martedì 25 ottobre 2011
La Principessa rapita. 3^ Parte
La Principessa rapita. 3^ Parte
Victor era dunque in fuga sull'Isola del Te, approdatovi dopo una lunga nuotata, rocambolescamente evaso dalla stiva del veliero ammiraglio di Karimbad, dove era tenuto prigioniero dopo la sua cattura, seguita alla liberazione della Principessa Monia, ricondotta in patria dal Mago Architagora a bordo della sua prodigiosa Macchina Volante.
La flotta di Karim, appena partita per le Indie, già stava rientrando nella baia per catturarlo di nuovo ed alla sua caccia avrebbe certamente coinvolto anche parte della popolazione indigena.
Victor aveva calcolato di avere forse due ore di vantaggio sugli inseguitori.
Non conosceva il territorio su cui si stava rapidamente muovendo.
L'Isola non era molto grande, ma ricca di vegetazione, di montagne molto scoscese, di ripidi corsi d'acqua, laghi, cascate.
Non aveva idea di che fauna avrebbe potuto incontrare in quelle foreste, nè di eventuali pericoli ed ostacoli.
L'unica strategia che aveva in mente era una fuga nei meandri della fitta giungla, verso le vette più alte, da cui avrebbe potuto più facilmente controllare l'eventuale arrivo del suo amico Mago, che sicuramente sarebbe ritornato per tentare di soccorerlo a bordo della Macchina che volava.
Non era armato, la corta scimitarra che aveva sottratto al suo carceriere fuggendo l'aveva dovuta abbandonare prima di tuffarsi in mare, perchè lo avrebbe ostacolato ed appesantito nella lunga nuotata verso riva.
Spesso era costretto ad aggirare i fitti intrichi di vegetazione che lo ostacolavano nella fuga. Sperava che ciò avrebbe forse ridotto le tracce del suo passaggio, che cercò di rendere ancora meno evidenti, muovendosi con la maggior circospezione possibile. Ma questo procedere non favoriva di certo la sua velocità di fuga.
Si rendeva anche conto che una volta che avesse raggiunto una vetta, su quella avrebbe probabilmente finito con l'essere accerchiato dagli inseguitori.
Ormai la visibilità si era ridotta praticamente a zero: con la notte era ormai sopraggiunta nella giungla sabbe stato buio totale.
Si risolse quindi all'attesa ed al vigile riposo, arrampicandosi su di un alto e frondoso albero, poco oltre l'inizio della foresta, su cui riuscì in qualche modo ad inventarsi uno scomodo giaciglio.
Il suo dormiveglia durò solo poche ore, presto arrivò improvvisa l'alba tropicale ed allora discese dal suo nascondiglio ripartendo con determinata urgenza.
Dopo un'ora abbondante di faticosa fuga attraverso la giungla tropicale
Victor giunse infine sull'orlo di un precipizio, che improvvisamente si era aperto davanti a lui e nel quale la foresta sembrava quasi precipitare, unicamente fermata dalle rocce del dirupo.
In fondo al quale, circa trenta metri più in basso, vide un piccolo lago, in cui si specchiava l'abbondante vegetazione.
In quella situazione si sentì bloccato: la giungla ed i probabili inseguitori alle spalle, il precipizio davanti !
Aggrappandosi ai rami più sporgenti si protese sul baratro per controllare se non vi fosse una qualche via di discesa, ma vide solo un liscio muro di roccia lavica, nera e bagnata dalla rugiada del mattino, incombente sul lago.
Subito dopo notò molte lunghe liane che pendevano dall'intrico della foresta verso il baratro. Avendo di che reciderle avrebbe potuto formare una lunga fune, utile per la discesa...Cercò se trovasse una pietra affilata, una scheggia, qualcosa di tagliente, ma nulla...
In quella udì un lontano brusio, che infine riconobbe come il latrare di cani...
Su quell'Isola avevano dunque dei segugi ? Oppure erano parte dell'equipaggio dei vascelli indiani ?
Comunque fosse quegli animali erano probabilmente ormai sulle sue tracce...odorose, stimò a non più di mezz'ora da lui ! Doveva al più presto attraversare quel lago, facendovi perdere le sue tracce olfattive. Ma come raggiungerlo ?
Un tuffo da quell’altezza e senza conoscere la profondità del fondale sarebbe stato ad altissimo rischio…
Victor si mosse lungo il costone del dirupo, nell’intrico della giungla che tuttavia vi strabordava, alla ricerca di una via di discesa, di un punto meno esasperato da cui saltare.
Spostandosi notò che il lago era in realtà formato da un corso da’acqua che si allargava in quel tratto più ampio della stretta e scoscesa vallata.
Lui ora muoveva verso valle, nella direzione in cui scorreva il fiume.
Ciò poteva essere in contrasto con la sua intenzione di raggiungere una vetta da cui poter intercettare la Macchina Volante di Arcitagora.
Ebbe un attimo di perplessità, ma subito considerò che ora doveva innanzitutto seminare gli inseguitori. Opportunità che gli fù ribadita udendo ancora il latrato dei cani, ora più chiaro e quindi più vicino. Riprese quindi a muoversi in quella direzione.
Dopo altri duecento metri, faticosamente percorsi sull’orlo del precipizio infestato dall’intrico della giungla, notò penzolare nel baratro una liana più lunga delle altre, che scendeva sin quasi a metà dell’erta ripa che sovrastava l’acqua, sino quasi a lambire una sorta di minuscola cengia, appena intagliata nella liscia parete verticale.
Da quel punto sino alla superfice del lago stimò ci fossero circa una quindicina di metri, al massimo venti: un tuffo che diventava alla sua estrema portata.
L’acqua sottostante era di un azzurro cupo, tipico dei fondali più profondi.
Ancora udì, più vicino, il latrato dei cani…e questo lo fece decidere.
Raggiunse dunque poco più avanti il punto in cui la liana penzolava, lontana almeno tre o quattro metri dall’orlo dell’alta ripa. Occorreva saltare ed afferarla al volo, non c’erano alternative, tranne risalire sull’albero, sino al punto da cui si staccava quella lunga radice aerea, penzolante nel vuoto. Ma avrebbe perso tempo prezioso.
Victor cercò il punto più vicino alla liana, controllò attentamente la solidità della ripa da cui doveva spiccare il salto, respirò profondamente tre volte, cercando la massima concentrazione, già articolando le dita delle mani, alla cui ferma presa era ora affidata la sua sopravvivenza, attivando la massima acutezza dei suoi sensi per il balzo che stava per compiere…e quindi saltò !
Raggiungendo ed afferrando la fune, neppure un paio di metri più in basso rispetto al punto da cui aveva spiccato il breve volo.
Sotto il carico improvviso del suo peso la liana cedette di altri due metri, ma resse infine il peso. Victor veloce discese e fù presto al termine della liana, appeso al suo capo inferiore, penzolante sul lago sottostante.
A quel punto constatò che si trovava a circa quattro metri da quella minima cengia scorta dall’alto, che nelle sue intenzioni avrebbe potuto costituire il trampolino per il suo tuffo spericolato. Di nuovo si trovò a considerare quanto tempo e fatica avrebbe dovuto dedicare alle acrobazie necessarie per raggiungere quel punto di equilibrio assai precario.
