuscì a dormire, estremamente allarmato dall'inspiegabile ritardo.
Il giorno successivo arrivò infine una nave da Dover, il cui Capitano aveva visto salpare la Durand verso la nebbia, il primo mattino di due giorni prima!
Notizia peggiore non poteva giungere: era quindi ormai evidente che la Durand aveva avuto problemi molto gravi perchè si potesse giustificare un ritardo come quello. Immediatamente fù dato l'allarme a tutte le imbarcazioni, a tutte le navi, perchè vigilassero alla ricerca di una traccia e comunque passassero parola...Allora non esistevano telegrafo senza fili, nè tantomeno la radio e quello delle segnalazioni a vista tra le navi che s'incrociavano in mare, era l'unico sistema per diffondere informazioni e notizie.
Anche Gilliat aveva saputo della scomparsa della Durand e nei suoi giri solitari di pescatore fù più attento del solito nel guardare in giro per il mare se vedesse qualche segnale, qualche relitto, qualche traccia del piroscafo di Mastro Letierrì.
A bordo della sua "pancia"Gilliat si spingeva a volte anche molto al largo, alla ricerca di banchi di pesce più grossi e più tanti.
Sopratutto quando andava a caccia di tonni o perfino di pesci spada, arrivava così lontano da non scorgere quasi l'Isola di Guernesì da cui era partito
La sua barca, la "pancia", l'aveva chiamata così perchè era molto larga, aveva uno scafo particolarmente adatto a quel mare, larghi fianchi, alti parapetti e quindi un ottima capacità di carico; ma poi scendendo verso la chiglia la sua linea diventava filante, quasi affusolata, sorretta comunque da una robusta e profonda opera di deriva, un pesante bulbo, lungo quanto la linea d'immersione dello scafo, cui garantiva una grande stabilità, anche quando tutte le tre vele dell'imbarcazione fossero state alzate per prendere un forte vento al traverso.
Su quella barca grande e capace, usando opportunamente paranchi delle drizze, Gilliat riusciva a sollevare a bordo pesanti tonni, ma anche pesci spada di svariati quintali !
Che a volte si divertiva a pescare, più che altro per sfida e per il gusto di sbalordire la gente di Guernesì, incredula che un solo uomo, un pescatore solitario, potesse ricondurre a riva siffatte prede ! Ciò che incrementava la sua cattiva fama di diabolico figlio di una strega.
Settegiorni dopo la scomparsa del piroscafo Durand, aprofittando di una bellissima giornata di sole e di vento fresco da Ovest, che gonfiava le vele facendo volare la "pancia"sulle onde della manica, Gilliat si trovò presto al largo, molto al largo dall'Isola. E più oltre ancora si spinse poi, all'inseguimento di un grosso pesce spada che continuava a fare alti ed acrobatici salti fuori dal mare, ricadendo sull'acqua con grandi tonfi e sollevando enormi spruzzi.
Gilliat cercava di superarlo per potergli buttare la grossa esca al traino che gli aveva preparato, ma non era facile neppure raggiungerlo.
Totalmente preso e distratto da quella caccia non si accorse di essere giunto in vista delle terribili Druve, gli enormi, altissimi scogli, simili a due torri di granito tagliente, poste in mezzo al mare della Manica come a delimitare una porta per l'inferno !
Le vide, con sorpresa ed orrore quando ormai si trovava distante neppure mezzo mezzo miglio da quei giganteschi denti di squalo.
Il suo pesce spada dirigeva tranquillamente in quella direzione, senza paura, ma lui capì che non era più il caso d'insistere. Lasciò comunque procedere la barca, ma poggiando verso il gran lasco, sdramatizzandone perciò l'andatura e puntando a dritta, in modo da avvicinare sottovento, in sicurezza, quel terribile, meraviglioso spettacolo della natura in mezzo al mare.
Gilliat conosceva già le Druve, aveva avuto altre occasioni per avvicinarle, ma non in una giornata così favorevole ad apprezzarne da vicino la maestosa visione. Per giunta, arrivato fin là, ne valeva a maggior ragione l'occasione.
