venerdì 14 ottobre 2011

La Principessa rapita. 2^ Parte

(Panorama dell'Isola del Te)

LA PRINCIPESSA RAPITA 2^ Parte

Il Mago Architagora, con il cuore pesante per aver dovuto abbandonare il suo pupillo Victor nelle mani degli Indiani di Karimbad, fece ritorno al regno di Continental per riportarvi la Principessa Monia, sottratta ai rapitori grazie sopratutto al coraggio del prode Victor.
Dopo alcune ore di volo sul grande Mare Oceano il Mago ebbe qualche problema ad atterrare con la sua macchina volante nel grande cortile del Castello Reale: nessuno aveva mai visto quel diabolico e stranissimo oggetto volante, che fù accolto dagli arcieri con nuguli di frecce, inutilmente scagliate per l'impossibilità di scalfirne la durissima corazza.
Il Mago, utilizzando infine un potente amplificatore vocale riuscì a farsi riconoscere, annunciando il ritorno della Principessa Monia, sana e salva. Grandi furono allora il trupudio, la gioia e la felicità manifestate dal Re, dalla Regina e da tutta la Corte Reale, cui non parteciparono il Mago e la Principessa, tuttavia preoccupati per la sorte dell'eroico Victor.


Il Re manifestò subito l'intenzione di inviare un'altra flotta, perchè si riunisse a quella già mandata ed insieme andassero alla volta delle Indie, per attaccare quegli infidi nemici e liberare il Principe Victor.
Ma il Mago subito lo calmò, ridimensionando l'eventualità per le difficoltà che implicava, i lunghi tempi di attuazione ed i gravi rischi, anche a carico di Victor, la cui stessa vita avrebbe potuto essere posta in pericolo da quel tipo di operazione.
No, disse il Mago, tocca a me salvarlo e lo farò con l'aiuto della mia macchina volante, la mia magia e le risorse della mia scienza !
Il tempo di ricaricare di energia il suo prodigioso apparecchio e già la mattina del giorno successivo Architagora partiva alla volta delle Indie.

Nel frattempo il povero Victor, frustato a sangue ed imprigionato nella stiva del veliero ammiraglio, aveva avuto tristemente tempo e modo di meditare sulla sua infelice situazione, che sembrava proprio non offrirgli vie di salvezza.
Ma la speranza è sempre l'ultima a morire e mai si deve cedere alla disperazione: questo gli aveva innanzitutto insegnato e sempre raccomandato il suo Maestro Mago ! E non era forse ricorrendo anche a questi principi che Victor era riuscito a vincere il torneo, quando tutto sembrava ormai perduto nella penultima prova ed era stato disarcionato al salto dal suo cavallo, imbizzarrito perché fatto drogare da Karimbad ?

(in alto mare)

Costretto e dolorante, nel buio freddo ed umido della profonda stiva, decise dunque di usare in ogni modo la sua mente, la sua fantasia, per trovare un'impossibile soluzione alla sua prigionia.
Lo rincuorava la certezza che il suo amico Architagora non lo avrebbe mai abbandonato.
Dopo aver a lungo riflettuto realizzò che il momento migliore per tentare la fuga sarebbe stato il prossimo scalo, il primo sulla via delle Indie, che le navi di Karim sarebbero state costrette a fare per rifornirsi di acqua e di cibi freschi.
Là dove probabilmente lo avrebbe raggiunto il Mago, per aiutarlo a fuggire.


(the rock mountain all'isola del te)


E dopo alcuni giorni la piccola flotta approdò in una baia dell’Isola del Te, sostandovi per i rifornimenti l’intera giornata.
Victor nel frattempo, nell’oscura penombra della stiva aveva realizzato un arguto strategemma per liberarsi della fune che gli legava entrambe le mani ad un grosso anello fissato al pagliolato.
Aveva inutilmente provato a scardinarlo, tirando e strappando, non riuscendo a recidere in alcun modo la grossa corda ritorta.
Aveva anche provato con i denti, ma era troppo rigida, comunque scomoda per poterla mordere.
Gli era allora balenata l’idea di far lavorare per lui i grossi topi che affollavano la stiva e che gli si avvicinavano pericolosamente quando il marinaio di guardia gli portava la sbobba, il rancido pastruglio destinato ad alimentarlo per la sua breve sopravvivenza. Che tale era probabilmente nelle intenzioni di Karim: condurlo alle Indie come trofeo, nel migliore dei casi tentare di usarlo come merce di scambio per riavvicinare la Principessa Monia.
Victor si forzava comunque di cibarsi dell’orrido, grasso, maleodorante intruglio, più per opportunità di sussistenza che non di fame, che il solo odore emanante da quella ciottola immediatamente gli toglieva qualsiasi apetito !
Ma così non era per i ratti della stiva, che si litigavano i suoi avanzi, unti e rancidi.
Victor allora escogitò di ungere con quel rancido grasso, probabile ultimo avanzo della cucina di bordo, la fune che lo legava.