Decise allora che sarebbe saltato direttamentedalla fune, usandola come pendolo per allontanarsi dalla parete di roccia e raggiungere l’acqua il più lontano possibile dalla sottostante riva, là dove presumibilmente era più profonda.
(a lato "angel's fall", la cascata più alta del mondo, oltre 900 mt., in Venezuela)
Accentuando il dondolio della liana raggiunse la parete rocciosa, contro la quale si appoggiò con i piedi dandosi poi una grande spinta, che lo portò ad allontanarsi almeno sei metri verso l’esterno, la dove approfittando della residua spinta si lasciò infine andare, curando poi subito di assumere una posizione idrodinamica, la più vertiicale possibile, così da ridurre al minimo gli effetti d’urto del suo corpo con l’acqua.
Nella quale penetrò velocissimo, sprofondando per almeno cinque o sei metri, nonostante subito si fosse poi raccolto ed allargato per frenare l’immersione, giungendo però a solo metà del fondale, che in quel punto toccava circa dieci, dodici metri.
Velocemente riemerse, constatando come l’acqua fosse decisamente più fersca che non quella del mare in cui aveva lungamente nuotato la sera prima.
Evidentemente quel fiume scendeva da rilievi di considerevole altezza.
Subito iniziò a nuotare di buona lena verso la riva opposta del laghetto, distante circa tre o quattrocento metri, ma notando solo ora che il lago, in superfice apparentemente immobile, in realtà scorreva veloce verso valle.
Quando dopo pochi minuti era ormai vicino all’altra sponda, Victor udì le grida dei suoi seguitori che avevano raggiunto, guidati dai cani, l’orlo della ripa verticale da cui lui si era poc’anzi tuffato.
Grida concitate ed indispettite, cui seguì un improbabile saettare di dardi verso di lui, frecce che finirono inevitabilmente in acqua senza poterlo raggiungere a quella ormai notevole distanza.
Distanza in realtà di sole poche centinaia di metri, ma troppi perché potessero colpirlo e fortunatamente molti da superare per gli inseguitori, ora alle prese con importanti ostacoli naturali: l’alta e scoscesa ripa su cui la giungla incombeva, e l’acqua sottostante da guadare.
Un vantaggio che poteva quantificarsi in un tempo di molte ore.
Arrivando a ridosso dell’opposta riva Victor constatò che non c’era possibilità di approdarvi: le pareti lisce e verticali della roccia impedivano anche da quel lato qualsiasi possibilità di approdo.
Provò ad avvicinarsi, a trovare un appiglio, ma non trovò nulla, e sotto di lui l’abisso sprofondava nell'acqua per parecchi metri.
Nel frattempo la corrente, già avvertita nuotando nella traversata, era divenuta più rapida e continuava ad aumentare di velocità, avvicinandosi alla fine del lago, l’estuario a valle del fiume che lo alimentava.
Fù allora che Victor si rese conte di udire un progressivo, rapidamente crescente rumore, che presto avvertì come un sordo boato, in aumento preoccupante via via che si avvicinava alla fine del lago: una cascata ! Non poteva che essere un elevato, fragoroso salto d’acqua che precipitava da grande altezza.
Il panico lo colse: si trovava in balia del sempre più rapido scorrere della corrente senza la possibilità di fermarsi, trovando un appiglio lungo quella roccia ripida e levigata che formava la parete verticale della riva raggiunta.
Sollevandosi con un colpo di reni fuori dall’acqua sin quasi alla vita intravvide, a neppure un centinaio di metri, la spumosa e fragorosa linea del salto, il traguardo oltre il quale sarebbe volato da chi sa quale altezza per sfracellarsi su probabili balze e rocce sottostanti !
Pochi secondi lo separavano ormai da quell’ineluttabile destino.
Victor spinse ancora contro la parete, strisciandovi le mani sino a spellarsele.
Inutile, non trovava appigli e la corrente lo trascinava via veloce.
Era ormai a pochi metri dal salto quando vide penzolare sull’acqua un lungo ramo,
sporgente dalla riva finalmente in declino. Il ramo degradava a circa un metro dall’acqua ed a sei braccia da riva: Victor non aveva alternative, a quello doveva tentare di aggrapparsi, estremo tentativo di salvezza e così fece.
Forsennatamente si allontanò dall’innarivabile muro di pietra che gli scorreva accanto e raggiunse contemporaneamente il baratro ed il ramo, che afferrò in un guizzo disperato, finendo immediatamente dopo, sulla spinta ormai dirompente dell’acqua in cascata, a dondolare su di un baratro che stimò profondo almeno un centinaio di metri !
Cercando di non scivolare sulla presa, con le mani bagnate ed insanguinate per le ferite provocate dall’attrito sulla roccia, si sollevò sul ramo a forza di braccia, con sforzo sovrumano, finchè fù fuori dall’acqua e riuscì a ghermirlo saldamente anche con le gambe intrecciate.
Mentre così tentava di riprendere fiato, dovette forzarsi oltremodo per per non cedere la panico per la terribile visione che inevitabilmente gli dava l’orrido sottostante, su cui si trovava a penzolare, ancora in una situazione di totale rischio per la vita.
Victor concentrò la sua attenzione sul ramo della sua possibile salvezza: scendeva obliquo dalla ripa dal tronco di una sorta di acacia contorta e tuttavia maestosa, vero miracolo della natura in quel contesto di scoscesa, grande precarietà del suolo in cui aveva disperatamente sprofondato le sue radici.
Iniziò a muoversi, arrampicandosi con lenta, ferma cautela, afferrando saldamente la scivolosa superfice del ramo per risalirlo, sino a raggiungerne il tronco e quindi la riva.
Aggrappato con braccia e gambe, lentamente, con estrema prudenza, riuscì infine a guadagnare quella base, abbracciando il tronco della pianta che lo aveva salvato, poco sopra licheni ed arbusti che formavano compattandolo quel pendio.
Mentre così riprendeva fiato e smaltiva parte della tanta adrenalina prodotta dalle sue surrenali in quella terribile occasione, indulse ad osservare come, la dove il lago terminava nell’estuario del fiume, defluendo direttamente nella cascata, terminavano anche le strette pareti rocciose della montagna, scavata a mò di canion dal corso dacqua, nel divenire infinito del tempo.
Così la montagna tutta, improvvisamente precipitava, insieme alla cascata o quasi, verso valle, in un rapido pendio scosceso, ma ancora in gran parte formato dall’intrico verde della giungla, in soluzione di continuità.
Così restò Victor, lungamente fermo e saldamente avvinto, calmando l’affannoso respiro e rallentando il tumultuoso battito del cuore, mentre sotto di lui continuava il grande, minaccioso fragore dell’abissale cascata, che si era poc’anzi confuso con quello interiore dei suoi sensi.
Fine della 3^ Parte
nonnorso
venerdì 14 ottobre 2011
La Principessa rapita. 2^ Parte
LA PRINCIPESSA RAPITA 2^ Parte
Il Mago Architagora, con il cuore pesante per aver dovuto abbandonare il suo pupillo Victor nelle mani degli Indiani di Karimbad, fece ritorno al regno di Continental per riportarvi la Principessa Monia, sottratta ai rapitori grazie sopratutto al coraggio del prode Victor.