Decise di avvicinarsi il più possibile. Attento, pronto a cogliere sfumature di colore diverso nell'acqua, segnale di scogli affioranti, lascò le vele così da sventarle in modo da ridurre al massimo l'andatura, mantenendo tuttavia una velocità sufficiente a governare in sicurezza la barca.
La sua intenzione era quella di strambare intorno alle Druve, aggirarle con il vento in poppa per poi riprendere il ritorno, stringendo di bolina da Nord Est.
Ma come ebbe superato il lato Sud delle Druve vide immediatamente il relitto:
la ciminiera della Durand, l'unico piroscafo a vapore che incrociasse allora in quel mare, affiorava appena dall'acqua, giusto sotto le drammatiche torri.
Gilliat ebbe un sussulto che subito riuscì a controllare. Trovandosi in posizione di sicurezza rispetto a vento e mare sventò completamente le vele sino a fermarsi.
Era a neppure cento metri dalle Druve e poteva leggere chiaramente sul bordo del fumaiolo le insegne di Mastro Letierrì. Intorno, tra e sugli scogli accuminati, aguzzando la vista potè scorgere frammenti della nave, travi di legno, ferri deformati dagli urti, sartiame ondeggiante sui flutti. Ma nessun segno di vita, nessun corpo galeggiare sorretto dai gas della putrefazione.
Provò a gridare, ripetutamente, ma ne ebbe solo lo stridio dei gabbiani che si levavano al suo richiamo.
Calcolò anche di avvicinarsi ulteriormente, ma a che pro ?
Quel che c'era da vedere gli risultava fin troppo chiaro, nè avrebbe potuto avvicinandosi essere d'aiuto a chicchessia.
Cazzò infine le vele, terminò il giro intorno alle Druve e riprese bolinando la via del ritorno: aveva un ben triste messaggio da recare.
Dopo circa tre ore Gilliat era già a Guernesì, a casa di Mastro Letierrì.
Il povero vecchio lo guardò con volto assai serio e preoccupato, presagendo la brutta notizia ma incredulo che fosse quel ragazzo, quel misero pescatore a recargliela. Ma Gilliat fù inesorabile, spietato nella disarmante semplicità della sua testimonianza. Fornì ogni dettaglio, ogni particolare possibile, ma la sua descrizione non aveva comunque bisogno di particolari riscontri: i pochi elementi riferibili erano del tutto inequivocabili: la Durand era affondata nella nebbia, spinta da onde alte e dirompenti nella terribile trappola delle Druve, la peggiore che ci fosse in tutto il mare della Manica: la porta per l'inferno. E tutti erano probabilmente morti, Messere Cublen con l'equipaggio, i pochissimi passeggeri imbarcati ed una dozzina di bovini facenti parte del carico.
Mastro Letierì, nonostante la sua fortissima fibra ed il fiero carattere ebbe un malore, subito soccorso dalle donne di casa, tranne la leggiadra Deruscet, corsa subito a chiamare il dottore in aiuto per il padre.
Il povero Gilliat si sentì colpevole della terribile notizia che aveva portata e si allontanò nella confusione, sentendo inadeguata la sua presenza in quella casa dove tanto dolore aveva involontariamente recato.
Passarono i giorni, giorni di grande pena per Mastro Letierri e per tutti coloro che avevano perso parenti ed amici nel naufragio. Mastro Letierrì aveva con la Durand perduto la gran parte del suo capitale e l'importante reddito che gliene derivava. Non aveva per fortuna debiti, ma certamente avrebbe dovuto assai ridimensionare il suo stile di vita dopo quella perdita, sopratutto per quanto riguardava la dote da attribuire alla figlia perdiletta.
La perdita della nave era la più grave, ma si sommava fatalmente al furto dei preziosi che aveva subito qualche anno prima !
L'immeritevole Gilliat fù poi a maggior ragione tacciato dalla gente di essere un indemoniato frequentatore di streghe: solo lui poteva avvicinare le Druve e scoprire in così breve tempo il luogo e le cause del naufragio !
Del quale taluno arrivò a supporre fosse stato lui l'artefice, in forza di qualche diabolico maleficio. Roba da finire al rogo…!
