martedì 29 novembre 2011

LA PRINCIPESSA RAPITA. 5^ ed ultima Parte.



La Principessa Rapita . 5^ ed ultima Parte

A 3.000 metri di quota, in cima al vulcano sul tetto dell'Isola, l'alba arrivò presto, spingendo una brezza di mare fresca e frizzante, nonostante la latitudine tropicale. Nella nicchia all'interno del cratere Victor fù svegliato dallo splendere del nuovo giorno.
Si alzò con circospezione sullo strapiombo di nera roccia e si spostò in posizione di sicurezza, una zona appena più ampia dell'orlo, sulla bocca del vulcano.
Si stiracchiò le membra ancora ammaccate dalle tante fatiche del giorno prima e bevve golosamente le due uova di rapace avanzate dalla sera precedente.
L'oriente era un esplosione di luce ed il mare disegnava una lunga curva tutt'intorno. Strizzando gli occhi riuscì a scorgere lontano, sotto di lui, ad almeno sei miglia di distanza, la baia, dove si indovinavano appena dei puntolini scuri: i velieri della flottiglia del principe Karimbad, i cui equipaggi erano ancora sgunzagliati in giro per l'Isola, insieme a centinaia d'indigeni mercenari, per catturare lui, Victor il fuggitivo.

Se l'avessero immaginato e scoperto là in cima non avrebbe avuto scampo, su quel cucuzzolo circolare, nudo e brullo: non avrebbe potuto sfuggire ancora.
Non aveva che un'alternativa, quella già calcolata: che giungesse a salvarlo l'amico Mago a bordo della prodigiosa Macchina Volante.
Restava il problema di farsi trovare da lui.
Victor sapeva bene per esperienza quanto fosse improbabile individuare dall'alto, volando sopra paesaggi mimetici e discontinui, una cosa, un animale, una persona.
Andò allora a controllare la buca, appena all'interno del cratere, dove aveva la sera prima stivato la grande fascina di arbusti, portata sin lassù per realizzare un fumoso fallò di segnalazione.
Organizzò al meglio quegli sterpi, incrociandoli a strati, a mò di pira e poi con una parte di quelli, ancora verdi, intrecciò una sorta di grande ventaglio, che posato sulle fiamme ne avrebbe causato i fumi di segnalazione.
Terminate quelle operazioni il sole era appena uscito dal mare ed a Victor non restò che attendere speranzoso l'arrivo del Mago.

Architagora era ad oltre mille miglia e si apprestava a decollare.
Ritornato nel Regno di Continental e consegnata la Principessa Monia sana e salva, si era subito dedicato a preparare la nave volante per la missione di salvataggio oltre l'Isola del Te, dove sperava di poter recuperare al più presto Victor, che aveva lasciato prigioniero della nave ammiraglia Indiana.
La preparazione della macchina prevedeva la massima ricarica di energia, per avere la maggior autonomia di volo possibile.
Autonomia che arrivava sino a 18 ore di volo, muovendo ad una velocità di crociera di circa 200 nodi (370 chilometri l'ora).
Per ottenerla occorrevano tre giorni interi.
All'alba del quarto giorno, il quinto da quando il Mago aveva dovuto abbandonare Victor prigioniero di Karimbad, Architagora era infine pronto per salpare, involandosi alla ricerca del suo pupillo.
Si levò rapido e lieve, volando a bassa quota sul mare, sfruttando la portanza della maggiore densità dell'aria.
In effetti era come se la macchina vi galleggiasse, ad una quota di circa cento metri di altezza, senza sussulti ne vibrazioni, nel silenzio totale, con le onde che correvano sotto, spumose ed intangibili.

Cinque ore dopo il Mago raggiunse l'Isola del Tè e mentre stava velocemente superandola, intravide i velieri indiani ancorati nella baia principale.
Secondo i suoi calcoli, anche facendo scalo per i necessari rifornimenti, quelle navi dovevano ormai essere ben oltre, in navigazione verso l'Oriente da almeno un giorno. Cosa poteva essere accaduto ? Victor, astuto, audace e determinato fosse riuscito a fuggire dandosi alla macchia ? Questa era la spiegazione più probabile.
Il Mago decise allora, prima di tentare un difficile e pericoloso atterraggio sull'Isola, di farvi un largo giro di ricognizione a bassa quota.