Dopo alcune ore di volo sul grande Mare Oceano il Mago ebbe qualche problema ad atterrare con la sua macchina volante nel grande cortile del Castello Reale: nessuno aveva mai visto quel diabolico e stranissimo oggetto volante, che fù accolto dagli arcieri con nuguli di frecce, inutilmente scagliate per l'impossibilità di scalfirne la durissima corazza.
Il Mago, utilizzando infine un potente amplificatore vocale riuscì a farsi riconoscere, annunciando il ritorno della Principessa Monia, sana e salva. Grandi furono allora il trupudio, la gioia e la felicità manifestate dal Re, dalla Regina e da tutta la Corte Reale, cui non parteciparono il Mago e la Principessa, tuttavia preoccupati per la sorte dell'eroico Victor.
Il Re manifestò subito l'intenzione di inviare un'altra flotta, perchè si riunisse a quella già mandata ed insieme andassero alla volta delle Indie, per attaccare quegli infidi nemici e liberare il Principe Victor.
Ma il Mago subito lo calmò, ridimensionando l'eventualità per le difficoltà che implicava, i lunghi tempi di attuazione ed i gravi rischi, anche a carico di Victor, la cui stessa vita avrebbe potuto essere posta in pericolo da quel tipo di operazione.
No, disse il Mago, tocca a me salvarlo e lo farò con l'aiuto della mia macchina volante, la mia magia e le risorse della mia scienza !
Il tempo di ricaricare di energia il suo prodigioso apparecchio e già la mattina del giorno successivo Architagora partiva alla volta delle Indie.
Nel frattempo il povero Victor, frustato a sangue ed imprigionato nella stiva del veliero ammiraglio, aveva avuto tristemente tempo e modo di meditare sulla sua infelice situazione, che sembrava proprio non offrirgli vie di salvezza.
Ma la speranza è sempre l'ultima a morire e mai si deve cedere alla disperazione: questo gli aveva innanzitutto insegnato e sempre raccomandato il suo Maestro Mago ! E non era forse ricorrendo anche a questi principi che Victor era riuscito a vincere il torneo, quando tutto sembrava ormai perduto nella penultima prova ed era stato disarcionato al salto dal suo cavallo, imbizzarrito perché fatto drogare da Karimbad ?
(in alto mare)
Costretto e dolorante, nel buio freddo ed umido della profonda stiva, decise dunque di usare in ogni modo la sua mente, la sua fantasia, per trovare un'impossibile soluzione alla sua prigionia.
Lo rincuorava la certezza che il suo amico Architagora non lo avrebbe mai abbandonato.
Dopo aver a lungo riflettuto realizzò che il momento migliore per tentare la fuga sarebbe stato il prossimo scalo, il primo sulla via delle Indie, che le navi di Karim sarebbero state costrette a fare per rifornirsi di acqua e di cibi freschi.
Là dove probabilmente lo avrebbe raggiunto il Mago, per aiutarlo a fuggire.
(the rock mountain all'isola del te)
E dopo alcuni giorni la piccola flotta approdò in una baia dell’Isola del Te, sostandovi per i rifornimenti l’intera giornata.
Victor nel frattempo, nell’oscura penombra della stiva aveva realizzato un arguto strategemma per liberarsi della fune che gli legava entrambe le mani ad un grosso anello fissato al pagliolato.
Aveva inutilmente provato a scardinarlo, tirando e strappando, non riuscendo a recidere in alcun modo la grossa corda ritorta.
Aveva anche provato con i denti, ma era troppo rigida, comunque scomoda per poterla mordere.
Gli era allora balenata l’idea di far lavorare per lui i grossi topi che affollavano la stiva e che gli si avvicinavano pericolosamente quando il marinaio di guardia gli portava la sbobba, il rancido pastruglio destinato ad alimentarlo per la sua breve sopravvivenza. Che tale era probabilmente nelle intenzioni di Karim: condurlo alle Indie come trofeo, nel migliore dei casi tentare di usarlo come merce di scambio per riavvicinare la Principessa Monia.
Victor si forzava comunque di cibarsi dell’orrido, grasso, maleodorante intruglio, più per opportunità di sussistenza che non di fame, che il solo odore emanante da quella ciottola immediatamente gli toglieva qualsiasi apetito !
Ma così non era per i ratti della stiva, che si litigavano i suoi avanzi, unti e rancidi.
Victor allora escogitò di ungere con quel rancido grasso, probabile ultimo avanzo della cucina di bordo, la fune che lo legava.
(vele al vento)
Nonostante le mani fossero sempre strettamente legate tra di loro, così come riusciva ad usarle per per portarsi la ciottola alla bocca riuscì anche ad impregnare per bene la fune, nella zona più vicina a terra, dove era fissata al pavimento, ad un paio di metri da lui, così che i ratti potessero più tranquillamente dedicarsi a rosicchiarla.
E la fune venne così progressivamente tagliata, incisa dai denti taglienti dei topi, nella loro azione golosa, determinata ed efficace. In gara tra di loro seguivano un preciso ordine gerarchico di rosicchiata, ciascuno impegnandosi al massimo, se non altro per non dar addito a chi lo avrebbe seguito nel turno…Victor continuava ad ungere ogni volta la corda, usando anche l’ultima patina di grasso che impregnava la sua misera ciottola, per conservare la corda appetitosa all’olfatto ed al gusto dei sorci.
la costa sud dell'isola)
Al terzo giorno la fune era ormai ridotta a brandelli e Victor dovette cercare di nasconderne la zona sfibrata agli occhi dei suoi guardiani, cercando di distrarli.
Ma ora il tempo incalzava: la nave era già ferma in rada da alcune ore e da un momento all’altro sarebbe ripartita. All’imbrunire Victor decise che doveva assolutamente approfittare di quella sosta e del buio per tentare la fuga..
(il gran salto nel buco del diavolo, sull'isola del te)
Tentò di strapparla, ma le forti fibre che la formavano ancora resistettero ai suoi sforzi !
Poi, più che vedere, armeggiando a ridosso dell’anello cui la corda era affrancata, ne colse al tatto un asperità alla base, appena affiorante dall’assito, dove l’anello era inchiodato.
Afferrata allora la fune tra le mani e tesala per quel poco che gli consentiva lo stretto legaccio intorno alle sue mani prigioniere, cominciò a sfregarne assiduamente gli ultimi capi sfilacciati contro quell’asperità vagamente tagliente.
Lavorò così per almeno mezz’ora, senza tregua, sbucciandosi le nocche delle dita contro l’assito , ma alla fine quel che restava della corda cedette e tra le mani gli rimasero i due capi, tronchi e sfilacciati.
Subito Victor si alzò per sgranchirsi e per una breve ispezione nella stiva.
A tentoni trovò la porta, ovviamente sbarrata dal catenaccio esterno che ogni volta che gli portavano il suo miserrimo pasto sentiva manovrare.
Aveva già considerato l’aggressione al marinaio di guardia: l’avrebbe colto alle spalle, strangolandolo con un cappio formato dalla breve cima rimasta legata alle sue mani.
Ma siccome quello recava sempre una lanterna per vederci nel buio della stiva, gli organizzò un fantoccio, utilizzando stracci e cianfrusaglie, che avesse le sembianze del suo corpo, accasciato come sempre accanto all’anello cui era sinora stato legato. A maggior verosimiglianza pose sopra a quel simulacro anche i suoi vestiti e si pose in attesa, apoggiato alla paratia dell stiva, accanto alla porta, subito dietro al suo compasso di apertura.