(vele al vento)


Nonostante le mani fossero sempre strettamente legate tra di loro, così come riusciva ad usarle per per portarsi la ciottola alla bocca riuscì anche ad impregnare per bene la fune, nella zona più vicina a terra, dove era fissata al pavimento, ad un paio di metri da lui, così che i ratti potessero più tranquillamente dedicarsi a rosicchiarla.
E la fune venne così progressivamente tagliata, incisa dai denti taglienti dei topi, nella loro azione golosa, determinata ed efficace. In gara tra di loro seguivano un preciso ordine gerarchico di rosicchiata, ciascuno impegnandosi al massimo, se non altro per non dar addito a chi lo avrebbe seguito nel turno…Victor continuava ad ungere ogni volta la corda, usando anche l’ultima patina di grasso che impregnava la sua misera ciottola, per conservare la corda appetitosa all’olfatto ed al gusto dei sorci.


la costa sud dell'isola)


Al terzo giorno la fune era ormai ridotta a brandelli e Victor dovette cercare di nasconderne la zona sfibrata agli occhi dei suoi guardiani, cercando di distrarli.
Ma ora il tempo incalzava: la nave era già ferma in rada da alcune ore e da un momento all’altro sarebbe ripartita. All’imbrunire Victor decise che doveva assolutamente approfittare di quella sosta e del buio per tentare la fuga.
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(il gran salto nel buco del diavolo, sull'isola del te)


Tentò di strapparla, ma le forti fibre che la formavano ancora resistettero ai suoi sforzi !
Poi, più che vedere, armeggiando a ridosso dell’anello cui la corda era affrancata, ne colse al tatto un asperità alla base, appena affiorante dall’assito, dove l’anello era inchiodato.
Afferrata allora la fune tra le mani e tesala per quel poco che gli consentiva lo stretto legaccio intorno alle sue mani prigioniere, cominciò a sfregarne assiduamente gli ultimi capi sfilacciati contro quell’asperità vagamente tagliente.
Lavorò così per almeno mezz’ora, senza tregua, sbucciandosi le nocche delle dita contro l’assito , ma alla fine quel che restava della corda cedette e tra le mani gli rimasero i due capi, tronchi e sfilacciati.
Subito Victor si alzò per sgranchirsi e per una breve ispezione nella stiva.

A tentoni trovò la porta, ovviamente sbarrata dal catenaccio esterno che ogni volta che gli portavano il suo miserrimo pasto sentiva manovrare.
Aveva già considerato l’aggressione al marinaio di guardia: l’avrebbe colto alle spalle, strangolandolo con un cappio formato dalla breve cima rimasta legata alle sue mani.
Ma siccome quello recava sempre una lanterna per vederci nel buio della stiva, gli organizzò un fantoccio, utilizzando stracci e cianfrusaglie, che avesse le sembianze del suo corpo, accasciato come sempre accanto all’anello cui era sinora stato legato. A maggior verosimiglianza pose sopra a quel simulacro anche i suoi vestiti e si pose in attesa, apoggiato alla paratia dell stiva, accanto alla porta, subito dietro al suo compasso di apertura.
Non mancava molto all’ora in cui gli avrebbero portato la sbobba serale. Essenziale era che il veliero non partisse prima !

Il tempo non passava mai, i minuti erano in quell’attesa lunghi come giorni. Victor tremò per la disperazione udendo urlare gli ordini per la partenza: il veliero si accingeva dunque a salpare !
Disperato sentì il lontano e sordo cigolio degli argani che issavano le vele ed il rude borbottio della catena che il verricello stava arrotolando per recuperare l’ancora, ultimo atto prima della partenza.
Ma quei rumori avevano coperto i passi del marinaio di guardia che gli portava la cena: Victor sentì infatti all’ultimo minuto lo scricchiolio del catenaccio ed abbe appena il tempo di prepararsi all’apertura della porta. La guardia entrò biascicando nella sua lingua incomprensibili parole, sicuramente di scherno nei riguardi di Victor, ma come varcò l’apertura dell’uscio la voce gli si strozzo in un sordo gemitò, la gola irrimediabilmente stretta nella mortale presa per cui Victor, veloce come il fulmine l’ebbe subito avvolto e strangolato, nonostante l’estremo dibattersi del suo carceriere. La presa fù tale che non si limitò a strozzarlo, ma ruppe anche le vertebre del collo, determinando con ciò l’immediata fine del malcapitato.

Rapidissimo Victor realizzò che doveva assolutamente abbandonare la nave finchè si trovava ancora nella baia, a portata di una sua vigorosa nuotata verso la costa.
Il momento era propizio, essendo sicuramente tutto l’equipaggio ancora impegnato nelle manovre della partenza.