Gilliat però non sapeva resistere alla tentazione d'incontrare, di vedere almeno da lontano la bella Deruscet, che il suo nome aveva tracciato nella neve dello scorso inverno. Così si trovava spesso a gironzolare dalle parti di casa Letierrì. Ebbe allora una volta modo di ascoltare, tramite una finestra aperta, un discorso accorato, quasi un appello che Mastro Letierrì stava facendo ad alcuni notabili che erano andati a trovarlo.
Essi stavano discutendo, su basi assolutamente teoriche, circa la totale improbabilità di poter recuperare almeno il motore a vapore, tutta la parte in ferro dell'affondato piroscafo Durand.
Chi avrebbe mai potuto affrontare quel mare, quegli scogli terribili e con quali mezzi? Un lavoro chiaramente impossibile, oltre ogni facoltà umana.
A quel punto Gilliat udì Mastro Letierrì affermare perentoriamente che, se mai ci fosse stato qualcuno capace di così miracolosa impresa ebbene, lui ne avrebbe fatto il suo socio, affidandogli il comando di un nuovo piroscafo, motorizzato con il recupero effettuato. Ed il proprio genero, facendogli sposare sua figlia Deruscet ! La quale essendo presente, subito ribadì la promessa del padre, facendola sua. "Ed io lo sposerò!"
Gilliat rimase totalmente abbacinato da quella dichiarazione, catturato nel profondo della sua anima, dove le più grandi aspirazioni ed ambizioni aveva inconfessate neppure a se stesso !
Sposare Deruscet ! Quale premio più ambito per l’esercizio dell’impossibile !
La dolce, leggiadra, bellissima fanciulla che quell’inverno l'aveva... nominato sulla neve...
Gilliat era un giovane uomo, assai forte, accorto ed esperto nei pochi, fondamentali aspetti del tipo di vita che gli era sino ad allora capitato di condurre.
Ma in campo sentimentale, così come in diversi altri ambiti, aveva l’ingenuità, l’inesperienza e l'emotività di un bimbo. Cominciò quindi a sognare più che mai Deruscet, a vederla sua, incredibilmente sua, impossibilmente sua…
Ma alla fine di quella divagazione sentimentale affrontò la durissima realtà, da uomo estremamente pratico quale aveva necessariamente imparato ad essere, alla scuola di una vita assai dura e severa, come sempre aveva dovuto affrontare e condurre.
Come recuperare l’apparato motore della Durand ?
Tonnellate di ferro immerse nel turbinoso, enorme frullatore dei terribili scogli delle Druve, incastrato tra quegli enormi denti taglienti? Come anche solo arrivarci la in mezzo, la sotto, e sopravviverci per settimane, forse per mesi, il tempo necessario a svolgere un lavoro impossibile ? Come attrezzarsi con i mezzi necessari?
Come difendersi dalle frequenti, terribili ed inesorabili tempeste?
A Gilliat non mancava senso pratico! Anch'esso faticosamente e dolorosamente appreso alla dura scuola del mare che non perdona.
Quanti resti di naufragio aveva incontrato, quante navi aveva visto lui stesso colare a picco in mezzo agli scogli costieri dell’Isola di
Guernesì ! Quanti cadaveri di annegati gli era capitato di dover recuperare tra quegli scogli, a tempeste chetate!
Ma il premio destinato al vincitore della pazza, impossibile impresa, era per lui assolutamente troppo alettante: valeva sicuramente il prezzo della sua vita !
Vita che ormai non poteva più immaginare di poter vivere senza Deruscet…
L’amatissima fanciulla con cui non aveva mai neppure scambiato una parola !
Gilliat passò due giorni null’altro facendo che pensare, immaginare, calcolare e ricalcolare ogni possibile soluzione del problema, traciando disegni e diagrammi sulla sabia in riva al mare, ricalcolando ogni possibile soluzione ed alternativa, immaginando ogni azione, ogni movimento che avrebbe dovuto compiere, ogni sforzo, perfino ogni eroico e disperato tentativo…Ed infine si convinse che avrebbe potuto farcela, comunque provarci. Egli era anche un provetto ed abilissimo carpentiere navale, mastro d’ascia, ampiamente verificato alla scuola dell’esperienza !