Non mancava molto all’ora in cui gli avrebbero portato la sbobba serale. Essenziale era che il veliero non partisse prima !
Il tempo non passava mai, i minuti erano in quell’attesa lunghi come giorni. Victor tremò per la disperazione udendo urlare gli ordini per la partenza: il veliero si accingeva dunque a salpare !
Disperato sentì il lontano e sordo cigolio degli argani che issavano le vele ed il rude borbottio della catena che il verricello stava arrotolando per recuperare l’ancora, ultimo atto prima della partenza.
Ma quei rumori avevano coperto i passi del marinaio di guardia che gli portava la cena: Victor sentì infatti all’ultimo minuto lo scricchiolio del catenaccio ed abbe appena il tempo di prepararsi all’apertura della porta. La guardia entrò biascicando nella sua lingua incomprensibili parole, sicuramente di scherno nei riguardi di Victor, ma come varcò l’apertura dell’uscio la voce gli si strozzo in un sordo gemitò, la gola irrimediabilmente stretta nella mortale presa per cui Victor, veloce come il fulmine l’ebbe subito avvolto e strangolato, nonostante l’estremo dibattersi del suo carceriere. La presa fù tale che non si limitò a strozzarlo, ma ruppe anche le vertebre del collo, determinando con ciò l’immediata fine del malcapitato.
Rapidissimo Victor realizzò che doveva assolutamente abbandonare la nave finchè si trovava ancora nella baia, a portata di una sua vigorosa nuotata verso la costa.
Il momento era propizio, essendo sicuramente tutto l’equipaggio ancora impegnato nelle manovre della partenza.
(cascate in sequenza sull'isola del te)
Indossò la divisa del marinaio, per lui striminzita, e si precipitò, ma con cautela, su per le scale, attraverso i boccaporti, sino a raggiungere la coperta, dove ormai rimaneva ben poca luce del tramonto avanzato.
Si affacciò guardingo all’aperto, subito cogliendo con piacere la fresca brezza marina.
Si trovava a circa tre quarti del veliero, verso il castello di poppa che dominava la sottostante coperta, dal quale avrebbero potuto scorgerlo il comandante, il nostromo ed il timoniere, che stavano dirigendo le manovre della partenza.
La nave aveva già iniziato a cogliere il vento di tramontana e su in alto, arrampicati sugli alberi, i marinai stavano ancora srotolando le ultime vele mentre da basso già avveniva la regolazione di quelle tuttavia spiegate.
Tutti erano ancora impegnati ed anche sul castello di poppa, in zona di comando, i nasi erano prevalentemente rivolti in alto, a controllare le manovre.
(cala la notte nella rada)
Solo il timoniere buttava ogni tanto l’occhio in basso, sulla rotta in uscita dalla baia, guidato dagli avvisi che da prua gli urlava il marinaio di vedetta.
Victor colse l’attimo in cui sul castello di poppa tutti, incluso il timoniere, guardavano verso l’alto, alle manovre della velatura, in via di completamento.
Uscì dal boccaporto di coperta e con passo deciso si avviò verso poppa, da dove intendeva calarsi silenziosamente in mare per raggiungere a nuoto la riva, ormai distante quasi un miglio: una buona mezz’ora di nuoto a ritmo sostenuto.
Ma quando fù a ridosso del castello di poppa inaspettatamente si aprì la porta dei locali destinati agli alloggi dell’armatore e ne uscì il Principe Karimbad, che aveva appena cenato ed interveniva ad un controllo formale della partenza.
Inevitabilmente Victor e Karim s’incrociarono, subito riconoscendosi !
Il principe lesto sguainò lo spadino che sempre portava al suo fianco,
urlando a gran voce l’allarme, ma Victor gli fù subito adosso, bloccandogli con la sua la mano dell’altro che impugnava l’arma e strozzandogli il collo con l’altro braccio piegato, spingendolo violentemente contro la parete del castello.
Karim non riusci ad emettere ancora che sordi rantoli, la gola bloccata dall’inesorabile presa di Victor. Il grido d’allarme si era perso nel vento delle manovre in corso, vagamente colto soltanto dal timoniere, sempre attento alle voci che da prua gli urlava la vedetta per la rotta in uscita dalla baia.
Il nocchiere si guardò intorno, sulla plancia e sulla sottostante coperta, in allerta se udisse ancora quell’invocazione che gli pareva di aver chiaramente avvertita, ma nulla ancora ebbe a sentire, né vide.
Intanto Victor, facendo appello ad ogni sua risorsa di forza e destrezza, era riuscito a stordire Karimbad, stendendolo tramortito sulla tolda di coperta, in un buio anfratto sotto il castello di poppa.
Aveva poi rapidamente raggiunto la murata, si era calato con una fune di recupero ed aveva raggiunto il mare, subito immergendosi in profondità per poi nuotare in apnea, il più a lungo ed il più lontano possibile dal veliero che ormai viaggiava spedito verso il largo.
Quando infine riemerse, ormai privo di ossigeno, intravvide la nave allontanarsi, già distante da lui almeno duecento metri.
(la flotta di Karimbad)
Riprese fiato e ripartì poi a nuotare, veloce verso la terra ferma, calcolando di approdarvi non visto nel punto più vicino, ma lontano dalla spiaggia abitata, entro una quarantina di minuti, correnti permettendo.
Lo aiutò la risacca della marea ed in poco più di mezz’ora fù a riva.
Ma mentre stava uscendo dall’acqua udì un colpo di cannone !
Veniva dall’alto mare: Victor guardò in quella direzione e riuscì faticosamente ad intravvedere, nell’incombente oscurità che segue il tramonto, le navi di Karim che avevano invertito la rotta e stavano ritornando verso la baia dell’Isola del Te !
La sua fuga era dunque stata scoperta ed il Principe Indiano aveva ordinato di ritornare, sicuramente per catturarlo e fargli duramente pagare l’evasione e quant’altro.
Karim non aveva ora altra alternativa che darsi velocemente alla macchia, contando sul vantaggio un’ora, al massimo due, sapendo che sarebbe stato braccato non solo dagli indiani di Karim, ma sicuramente anche da gran parte degli indigeni, a cui il Principe avrebbe sicuramente palesato una ricca ricompensa per la sua cattura.
Vivo o morto !
Fine della seconda parte.
Nonnorso.
Il Mago Architagora, con il cuore pesante per aver dovuto abbandonare il suo pupillo Victor nelle mani degli Indiani di Karimbad, fece ritorno al regno di Continental per riportarvi la Principessa Monia, sottratta ai rapitori grazie sopratutto al coraggio del prode Victor.
Dopo alcune ore di volo sul grande Mare Oceano il Mago ebbe qualche problema ad atterrare con la sua macchina volante nel grande cortile del Castello Reale: nessuno aveva mai visto quel diabolico e stranissimo oggetto volante, che fù accolto dagli arcieri con nuguli di frecce, inutilmente scagliate per l'impossibilità di scalfirne la durissima corazza.