Il sole era ormai alto sull'orizzonte, prossimo allo Zenit (mezzogiorno), e Victor aveva giustamente calcolato che quella poteva essere l'ora più probabile in cui arrivasse dal cielo il suo salvataggio.
Aveva perciò intensificato l'osservazione scrupolosa di tutto l'immenso panorama che lo circondava: l'enorme distesa marina che circondava l'Isola, la giungla tropicale sottostante, le rocce, le baie, le infinite insenature, le verdi alture degradanti tutt'intorno all'alta vetta del vulcano.
Il suo era un punto di osservazione relativamente previlegiato, i cui limiti erano nel fatto che sicuramente la macchina volante sarebbe levitata ad una quota assai inferiore ai tremila metri del punto da cui Victor osservava, rischiando di confondersi alla sua vista nel variegato paesaggio: mentre assai più facile era intravedere un oggetto volante contro la chiara, uniforme distesa del cielo.
Consapevole di questo e della totale silenziosità della macchina, che non avrebbe neppure potuto udire,Victor osservava con la massima l’attenzione, sapendo che era comunque aleatorio riuscire a scorgere un puntino volante là sotto, a bassa quota, tra il verde e le calanche rocciose.

Assai più facile era invece che il prodigio aereo fosse scorto dal basso.
Il Mago in ricognizione passo a bassa quota vicino i velieri all’ancora ed i marinai di guardia lo videro volare a circa mezzo miglio verso l’interno dell’Isola.
Urlando come forsennati per lo stupore, subito armarono i cannoni ed iniziarono a bombardare in direzione dello strano, enorme uccello volante, che loro tuttavia già ormai conoscevano per essere il prodigioso vascello volante del Mago che aveva ripreso e portata via la principessa Monia giorni prima, in alto mare.
Le grosse palle di cannone non sfiorarono neppure la macchina volante, ma richiamarono l’attenzione, così che infine tutti videro volare a bassa quota la prodigiosa navicella. Contro la quale, al suo più prossimo passaggio, gli indigeni arcieri ed i marinai dotati di grossi schioppi da fuoco, spararono nugoli di frecce e pallettoni di piombo, anch’essi senza tuttavia colpo ferire.

Il fragore degli spari udì lontano anche Victor, dalla sua altissima postazione, che scrutando con la massima acutezza in quella direzione scorse il minuscolo oggetto volante a bassa quota, quasi radente il suolo.
Si precipitò allora ad accendere il suo fallò, che nel giro di pochi minuti già levava fumose nuvole nerastre, rendendo al Vulcano una parvenza di attività eruttiva.
Fumo che fù presto notato con grande preoccupazione dagli indigeni, subito allarmati per un pericolo imminente di eruzione di lava, ceneri e lapilli.
Anche i marinai sull’isola, ne furono analogamente preoccupati..
Anche Architagora vide quel fumo, ma capì che non poteva essere che un segnale, non avendo caratteristiche né portata vulcaniche.
Era probabilmente opera di Victor, il suo validissimo allievo che gli stava segnalando la sua presenza e posizione !
Subito il Mago pilotò il velivolo in quella direzione e Victor capì che i suoi messaggi di fumo avevano funzionato. Dopo pochi secondi la Macchina Volante veleggiava sopra il cratere, sulla spirale di fumo, accanto alla quale Victor si sbracciava in energici ed entusiastici cenni di saluto.
Il Mago avvicinò l’apparecchio volante, lasciandolo poi levitare, immobile, una decina di metri sopra il bordo del cratere dove si trovava il suo allievo e da lì calò una scala di corda, su cui Victor si arrampicò agilmente, arrivando in un attimo a bordo della macchina, dove potè riabbracciare il suo amico salvatore.