Il terzo giorno era un’altra magnifica giornata d’inizio estate, con il mare icredibilmente piatto, solo leggermente increspato da un leggero vento da Sud Est, ottimo per prendere il largo. La totale assenza di nubi all’orizzonte, il comportamento degli ucelli, il colore del mare suggerivano poi alla sua già lunga esperienza di marinaio pescatore la forte probabilità di durata, almeno per alcuni giorni, di quel clima mite.
Gilliat raccolse nel suo sacco da marinaio i suoi vestiti da lavoro, la cerata per la pioggia con il grande cappellaccio, il pesante maglione di lana grezza, gli stivaloni di gomma, biancheria di ricambio ecc…Poi cibo per molti giorni: gallette secche da marinaio, farina, broccoli ed un gran barattolo di crauti, carne secca e stoccafisso, ed un grande bidone d’acqua dolce…Calcolando che comunque avrebbe potuto anche pescare, tra gli scogli delle Druve, e forse anche raccogliere acqua piovana da bere.
Caricò tutto sulla “pancia”, unendovi la sua cassa degli attrezzi da carpentiere, rinforzata con asce paranchi di riserva, e molte decine di metri di funi, le più robuste.
Gli attrezzi per la pesca erano già a bordo.
Salpò infine alla volta delle Druve, rotta sulla bussola per 45 gradi, che nonostante la limpida giornata non poteva scorgerle ad occhio nudo e non possedeva binoccoli o cannocchiali (e neppure sestante,né cronometro), a quei tampi roba da ricchi capitani.
Gilliat navigava come gli antichi Fenici, come i Vichinghi che avevano attraversato il grande Oceano, regolandosi sullla posizione del sole e delle stelle. In più veva solo una misera bussola, recuperata da un relitto affondato.
Uscendo dalla piccola baia che ridossava la sua casa fece un ampio giro, appositamente per allargare lo sguardo oltre la punta che gli nascondeva il porto di Guernesì e dare così un ultimo sguardo alla casa di Deruscet…colei che, ignara, lo muoveva verso quell’eroica, impossibile avventura.
Fine seconda parte.
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martedì 7 giugno 2011
GILLIAT...il MOSTRO
GILLIAT...IL MOSTRO 1^ Parte
Racconto derivato da "I lavoratori del mare" romanzo di V.Hugo. L'illustrazione qui accanto,
tratta da originale del 1870 c.a, rappresenta i terribili scogli delle Drouves.
L'imbocco della Manica, canale tra l'Oceano ed il tempestoso Mare del Nord, è una specie di enorme imbuto, dove spesso infuriano onde e vento in arrivo dall'Atlantico. Ma quando si scontrano con i venti e le onde gelide che battono dalla parte opposta, scendendo dal Mare del Nord, allora si hanno le tempeste più terribili !
In quel mare,tra la Manica e l’Oceano Atlantico si trovano le isole di Guernesey e Jerseyi ed altre minori, oltre ad un infinità di pericolosissimi scogli.
Più ad est c’è lo stretto della Manica, tra i porti di Dover e di Calais.
Per navigare in questo mare, seminato di scogli pericolosi e spesso battuto da forti tempeste, bisogna essere veri marinai, capaci e coraggiosi.
Gilliat era uno di quelli. Era ancora un ragazzo, ma aveva ormai ben imparata l'arte della navigazione a vela, alla scuola più dura e severa: quella dei pescatori delle Isole della Manica.
Gilliat era orfano: era giunto sull'Isola bambino piccolissimo, solo con una donna non più giovane, forse la madre, forse la nonna, che con il suo poco denaro aveva comprato una vecchia casa diroccata con un pò di terra intorno, a ridosso di un aspro e roccioso promontorio dell'Isola, battuto dal vento e dal mare.
La donna aveva lavorato fino a consumarsi, aggiustando la casa, coltivando la sua terra e crescendo il bimbo, finchè era morta.
Così Gilliat era rimasto solo e solitario.