Il Mago, utilizzando infine un potente amplificatore vocale riuscì a farsi riconoscere, annunciando il ritorno della Principessa Monia, sana e salva. Grandi furono allora il trupudio, la gioia e la felicità manifestate dal Re, dalla Regina e da tutta la Corte Reale, cui non parteciparono il Mago e la Principessa, tuttavia preoccupati per la sorte dell'eroico Victor.
Il Re manifestò subito l'intenzione di inviare un'altra flotta, perchè si riunisse a quella già mandata ed insieme andassero alla volta delle Indie, per attaccare quegli infidi nemici e liberare il Principe Victor.
Ma il Mago subito lo calmò, ridimensionando l'eventualità per le difficoltà che implicava, i lunghi tempi di attuazione ed i gravi rischi, anche a carico di Victor, la cui stessa vita avrebbe potuto essere posta in pericolo da quel tipo di operazione.
No, disse il Mago, tocca a me salvarlo e lo farò con l'aiuto della mia macchina volante, la mia magia e le risorse della mia scienza !
Il tempo di ricaricare di energia il suo prodigioso apparecchio e già la mattina del giorno successivo Architagora partiva alla volta delle Indie.
Nel frattempo il povero Victor, frustato a sangue ed imprigionato nella stiva del veliero ammiraglio, aveva avuto tristemente tempo e modo di meditare sulla sua infelice situazione, che sembrava proprio non offrirgli vie di salvezza.
Ma la speranza è sempre l'ultima a morire e mai si deve cedere alla disperazione: questo gli aveva innanzitutto insegnato e sempre raccomandato il suo Maestro Mago ! E non era forse ricorrendo anche a questi principi che Victor era riuscito a vincere il torneo, quando tutto sembrava ormai perduto nella penultima prova ed era stato disarcionato al salto dal suo cavallo, imbizzarrito perché fatto drogare da Karimbad ?
(in alto mare)
Costretto e dolorante, nel buio freddo ed umido della profonda stiva, decise dunque di usare in ogni modo la sua mente, la sua fantasia, per trovare un'impossibile soluzione alla sua prigionia.
Lo rincuorava la certezza che il suo amico Architagora non lo avrebbe mai abbandonato.
Dopo aver a lungo riflettuto realizzò che il momento migliore per tentare la fuga sarebbe stato il prossimo scalo, il primo sulla via delle Indie, che le navi di Karim sarebbero state costrette a fare per rifornirsi di acqua e di cibi freschi.
Là dove probabilmente lo avrebbe raggiunto il Mago, per aiutarlo a fuggire.
(the rock mountain all'isola del te)
E dopo alcuni giorni la piccola flotta approdò in una baia dell’Isola del Te, sostandovi per i rifornimenti l’intera giornata.
Victor nel frattempo, nell’oscura penombra della stiva aveva realizzato un arguto strategemma per liberarsi della fune che gli legava entrambe le mani ad un grosso anello fissato al pagliolato.
Aveva inutilmente provato a scardinarlo, tirando e strappando, non riuscendo a recidere in alcun modo la grossa corda ritorta.
Aveva anche provato con i denti, ma era troppo rigida, comunque scomoda per poterla mordere.
Gli era allora balenata l’idea di far lavorare per lui i grossi topi che affollavano la stiva e che gli si avvicinavano pericolosamente quando il marinaio di guardia gli portava la sbobba, il rancido pastruglio destinato ad alimentarlo per la sua breve sopravvivenza. Che tale era probabilmente nelle intenzioni di Karim: condurlo alle Indie come trofeo, nel migliore dei casi tentare di usarlo come merce di scambio per riavvicinare la Principessa Monia.
Victor si forzava comunque di cibarsi dell’orrido, grasso, maleodorante intruglio, più per opportunità di sussistenza che non di fame, che il solo odore emanante da quella ciottola immediatamente gli toglieva qualsiasi apetito !
Ma così non era per i ratti della stiva, che si litigavano i suoi avanzi, unti e rancidi.
Victor allora escogitò di ungere con quel rancido grasso, probabile ultimo avanzo della cucina di bordo, la fune che lo legava.
(vele al vento)
Nonostante le mani fossero sempre strettamente legate tra di loro, così come riusciva ad usarle per per portarsi la ciottola alla bocca riuscì anche ad impregnare per bene la fune, nella zona più vicina a terra, dove era fissata al pavimento, ad un paio di metri da lui, così che i ratti potessero più tranquillamente dedicarsi a rosicchiarla.
E la fune venne così progressivamente tagliata, incisa dai denti taglienti dei topi, nella loro azione golosa, determinata ed efficace. In gara tra di loro seguivano un preciso ordine gerarchico di rosicchiata, ciascuno impegnandosi al massimo, se non altro per non dar addito a chi lo avrebbe seguito nel turno…Victor continuava ad ungere ogni volta la corda, usando anche l’ultima patina di grasso che impregnava la sua misera ciottola, per conservare la corda appetitosa all’olfatto ed al gusto dei sorci.
la costa sud dell'isola)
Al terzo giorno la fune era ormai ridotta a brandelli e Victor dovette cercare di nasconderne la zona sfibrata agli occhi dei suoi guardiani, cercando di distrarli.
Ma ora il tempo incalzava: la nave era già ferma in rada da alcune ore e da un momento all’altro sarebbe ripartita. All’imbrunire Victor decise che doveva assolutamente approfittare di quella sosta e del buio per tentare la fuga..
(il gran salto nel buco del diavolo, sull'isola del te)
Tentò di strapparla, ma le forti fibre che la formavano ancora resistettero ai suoi sforzi !
Poi, più che vedere, armeggiando a ridosso dell’anello cui la corda era affrancata, ne colse al tatto un asperità alla base, appena affiorante dall’assito, dove l’anello era inchiodato.
Afferrata allora la fune tra le mani e tesala per quel poco che gli consentiva lo stretto legaccio intorno alle sue mani prigioniere, cominciò a sfregarne assiduamente gli ultimi capi sfilacciati contro quell’asperità vagamente tagliente.
Lavorò così per almeno mezz’ora, senza tregua, sbucciandosi le nocche delle dita contro l’assito , ma alla fine quel che restava della corda cedette e tra le mani gli rimasero i due capi, tronchi e sfilacciati.
Subito Victor si alzò per sgranchirsi e per una breve ispezione nella stiva.
A tentoni trovò la porta, ovviamente sbarrata dal catenaccio esterno che ogni volta che gli portavano il suo miserrimo pasto sentiva manovrare.
Aveva già considerato l’aggressione al marinaio di guardia: l’avrebbe colto alle spalle, strangolandolo con un cappio formato dalla breve cima rimasta legata alle sue mani.
Ma siccome quello recava sempre una lanterna per vederci nel buio della stiva, gli organizzò un fantoccio, utilizzando stracci e cianfrusaglie, che avesse le sembianze del suo corpo, accasciato come sempre accanto all’anello cui era sinora stato legato. A maggior verosimiglianza pose sopra a quel simulacro anche i suoi vestiti e si pose in attesa, apoggiato alla paratia dell stiva, accanto alla porta, subito dietro al suo compasso di apertura.
Non mancava molto all’ora in cui gli avrebbero portato la sbobba serale. Essenziale era che il veliero non partisse prima !
Il tempo non passava mai, i minuti erano in quell’attesa lunghi come giorni. Victor tremò per la disperazione udendo urlare gli ordini per la partenza: il veliero si accingeva dunque a salpare !