Intanto a valle, in tutta l’Isola gli Indigeni erano entrati in grande agitazione:

il grande Dio Vulcano si era risvegliato da un lungo sonno durato tantissimi anni ed aveva ripreso a fumare. Non si udivano ancora i tipici brontolii, i tremori della terra ed i boati che precedono ed accompagnano le eruzioni, come ben sapevano loro malgrado gli indigeni più anziani, ma il fumo era un chiaro segnale di ripresa: la grande montagna sacra stava tornando a vivere e dopo un così lungo digiuno reclamava sicuramente il suo pasto, nefasto e crudele: un sacrificio umano !
Una vita doveva essere sacrificata nella bocca del vulcano, quella di una fanciulla, vergine e tra le più leggiadre, che sarebbe stata condotta a forza sino alla cresta del cratere e crudelmente precipitata al suo interno.
Solo quel sacrificio rituale avrebbe potuto placare la fame del grande, mostruoso Dio crudele, nutrito di carni e sangue della fanciulla.
Ma se quel sacrificio non fosse stato sufficiente altri sarebbero stati compiuti, imolando nel cratere altre giovani vite innocenti. C’era ancora qualche vecchio che ricordava come mezzo secolo prima 40 verigini fossero state sacrificate, buttandole nel cratere, una dopo l’altra, nel volgere tre lune !
Infine gli inutili sacrifici cessarono, non perché terminasse l’attività del Dio Mostro, ma perché anzi, le eruzioni si fecero talmente violente e terribili da mettere in pericolo anche la vita di chiunque avesse osato recarsi fin là in cima, sul cratere o anche solo avesse tentato di avvicinarlo.


Ma ora il Capo degli Stregoni chiamò a raccolta i maggiorenti della Tribù.
Che come lui stesso da tempo immemorabile attendevano una simile occasione, una bella eruzione che permettesse la grande celebrazione di un rito arcaico dei più sentiti nella tradizione, tanto atteso nelle isatanze più lugubri, perversamente instintuali di quella primitiva popolazione.
Si sarebbe dovuto procedere rapidamente, così da non permettere al Dio Mostro di accrescere la sua attività eruttiva, determinando danni assai pericolosi.
In ogni caso, se pur velocemente, occorreva compiere tutti i passi rituali previsti:
radunare la popolazione, scegliere la giovinetta da sacrificare, organizzare la processione dotandola di tutti i simboli e le procedure istruite dal cerimoniale, per recarsi infine sino in cima al vulcano, un viaggio di almeno otto ore, per celebrarvi il sacrificio.
Intimamente emozionato dall’occasione tanto attesa, il lugubre ed arapato Stregone, conscio di tutto il lavoro da fare e dell’urgenza che richiedeva, subito diede tutti gli ordini necessari perché si provvedessero le prime incombenze, incluso quello di richiamare indietro dalle alture silvestri dell’Isola tutti coloro che vi si erano sparpagliati alla caccia mercenaria di Victor.
Inviò perciò dei messaggeri corridori, ma fece anche risuonare i tam tam di segnalzione per l’impellente adunata di tutta la popolazione, causa il grave incombente pericolo.
I marinai indiani ed i loro comandanti, anch’essi in gran parte inoltrati nella giungla dell’Isola alla ricerca di Victor, non avevano affatto scorto il fumo uscire dalla bocca vulcanica e quando udirono il risuonare dei tam tam e videro tutti gli indigeni allertati dal messaggio sonoro voltarsi per correre verso il Villaggio principale, immaginarono che ciò significasse unicamente una cosa: che Victor era stato catturato !
Così anch’essi girarono i tacchi per ridiscendere verso la costa.
Lo fecere anche quei pochi che avevano altrimenti immaginato il giusto, i pochissimi che avevano visto la magica Macchina Volante alzarsi e puntare verso la vetta ora fumante del cratere…
Ma la maggior parte degli inseguitori non aveva potuto vedere questa manovra, essendo immersa tra gli alti alberi della foresta tropicale e quindi assolutamente limitata nella possibilità di scorgere alcunchè fosse oltre poche decine di metri o anche meno.
Né i segugi, i cani che sino ad allora avevano funzionato da guida, erano affatto in grado d’indovinare quella pista.