Era un ragazzo forte, coraggioso, ma di pochissime parole e senza nessun amico. Bravo marinaio, ma anche ottimo carpentire aveva ripescato una grande barca, mezza affondata nelle secche della scogliera davanti a casa sua, l'aveva aggiustata come nuova e ne aveva fatto il suo battello da pesca, che sapeva governare meglio di chiunque altro in mezzo alle acque così spesso molto agitate e fra i tanti scogli pericolosi del mare della Manica.
La sua abiltà nella navigazione e nella pesca, gli permetteva di arrivare normalmente per primo in porto la mattina, alle banchine del pesce, per vendere al meglio tutto quello che aveva pescato durante la notte.
Gran nuotatore si allenava quasi tutti i giorni in piccole o grandi trasversate ed immersioni in apnea profonda, spesso risalendo dagli abissi con ostriche, conchiglie, aragoste od altre prede.
Diversi erano gelosi delle sue capacità e dicevano in giro che fosse una specie di indemoniato, figlio della strega defunta, sua madre o nonna che fosse. Inoltre abitava nella vecchia casa solitaria che si diceva fosse sempre stata covo di pirati, diavoli e fantasmi. Il suo sopranome era
"Le bu de la rue".
Ma Gilliat non ascoltava quelle voci, comunque non se ne dava pena.
Viveva la sua vita solitaria, tra il mare, il vento, le vele della sua barca, i pesci che pescava ed i prodotti dell'orto che gli aveva lasciato la sua mamma-nonna.
Sull'Isola viveva anche Mastro Letierrì, anche lui grande marinaio, proprietario del primo ed unico piroscafo mercantile che navigava il mare della Manica, nave a vapore che trasportava merci tra le Isole, la Normandia e la Bretagna. Quella nave si chiamava Durand.
Mastro Letierrì, diventato ormai troppo vecchio per sostenere la fatica di navigare al comando del suo piroscafo, lo aveva affidato al suo abile Nostromo, Messer Cluben, che continuava con successo e grande maestria a portare in giro per quel mare pericoloso la bella e veloce nave a vapore.
Mastro Letierrì aveva un'unica figlia di nome Deruscet, giovane e bella come una principessa, e come fosse una principessa l'aveva cresciuta, facendole avere la migliore educazione e circondandola di ogni occasione per diventare un'aristocratica fanciulla, dai modi assai compiti e perfino sofisticati.
In pratica una "principessa" senza blasone.
Mastro Letierrì aveva anche un sogno: trovare un "Principe" per sua figlia Deruscet che fosse anche un ottimo "Capitano" per il suo piroscafo Durand.
Non era sogno facile da realizzare, ma non aveva fretta: Deruscet era ancora molto giovane ed era di gusti molto difficili, non sarebbe stato facile trovare un giovane "Principe-Capitano" che non facesse arricciare il suo aristocratico nasino...
Del resto anche la nave non aveva fretta, affidata alle abili mani del Capitano Nostromo, Messer Cluben, che per quanto non fosse giovane non era neppure vecchio, era molto fidato, capace e poteva comandare la Durand ancora per anni.
Una sera d'inverno che era nevicato Gilliat stava facendo una passeggiata lungomare e vide lontano, davanti a se una leggiadra figurina che lo precedeva: quando si voltò a guardarlo riconobbe in lei Deruscet, la bellissima figlia di Mastro Letierrì. La ragazza si fermò, si chinò come frugando nella neve con la mano e poi subito ripartì con passo svelto.
Arrivato in quel punto Gilliat notò, ma solo per caso, che nella neve c'era scritto il suo nome: "Gilliat". L'aveva scritto la fanciulla !
Il ragazzo aveva già notato la bellezza ed il fascino di quella ragazza, incontrandola per caso nelle vie del porto, perlopiù in compagnia del padre, ma non aveva mai osato pensare di poterla avvicinare, né tantomeno di desiderarla.
Ma ora, di fronte a quel gesto, rimase colpito, frastornato...: la ragazza sapeva il suo nome e gli aveva inviato un segnale..., gli aveva dimostrato la sua attenzione !
Allora Gilliat il solitario, lo scontroso e timido introverso che viveva emarginato da quasi tutti gli abitanti dell'Isola, osò quasi pensare, quasi sperare di poter avvicinare Deruscet, di corteggiare e far sua quell'inarrivabile "Principessa" !