Disperato sentì il lontano e sordo cigolio degli argani che issavano le vele ed il rude borbottio della catena che il verricello stava arrotolando per recuperare l’ancora, ultimo atto prima della partenza.
Ma quei rumori avevano coperto i passi del marinaio di guardia che gli portava la cena: Victor sentì infatti all’ultimo minuto lo scricchiolio del catenaccio ed abbe appena il tempo di prepararsi all’apertura della porta. La guardia entrò biascicando nella sua lingua incomprensibili parole, sicuramente di scherno nei riguardi di Victor, ma come varcò l’apertura dell’uscio la voce gli si strozzo in un sordo gemitò, la gola irrimediabilmente stretta nella mortale presa per cui Victor, veloce come il fulmine l’ebbe subito avvolto e strangolato, nonostante l’estremo dibattersi del suo carceriere. La presa fù tale che non si limitò a strozzarlo, ma ruppe anche le vertebre del collo, determinando con ciò l’immediata fine del malcapitato.
Rapidissimo Victor realizzò che doveva assolutamente abbandonare la nave finchè si trovava ancora nella baia, a portata di una sua vigorosa nuotata verso la costa.
Il momento era propizio, essendo sicuramente tutto l’equipaggio ancora impegnato nelle manovre della partenza.
(cascate in sequenza sull'isola del te)
Indossò la divisa del marinaio, per lui striminzita, e si precipitò, ma con cautela, su per le scale, attraverso i boccaporti, sino a raggiungere la coperta, dove ormai rimaneva ben poca luce del tramonto avanzato.
Si affacciò guardingo all’aperto, subito cogliendo con piacere la fresca brezza marina.
Si trovava a circa tre quarti del veliero, verso il castello di poppa che dominava la sottostante coperta, dal quale avrebbero potuto scorgerlo il comandante, il nostromo ed il timoniere, che stavano dirigendo le manovre della partenza.
La nave aveva già iniziato a cogliere il vento di tramontana e su in alto, arrampicati sugli alberi, i marinai stavano ancora srotolando le ultime vele mentre da basso già avveniva la regolazione di quelle tuttavia spiegate.
Tutti erano ancora impegnati ed anche sul castello di poppa, in zona di comando, i nasi erano prevalentemente rivolti in alto, a controllare le manovre.
(cala la notte nella rada)
Solo il timoniere buttava ogni tanto l’occhio in basso, sulla rotta in uscita dalla baia, guidato dagli avvisi che da prua gli urlava il marinaio di vedetta.
Victor colse l’attimo in cui sul castello di poppa tutti, incluso il timoniere, guardavano verso l’alto, alle manovre della velatura, in via di completamento.
Uscì dal boccaporto di coperta e con passo deciso si avviò verso poppa, da dove intendeva calarsi silenziosamente in mare per raggiungere a nuoto la riva, ormai distante quasi un miglio: una buona mezz’ora di nuoto a ritmo sostenuto.
Ma quando fù a ridosso del castello di poppa inaspettatamente si aprì la porta dei locali destinati agli alloggi dell’armatore e ne uscì il Principe Karimbad, che aveva appena cenato ed interveniva ad un controllo formale della partenza.
Inevitabilmente Victor e Karim s’incrociarono, subito riconoscendosi !
Il principe lesto sguainò lo spadino che sempre portava al suo fianco,
urlando a gran voce l’allarme, ma Victor gli fù subito adosso, bloccandogli con la sua la mano dell’altro che impugnava l’arma e strozzandogli il collo con l’altro braccio piegato, spingendolo violentemente contro la parete del castello.
Karim non riusci ad emettere ancora che sordi rantoli, la gola bloccata dall’inesorabile presa di Victor. Il grido d’allarme si era perso nel vento delle manovre in corso, vagamente colto soltanto dal timoniere, sempre attento alle voci che da prua gli urlava la vedetta per la rotta in uscita dalla baia.
Il nocchiere si guardò intorno, sulla plancia e sulla sottostante coperta, in allerta se udisse ancora quell’invocazione che gli pareva di aver chiaramente avvertita, ma nulla ancora ebbe a sentire, né vide.
Intanto Victor, facendo appello ad ogni sua risorsa di forza e destrezza, era riuscito a stordire Karimbad, stendendolo tramortito sulla tolda di coperta, in un buio anfratto sotto il castello di poppa.
Aveva poi rapidamente raggiunto la murata, si era calato con una fune di recupero ed aveva raggiunto il mare, subito immergendosi in profondità per poi nuotare in apnea, il più a lungo ed il più lontano possibile dal veliero che ormai viaggiava spedito verso il largo.
Quando infine riemerse, ormai privo di ossigeno, intravvide la nave allontanarsi, già distante da lui almeno duecento metri.
(la flotta di Karimbad)
Riprese fiato e ripartì poi a nuotare, veloce verso la terra ferma, calcolando di approdarvi non visto nel punto più vicino, ma lontano dalla spiaggia abitata, entro una quarantina di minuti, correnti permettendo.
Lo aiutò la risacca della marea ed in poco più di mezz’ora fù a riva.
Ma mentre stava uscendo dall’acqua udì un colpo di cannone !
Veniva dall’alto mare: Victor guardò in quella direzione e riuscì faticosamente ad intravvedere, nell’incombente oscurità che segue il tramonto, le navi di Karim che avevano invertito la rotta e stavano ritornando verso la baia dell’Isola del Te !
La sua fuga era dunque stata scoperta ed il Principe Indiano aveva ordinato di ritornare, sicuramente per catturarlo e fargli duramente pagare l’evasione e quant’altro.
Karim non aveva ora altra alternativa che darsi velocemente alla macchia, contando sul vantaggio un’ora, al massimo due, sapendo che sarebbe stato braccato non solo dagli indiani di Karim, ma sicuramente anche da gran parte degli indigeni, a cui il Principe avrebbe sicuramente palesato una ricca ricompensa per la sua cattura.
Vivo o morto !
Fine della seconda parte.
Nonnorso.
domenica 2 ottobre 2011
La Principessa rapita 1^ Parte
IL PRINCIPE VITTORIOSO E LA PRINCIPESSA RAPITA 1^ Parte.
Victor non ebbe modo di godere il trionfo della sua prestigiosa vittoria al Torneo delle dieci prove: l'attenzione generale si era totalmente spostata sul rapimento della Principessa Monia, evidentemente ad opera di Karimbad, il Principe Indiano
superato da Victor nella competizione che prevedeva la mano della Principessa come possibile premio.
Le navi della delegazione Indiana che scortava il Principe Karim erano scomparse quella notte dalla baia, senza alcun avviso nè dovuto omaggio a chi le aveva ospitate.
Il rapimento era stato scoperto solo nella mattinata, quando era avvenuto il cambio di guardia nell'ala del Castello Reale dedicata alla Principessa, e chi fosse l'autore era quindi palese. Le sentinelle del turno di notte erano state trovate addormentate, probabilmente drogate o tramortite, così come le damigelle di compagnia della Principessa.
Mancavano giusto Monia e la sua fedele governante, ma nella sua stanza non c'erano segni di lotta nè di effrazione, così come pure altrove.