(cascate in sequenza sull'isola del te)

Indossò la divisa del marinaio, per lui striminzita, e si precipitò, ma con cautela, su per le scale, attraverso i boccaporti, sino a raggiungere la coperta, dove ormai rimaneva ben poca luce del tramonto avanzato.
Si affacciò guardingo all’aperto, subito cogliendo con piacere la fresca brezza marina.
Si trovava a circa tre quarti del veliero, verso il castello di poppa che dominava la sottostante coperta, dal quale avrebbero potuto scorgerlo il comandante, il nostromo ed il timoniere, che stavano dirigendo le manovre della partenza.
La nave aveva già iniziato a cogliere il vento di tramontana e su in alto, arrampicati sugli alberi, i marinai stavano ancora srotolando le ultime vele mentre da basso già avveniva la regolazione di quelle tuttavia spiegate.
Tutti erano ancora impegnati ed anche sul castello di poppa, in zona di comando, i nasi erano prevalentemente rivolti in alto, a controllare le manovre.


(cala la notte nella rada)


Solo il timoniere buttava ogni tanto l’occhio in basso, sulla rotta in uscita dalla baia, guidato dagli avvisi che da prua gli urlava il marinaio di vedetta.
Victor colse l’attimo in cui sul castello di poppa tutti, incluso il timoniere, guardavano verso l’alto, alle manovre della velatura, in via di completamento.
Uscì dal boccaporto di coperta e con passo deciso si avviò verso poppa, da dove intendeva calarsi silenziosamente in mare per raggiungere a nuoto la riva, ormai distante quasi un miglio: una buona mezz’ora di nuoto a ritmo sostenuto.
Ma quando fù a ridosso del castello di poppa inaspettatamente si aprì la porta dei locali destinati agli alloggi dell’armatore e ne uscì il Principe Karimbad, che aveva appena cenato ed interveniva ad un controllo formale della partenza.
Inevitabilmente Victor e Karim s’incrociarono, subito riconoscendosi !
Il principe lesto sguainò lo spadino che sempre portava al suo fianco,
urlando a gran voce l’allarme, ma Victor gli fù subito adosso, bloccandogli con la sua la mano dell’altro che impugnava l’arma e strozzandogli il collo con l’altro braccio piegato, spingendolo violentemente contro la parete del castello.
Karim non riusci ad emettere ancora che sordi rantoli, la gola bloccata dall’inesorabile presa di Victor. Il grido d’allarme si era perso nel vento delle manovre in corso, vagamente colto soltanto dal timoniere, sempre attento alle voci che da prua gli urlava la vedetta per la rotta in uscita dalla baia.
Il nocchiere si guardò intorno, sulla plancia e sulla sottostante coperta, in allerta se udisse ancora quell’invocazione che gli pareva di aver chiaramente avvertita, ma nulla ancora ebbe a sentire, né vide.
Intanto Victor, facendo appello ad ogni sua risorsa di forza e destrezza, era riuscito a stordire Karimbad, stendendolo tramortito sulla tolda di coperta, in un buio anfratto sotto il castello di poppa.
Aveva poi rapidamente raggiunto la murata, si era calato con una fune di recupero ed aveva raggiunto il mare, subito immergendosi in profondità per poi nuotare in apnea, il più a lungo ed il più lontano possibile dal veliero che ormai viaggiava spedito verso il largo.
Quando infine riemerse, ormai privo di ossigeno, intravvide la nave allontanarsi, già distante da lui almeno duecento metri.

(la flotta di Karimbad)


Riprese fiato e ripartì poi a nuotare, veloce verso la terra ferma, calcolando di approdarvi non visto nel punto più vicino, ma lontano dalla spiaggia abitata, entro una quarantina di minuti, correnti permettendo.

Lo aiutò la risacca della marea ed in poco più di mezz’ora fù a riva.
Ma mentre stava uscendo dall’acqua udì un colpo di cannone !
Veniva dall’alto mare: Victor guardò in quella direzione e riuscì faticosamente ad intravvedere, nell’incombente oscurità che segue il tramonto, le navi di Karim che avevano invertito la rotta e stavano ritornando verso la baia dell’Isola del Te !
La sua fuga era dunque stata scoperta ed il Principe Indiano aveva ordinato di ritornare, sicuramente per catturarlo e fargli duramente pagare l’evasione e quant’altro.
Karim non aveva ora altra alternativa che darsi velocemente alla macchia, contando sul vantaggio un’ora, al massimo due, sapendo che sarebbe stato braccato non solo dagli indiani di Karim, ma sicuramente anche da gran parte degli indigeni, a cui il Principe avrebbe sicuramente palesato una ricca ricompensa per la sua cattura.
Vivo o morto !

Fine della seconda parte.

Nonnorso.


















































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