In realtà Deruscet non aveva alcun interesse per Gilliat, se non l'infantile curiosità per quella sorta di strano ed isolato tipo, di cui si raccontavano storie, perfino leggende diaboliche intrise di stregoneria.
Scrivendone il nome nella neve aveva voluto semplicemente sfidarne la presenza ed esorcizzarne i paventati poteri occulti.
Di quell'episodio, di quella specie di incontro da lontano, in Gilliat rimase però un segno profondo, indelebile ed indimenticabile: tanto poco era bastato alla sua semplice ed inesperta emotività sentimentale.
Messer Cublen, il Nostromo ora capitano del piroscafo Durand, era un uomo tarchiato, non alto ma solidissimo, grande nuotatore, quasi come il giovane Gilliat, e valente marinaio: dell’arte della navigazione, a vela ed a motore, sapeva tutto ed aveva un’enorme esperienza, avendo anche lui, come Mastro Letierri, proprietario del piroscafo Durand, navigato per tanti anni attraverso i mari e gli Oceani di tutto il mondo. Aveva inoltre fama di essere persona di tutta fiducia, di specchiata e meticolosa onestà. Per questi motivi Mastro Letierri, che lo aveva avuto con sé come nostromo per tanti anni, ritirandosi gli aveva affidato il comando, cioè il destino della sua nave.
Ma purtroppo sotto la pelle dell’agnello si nascondeva il “lupo”!
Messer Cublen era in realtà quel lupo, travestito da agnello !
Era un lupo che viveva da sempre nascosto sotto la candida pelle dell’agnello: molto astuto e gran calcolatore solo raramente compiva i suoi misfatti e senza farsi mai scoprire, sempre alla ricerca del grande “colpo”, quello che gli avrebbe permesso di ritirarsi definitivamente a vivere nella ricchezza frutto dei suoi delitti.
Alcuni anni prima era accaduto che un altro nostromo, che navigava sulla Durand con Mastro Letierri gli avesse rubato un gran tesoro, uno scrigno pieno di oro e pietre preziose, la dote di nozze dell’allora giovanissima Deruscette. Quel ladro matricolato era poi sparito con tutto il tesoro senza farsi più trovare.
Ma Messer Cublen, che quel ladro avrebbe voluto essere stato lui, non aveva mai smesso di cercarlo, sempre indagando, cercando e domandando in tutti i suoi viaggi per mare. Finchè lo aveva rintracciato nel porto di Dover ! Era di passaggio e travestito da prete Quacchero, si era fatto crescere i favoriti sulle tempie e si era tagliato i baffi, i suoi capelli erano diventati in parte grigi, ma Cublen lo riconobbe immediatamente.
Senza farsi accorgere lo seguì, ne curò le mosse, ne calcolò gli spostamenti ed indagò sulle sue intenzioni. Seppe infine che, coinvolto nelle beghe allora in corso tra Napoleone e gli Inglesi, stava cercando di scappare in America ed aveva già trovato un imbarco clandestino verso il nuovo continente.
Mastro Cublen lo seguì di nascosto sino quell’imbarco, sull’alta costa a precipizio sul mare, dove era in attesa di una scialuppa che venisse a prelevarlo. Cublen allora lo affrontò e lo spinse facendolo precipitare sulla sottostante scogliera, ma non prima di avergli sottratto lo scrigno del tesoro, che lui aveva già rubato a Mastro Letierri anni prima.
In quello scrigno c’era tutta laricchezza che Cublen aveva sempre desiderata ! Che ora avrebbe potuto finalmente ritirarsi a godere per il resto dei suoi giorni.
Ritornò sul piroscafo Durand, che il giorno dopo avrebbe dovuto riportare all’Isola di Guernesy e, contrariamente al suo solito, festeggiò bevendosi un’intera bottiglia di acquavite !
Così che al mattino si sveglio tardi, rintronato e stordito, con un forte mal di testa.