Che il Principe Karimbad fosse particolarmente interessato alla mano di Monia era da tempo noto: l'aveva più volte richiesta e con particolare insistenza, preparandosi infine con allenamenti forsennati al Torneo, che intendeva assolutamente vincere per poter poi coglierne il premio: sposare la Principessa. In molte gare aveva barato, ricorrendo all'aiuto di pozioni in grado di esaltare le sue prestazioni ed annullare la fatica delle prove, ed era lui infine che aveva oscuramente tramato per drogare il cavallo di Victor, una volta che seppe che quel destriero era toccato in sorte a colui che era in testa alla classifica e quindi probabile vincitore !
E se non fosse stato per la strenua determinazione di Victor Karim probabilmente sarebbe riuscito nell'intento.
Il Re, padre della Principessa, organizzò subito l’inseguimento dei rapitori, con le navi più veloci e meglio armate al comando del suo miglior marinaio, l’Ammiraglio Pelagus, navigatore e condottiero di grande esperienza.
Ma quando infine riuscirono a partire troppo grande era il vantaggio dei veloci velieri Indiani, che avevano anche potuto approfittare della marea e della termica, favorevoli ad una rapida fuga verso il largo, nel grande mare Oceano, verso le Indie lontane.
Erano quindi scarse le probabilità di poterle raggiungere prima che riparassero nella loro destinazione finale.
Tutto ciò fece pacatamente notare il Mago Architagora a Victor, che esaltatosi per gli improvvisi accadimenti, subito aveva palesato l’intenzione di unirsi agli inseguitori.
Egli non era ancora esattamente invaghito della Principessa, ma si stava affezionando all’idea di poter impalmare la bella Monia.
In ogni caso, lei poteva essere il premio da lui così faticosamente meritato vincendo il Torneo ed ora che era sparita gli diventava improvvisamente più importante !
Il Mago gli fece intendere che avrebbero assai più facilmente potuto raggiungere i rapitori utilizzando la sua Macchina Volante.
Victor fù subito entusiasta per quella soluzione, ma il Mago ancora dovette chetarlo: occorreva attendere che la macchina avesse terminato di carsi di energia sufficiente per quella lunga spedizione.
Inoltre bisognava anche abbozzare un piano d’azione: quando anche l’avessero raggiunta, loro tre da soli (cane Nupo incluso) avrebbero dovuto affrontare tutti gli uomini della piccola flotta Indiana, come minimo l’equipaggio della nave ammiraglia, cioè almeno una cinquantina di validi marinai guerrieri da non sottovalutare !
Soprattutto dovendo agire nella totale sicurezza per l’incolumità della Principessa rapita.
(a destra: immagine da "Archeologia UFO)
La Macchina volante sarebbe stata pronta soltanto la mattina del giorno dopo, ciò che non era un problema ai fini dell’inseguimento perchè era in grado di volare sull’Oceano ad una velocità tale da poter comunque raggiungere la flotta in fuga entro solo poche ore ! Nel frattempo avrebbero ragionato sul da farsi, definendo un piano di massima che prevedesse la migliore strategia.
Il piano esposto dal Mago a Victor era molto semplice e tutto basato sulla sua magia di scienziato futuribile: raggiunta la flotta in fuga, con il buio della notte si sarebbero portati sopra la nave ammiraglia e nel totale silenzio, per cui la macchina era in grado di volare e fermarsi nell’aria, sarebbero stati praticamente invisibili.
Allora avrebbero scaricato gas soporiferi per addormentare tutto l’equipaggio, così Victor si sarebbe calato in sicurezza sulla nave per cercare la Principessa e poi sollevarla sino alla macchina volante, con cui l’avrebbero velocemente riportata, forse prima ancora che si svegliasse, da suo padre, nel Regno di Continental.
Niente battaglie dunque, nessun duello, né scalate di baluardi od arrampicate su torri merlate: solo banalissima moderna futuribile tecnologia, cioè “magia” per quei tempi.
Il tuttavia romantico Victor, mentalmente predisposto ad epiche imprese, ne fù quasi deluso, ma in fondo anche sollevato: non aveva ancora recuperato l’enorme fatica appena sopportata nel Torneo delle dieci prove !
(a destra: ancora un' immagine da "archeologia UFO"...)
Ma la mattina successiva Victor aveva completamente recuperato e fremeva di partire, perciò il Mago dovette chetarlo: “ricordati che dobbiamo sorprenderli con il buio della notte, se li raggiungiamo troppo presto dovremo sprecare inutilmente energia della macchina volante per rimanere in volo, nell’attesa che arrivi la notte”.
Partirono veloci e silenziosi verso il mezzogiorno, facendo rotta verso il primo, tuttavia lontano, ma probabile approdo della flotta in fuga sulla via delle Indie.
E dopo solo sette ore di volo furono in vista dei cinque velieri in fuga.
Procedevano in fila…”Indiana”, appena sfalsati per meglio cogliere il vento al traverso, con tutte le vele armate e tese, nella fuga veloce, con le prue spumeggianti che battevano ritmicamente l’onda lunga.
L’ammiraglia, su cui presumibilmente erano Karim e Monia, viaggiava al terzo posto,
al centro della piccola flotta, perciò teoricamente più protetta.
Certamente non si aspettava un invisibile, silenzioso attacco dall’alto, incruento se pur fatale.
(immagine di tipico veliero Indiano)
Al buio totale mancava ormai poco, il Mago aveva rischiato di raggiungere troppo tardi i fuggitivi per poterli scorgere: la notte arriva all’improvviso in quelle latitudiniTropicali.
Dovettero quindi attendere assai poco, flottando nell’aria a distanza.
Si avvicinarono poi lentamente con l’oscurità, cercando di non perdere di vista l’ammiraglia, appena sopra la quale il Mago fece in modo d’incollare la macchina volante, procedendo alla stessa identica velocità della nave, sulla quale scaricò, semplicemente tirando una leva, gas soporifero in abbondanza, avendo cura di tenersi opportunamente sopravento, così che il gas potesse discendere tutto o quasi sulla nave.
L’effetto narcotizzante fù pressochè immediato, ma occorreva attendere che giungesse sottocoperta, in ogni anfratto dell’imbarcazione, innonadando ogni boccaporto ed ogni stiva, così che tutto l’equipaggio ne fosse addormentato.
Poi toccò a Victor entrare in azione: imbragato ad una sorta di altalena, fù calato tramite una lunga fune, organizzata su di un paranco meccanicamente azionato dal Mago, avendo unicamente cura di non sbattere contro alberi e vele, ondeggianti nel beccheggio e rollio dell’imbarcazione.
Ciò che fù l’unica sua difficoltà, per altro risolta al meglio: come toccò la tolda affrancò subito la fune per cui vi si era calato ad una bitta, prudenzialmente assai lasca, perché non interferisse con un’eventuale trazione tra la macchina volante.e la nave, che già stava sbandando, ormai priva di controllo.
Subito corse al timone e riprese accuratamente la rotta : c’era anche il rischio di collisione con gli altri velieri che viaggiavano al seguito !.
(a destra: antica immagine d'ipotetica di macchina volante)
Sentì infatti un urlo lontano, provenire da quello che per primo lo seguiva, evidentemente allarmato dall’improvviso sbandamento delle luci di poppa dell’Ammiraglia.