Tra Dover e le Isole, nel canale della Manica battuto dalle tempeste, tra le tante insidie, tra gli infiniti pericolosi scogli affioranti, ci sono le grandi “torri” di Duvre, enormi scogli di granito che troneggiano in mezzo al mare, terribili da vedersi ma assai più da avvicinare !
Invisibili nella nebbia che spesso copre il mare della Manica, grave ostacolo alla navigazione, spesso inevitabili nelle tempeste quando, scorti all’ultimo momento nella breve distanza non si riescono più ad evitare.
Nessuna nave finita contro gli scogli delle Duvre si è mai salvata !
Nessun passeggero o uomo d’equipaggio !
Le rocce di granito tagliente si ergono maestose sino a 30, 40 metri d’altezza. Torri verticali acuminate come enormi denti di squalo, a precipizio in un circostante mare profondo, in cui si nascondono probabili mostri marini, pronti a divorare ogni preda finita in quegli abissi, tra altri scogli taglienti e sommersi, caverne ed anfratti,
sempre coperti dal mare profondo.
Quegli scogli terribili si trovavano sulla rotta, sulla via del ritorno all’Isola di Guernesy che quel giorno Messer Cublen, al comando del piroscafo Durand si apprestava a navigare.
Quella mattina a Dover c’era molta nebbia, sospinta da un vento da Nord Est che presagiva mare molto agitato. Il piroscafo Durand partì comunque alla volta dell’Isola di Guernesy, ma con le stive semivuote per mancanza di merce da trasportare.
Aveva solo un carico di bovini destinato ad un allevamento e poco d’altro.
Appena uscito in mare aperto il comandante Messer Cluben si era fatto sostituire alla guida della nave dal suo Secondo, perché non si sentiva in condizione. La sbornia della notte precedente ne era la causa: gli girava la testa, gli pulsavano dolorosamente le tempie, aveva le gambe malferme, lo stomaco in subbuglio e la vista annebbiata peggiorava l’effetto della…nebbia, che già pesantemente rendeva quanto mai ardua la navigazione in quell’infido mare.
Cublen non era abituato all’alcool, l’episodio solitario della sera prima poteva solo giustificarsi per la grandissima emozione di quanto gli era accaduto, l’uccisione del ladro da tanto tempo ricercato e l’euforia per la grande ricchezza che così aveva conquistata, contenuta nello scrigno del tesoro, ora rinchiuso nella cassaforte della sua cabina.
A metà giornata la nebbia non era scomparsa, ma il mare s’era incattivito: onde sempre più alte e dirompenti spingevano la Durand da Nord Est, colpendola ed agitandola in continuazione di tre quarti a poppavia: il Piroscafo procedeva così in un tribolato dondolio, tra il beccheggio ed il rollio, ma sicuramente più veloce di quanto il motore non le rendesse, grazie alla spinta del mare.
Il Secondo al timone faceva del suo meglio, aguzzando la vista in quel ceco biancore: già un paio di volte era riuscito ad evitare all’ultimo istante scogli e secche apparsi all’improvviso, ma gli mancavano completamente dei punti di riferimento visibili. Il punto stimato verso mezzogiorno non aveva potuto misurare la latitudine, causa l’offuscamento totale del sole, perso oltre la nebbia.
Tenendo conto della spinta dei motori, della corrente, dell’orario e del costante orientamento della bussola, aveva calcolato, ma molto a spanne, di trovarsi a circa 30 miglia a Nord Nord Est di Guernesy, quindi in rotta per la destinazione.
Dopo aver mangiato qualche galletta asciutta, più per sedare l’acidità di stomaco che non per fame, Messer Cublen salì faticosamente in plancia e chiese notizie al secondo sulla navigazione. Avutele volle controllarle a sua volta, rifacendo una stima della spinta del motore, rimasta sempre costante a mezza forza, della spinta del vento e della corrente, e quindi dei possibili scarroccio e deriva, tenendo costante l’orientamento della bussola: Sud Ovest.
Alla fine il suo dato, anch’esso quanto mai approssimativo, risultò diverso da quello rilevato dal Secondo: per lui la nave si trovava già a circa 10 miglia a Nord Est di Guernesy ! E Cublen era sempre stato un vero fenomeno nell’arte della navigazione, anche in quanto ad orientamento ! 20 miglia di differenza non erano poca cosa !