Rispose a sua volta urlando:”tutto bene!”, due delle poche parole indiane che conosceva. Avranno pensato che il timoniere si sia addormentato, pensà Victor, domani faranno rapporto all’ammiraglio Pelagus, che però allora avrà nel frattempo realizzato, troppo tardi, che qui stanotte tutti dormivano !
Fissato il timone nella rotta del vento costante, per cui erano regolate le vele, Victor partì alla ricerca di Monia, dirigendosi deciso al castello di poppa, dove normalmente si trovano gli alloggi dell’armatore, del comandante e degli ospiti di riguardo.
Strada facendo dovette scavalcare diversi marinai di guardia, narcotizzati.
Entrato all’interno del corridoio trovo le porte di alcune cabine, ma non ebbe dubbi circa l’ubicazione di quella in cui probabilmente era rinchiusa la principessa: davanti alla sua porta giacevano addormentati al suolo due marinai, posti evidentemente di guardia.
Victor ne spostò uno che ostruiva l’accesso e tentò di aprire l’uscio, che però era chiuso a chiave, né la trovò addosso alle guardie.
Colse allora una corta scimitarra che armava uno dei due belli addormentati e con quella, inserita a forza nella fessura della serratura la violò facendola saltare.
All’interno era buio, ma avanzando tastoni Victor avvertì un corpo caldo ed inerte, lo sollevò trovandolo stranamente greve e piùttosto flacido, realizzando quindi che aveva preso in braccio la non più giovane governante di Monia !
Ecco un problema che non avevano calcolato, lasciare la poveretta in mano degli Indiani o recuperare anche lei, con i rallentamenti e la fatica che ciò comportava ?
Victor non ebbe dubbi sul suo salvataggio, tuttavia decise di dare la precedenza alla Principessa, che trovò leggiadramente assopita, morbida ma tonica, come alla sua giovane ed avvenente figura si addiceva.
Victor la sollevò senza sforzo, trasportandola all’esterno, sino alla fune che ancora pendeva dalla macchina volante, alla cui estremità imbragò la fanciulla dormiente e risalì con lei, mentre il Mago dall’alto azionava il paranco motorizzato per issare entrambi. Victor spiegò brevemente ad Architagora che c’era anche la governante da recuperare, ma il Mago ne fù subito contrariato e preoccupato:
“Prolungare questa operazione diventa ora estremamente pericoloso: il nartcotico potrebbe cessare il suo effetto da un momeno all’altro e potresti ritrovarti ad affrontare una ciurma ridesta ed inferocita.
Non solo, il mare sta crescendo ed il vento cambiando: non si può lasciare la nave ancora in balia di un timone inchiodato su di una rotta fissa, senza governo alcuno! Se proprio devi cerca di sbrigarti il più velocemente possibile !”
Il generoso Victor si tuffò letteralmente giù per la fune, in un attimo raggiunse di nuovo la tolda del veliero e corse verso la cabina dove ancora giaceva la governante, ma già mentre vi accorreva notò come alcuni marinai, prima completamente storditi, ora stavano iniziando a muoversi in un progressivo risveglio…
Anche la pesante donna che intendeva salvare, come fù da lui imbracciata, aprì velatamente gli occhi e mentre Victor la trasportava all’esterno riprese coscienza e, resasi conto di essere ora in balia di uno sconosciuto, cominciò ad urlare forsennatamente, né servirono a chetarla i ribaditi moniti al silenzio per cui Victor la scongiurava di tacere. Quando furono all’esterno le sue urla risuanarono ancora più acute e veementi, richiamando tutti i marinai di guardia ormai completamente desti, che ebbero così coscienza di un aggressione invasiva, un abbordaggio della loro nave ad opera di sconosciuti e subito si precipitarono contro Victor.
Anche il principe Karimbad fù risvegliato da quelle urla e si precipitò all’esterno, impugnando la sua spada ricurva ed una grossa pistola ad avancarica.
Victor aveva allora deposto la governante, ingaggiando un’impari lotta contro i sempre più numerosi avversari, che ormai accorrevano da ogni dove, richiamati dal crescente clamore della battaglia: il giovane eroe si difendeva in tutti imodi, colpendo i nemici con estrema rapidità ed utilizzando sbarre e manganelli improvvisati, reperiti nelle attrezzature del veliero e saltando con grande agilità da una parte all’altra del battello, aggrappato a cime, scale, drizze e sartie d’ogni specie.
Infine comprese che l’unica sua chançe era la fuga verso l’alto, verso la macchina volante, che avrebbe potuto raggiungere soltanto aggrappandosi alla parte più alta della fune pendente, recidendo l’estremità inferiore, tuttavia ancorata alla nave, con il suo pugnale. Così dunque fece, arrampicandosi come un gatto sulla lunga scala che risaliva alla gabbia di maestra, da dove riuscì faticosamente ad afferrare la fune che là in cima assai fortemente oscillava !
Stava cercando di reciderla, per liberarla dal sottostante ancoraggio, quando vide arrivare Karimbad al suo inseguimento, armato e deciso, subito seguito da uno stuolo di marinai, velocissimamente arrampicati con lui, come tante scimmie.
Victor capì che non sarebbe riuscito a tagliare la corda prima che lo raggiungessero!
L’unica soluzione era allora arrampicarsi su per la fune, a forza di braccia e raggiungere così la macchina volante, alcune decine di metri più in alto.
(a destra: altra immagine da "Archeologia UFO)
Ripartì così su per la fune, ma ancora inseguito da Karimbad e dalla sua ciurma di scimmie assatanate !
Era risalito neppure alla metà quandò udì sopra di lui la voce urlante del Mago:
“Mi spiace ragazzo, ma tutto il peso che state caricando sulla fune, tuo e dei tuoi inseguitori, unito agli strattoni della nave che vi è ancora legata, ci stanno completamente squinternando !
Stiamo rischiando di cadere in mare da un momento all’altro, con tutta la macchina volante ed allora saremo completamente persi ! Sono costretto a lasciarti al tuo destino, ma sono convinto che ci rivedremo ancora. In ogni caso verrò a cercarti.
Addio figliolo, cerca di salvarti!”
Ciò detto il Mago mollò la fune e tutti, gli ormai tanti che vi erano appesi, precipitarono verso il basso: alcuni finirono in mare, altri spiaccicati sulla tolda del veliero, altri ancora tra le vele sciabordanti, su cui scivolarono riuscendo però quasi tutti ad aggrapparvisi. Così capitò a Karimbad ed a Victor.
Quest’ultimo, avvantaggiato dall’aver colto le grida di avviso di Architagora, si era avvinghiato con tutte le sue forze alla fune, rimanendone però ferito alle mani dallo strappo, rimbalzando poi contro le vele, cui infine si era aggrappato.
Ma capì che non aveva più scampo, né l’avrebbe avuto buttandosi al buio nel bel mezzo del mare Oceano, per nuotare verso un approdo assolutamente improbabile.
Si arrese dunque e dopo un duro interrogatorio che dovette subire dal Principe Karimbad, per cui gli dovette render conto dell’avvenuto recupero della Principessa Monia, fù a lungo frustato e rinchiuso, incatenato nella stiva, in compagnia dei topi e dell’umidità salmastra trasudante dalle paratie immerse della nave.
Fine della prima parte.
nonnorso
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