Subito Cublen memorizzò visivamente nella sua mente oramai lucida, avendo smaltito infine i fumi dell’alcool, la carta navale di quella zona con i segnali di pericolo relativi ed immediatamente si rese conto che, se non aveva sbagliato i calcoli, si trovavano ora nelle immediate vicinanze delle terribili Druve, gli altissimi, enormi scogli, taglienti come denti di squalo, che s’innalzavano come torri assassine in mezzo al mare della Manica, 10 miglia a Nord Est dell’Isola di Guernesi !
Non fece in tempo a ribadirsi la scoperta di quell’emergenza incombente che udì un urlo terrorizzato provenire da fuori, da prua, dove era piazzato un marinaio in vedetta di turno, per cercare di vedere prima del timoniere in quella fosca nebbia ed avvertirlo.
Un urlo disperato di allarme, non fece in tempo a capirne le parole che subito anche lui vide il terribile pericolo, ormai talmente vicino da essere inevitabile !
Stavano puntando dritti, sobbalzando sulle onde diventate più alte e dirompenti, verso le tremende torri di Druve: gli alti scogli di granito tagliente stavano oramai sovrastando la nave, che già era sul punto di entrarvi in mezzo !
Messer Cublen immediatamente capì di essere perso, nessuna manovra oramai poteva salvarli: erano completamente circondati dagli scogli assasssini, l’unica possibilità avrebbe potuto essere retrocedere, ma con il mare che spingeva proprio da dietro, sommandosi all’abbrivio dato alla nave dal motore, ciò non era assolutamente fattibile !
Gridò comunque subito: “macchina indietro, a tutta forza !” E non aveva ancora finito di urlare quel comando che già correva da basso, alla sua cabina, per recuperare dalla cassaforte lo scrigno della sua nuova richezza, a cui aggrappare la sua ultima disperazione.
Aveva appena iniziato a scendere le scale che sentì il grande colpo, il primo, della nave contro gli scogli. Cui subito seguirono gli altri, in progressiva successione, con enormi stridii per gli squarci che gli scogli immersi, taglienti e potenti come magli giganteschi, stavano provocando allo scafo della nave, che presto cominciò ad innondarsi e ad affondare.
Messer Cublen riuscì comunque a raggiungere la sua cabina e a recuperare il suo tesoro. Fece anche in tempo a risalire in coperta, ormai anch’essa sommersa dalle onde e sballottata tra gli scogli, giusto sotto le terribili Druve.
Poi fù preso dai flutti, sballottato in quell’enorme frullatore che le onde furiose formavano tra gli scogli, esasperadone la distruttiva potenza.
Cublen era si un grande nuotatore, ma in quelle circostanze anche il migliore di tutti non avrebbe avuto speranze. Tuttavia lui fece del suo meglio: con grande accortezza s’immerse in apnea verso l’abisso, dove il mare assai meno risente dell’onda, cercando di raggiungere un anfratto più riparato in cui poi riemergere.
Il suo calcolo per quanto disperato non era sbagliato. Dopo oltre un minuto di apnea, nuotando in profondità con vigorosi colpi di gambe e dell’unico braccio libero, l’altro essendo impegnato a serrare lo scrigno del suo tesoro, superò la stretta porta, lo spazio che divide le Druve. Oltre il quale capì che avrebbe trovato una calma relativa, onde meno feroci, mare meno ribollente, per la protezione data dagli scogli verso la grandiosa spinta del mare che giungeva dalla parte opposta.
Vicino ormai al limite dell’apnea iniziò a risalire, ma improvvisamente si sentì afferrare una gamba, poi l’altra, da tentacoli terribilmente forti, contro i quali nulla avrebbe potuto. Fù così inesorabilmente trascinato verso il basso, privo ormai di ossigeno e di forze che comunque nulla avrebbero potuto per salvarlo.
E con lui il suo tesoro.
Fine della prima parte.
mercoledì 1 giugno 2011
La principessa e il ranocchio
Ed ecco un Video della favola, estratto dalla versione modernizzata del Film della Disney. Buon divertimento,
nonnorso
nonnorso
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