Mentre l’attenzione di tutti si era sposatata verso la presunta eruzione del Vulcano e sulla necessità impellente di placarne l’ira sul nascere, Victor ormai planava nell’aria, oltre il cratere, verso il lato più deserto dell’Isola, a bordo del velivolo condotto da Architagora.
Che subito lo aggiornò sulla situazione: “ragazzo mio” gli disse, “contrariamente a quanto avevo sperato e calcolato non siamo in grado di abbandonare subito questa terra…Per giungere fino qui ho trovato forti venti contrari che mi hanno costretto a consumare più energia del previsto, riducendo così di molto l’autonomia necessaria per il volo di ritorno. Ripartendo subito, anche se trovassimo il miglior vento a favore, rischieremmo comunque di finire in mare, rialzarci poi in volo dal quale potrebbe essere assai rischioso se non perfino impossibile.
Né conosco alcun’altra terra sulla nostra rotta su cui fare scalo.
Non ci resta in conclusione che restare su quest’Isola il tempo necessario per ricaricare la macchina di tutta l’energia necessaria, cioè sino a domani pomeriggio.
Cerchiamo quindi una zona sicura e defilata in cui atterrare ed attendere il tempo che ci occorre per fare il pieno e poi ripartire. E nel frattempo magari anche riposarci: credo che tu sopratutto ne abbia bisogno dopo le dure avventure che hai vissuto in questi ultimi giorni ! A proposito, raccontami un po’…”
E mentre il Mago cercava un approdo a terra, una sia pur breve radura in cui planare verticalmente, ben nascosta più che non defilata, Victor lo aggiornò sulle sue più recenti, epiche traversie: la fuga dalla nave e poi nella giungla tropicale, verso il Vulcano.

Nella grande piazza del Villaggio Capoluogo dell’Isola si era intanto radunata una grande folla, cui concorreva anche la presenza dei marinai Indiani, che cercavano faticosamente di capire che cosa fosse accaduto.
Sul palco delle autorità lo Stregone Capo, circondato dai Notabili in forze arringava stentoreamente la folla. Con voce urlante, minacciosamente preoccupata, indicava la vetta del Vulcano, la Montagna Sacra da qui si levava un per altro assai modesto filo di fumo, forse enfatizzato dal vento che spirava soprattutto ad alta quota.
Lo Stregone arringava la gran massa dei presenti definendo il gran pericolo che rappresentava quel fumo: era l’evidente segno d’ira del Dio Vulcano, ridestatosi affamato dopo tanti anni e perciò sicuramente bramoso di sangue umano.
La tradizione rituale prevedeva che in questi casi s’imolasse una vergine, possibilmente la più bella giovinetta tra le fanciulle illibate, nel tentativo di placare la vorace ira del grande Idolo, nella cui bocca senza fine la vittima sarebbe stata precipitata.
Occorreva quindi subito, quel giorno stesso, provvedere alla selezione della vittima sacrificale, eletta a sfamare il Dio, perché già il mattino successivo la si sarebbe condotta in processione sino all’orlo del cratere, per compiervi il sacrificio.

Non fosse stata per l’urgenza, che un po’ ne sminuiva l’enfasi, quell’avvenimento rappresentava uno dei fatti più clamorosi accaduti nella recente storia dell’Isola, di fronte al quale la fuga di Victor e la caccia lanciata alla sua ricerca diventavano bazzeccole.
L’attenzione e la tensione di tutti erano massime !
Ed era palese come per lo Stregone, per i Maggiorenti e per la popolazione ciò rappresentasse una formidabile occasione di eventualità mondana, di happening catartico, efficacissimo per scatenare pulsioni e transfert appartenenti alla sfera delle emozioni più discutibili e deteriori, ciònondimeno irrinunciabili !
Anche perché utili a ribadire il carisma dell’Autorità costituita.
Velocemente e ieraticamente esperite e motivate le varie considerazioni di rito, fù subito designata la vittima: furono cioè radunate brutalmente davanti al pulpito delle Autorità, seduta stante, una decina di giovinette pressochè ignare di quanto stesse veramente accadendo e tra di esse fù scelta, la vittima sacrificale, la più bella, quindi la più adatta a soddisfare l’ingorda bramosia del grande idolo crudele.
Ma tutte furono comunque trattenute ed imprigionate sotto la custodia dello Stregone, perché qualora non fosse bastata la prima vittima, a sedare la fame di Vulcano, anche le altre sarebbero state via via sacrificate, precipitandole all’interno del cratere, una via l’altra, finchè il Mostro non avesse cessato di manifestare fumando la sua bramosia.

La fanciulla prescelta per il mortale sacrificio non era solo la più bella, era anche la più intelligente e brava figliola di un grande capo
guerriero, appartenente ad una tribù d’indigeni che viveva sul lato Nord dell’Isola, separata dal resto della popolazione e che il Re Stregone non era mai riuscito a sottomettere al suo potere.
Poteva quindi esserci anche un interesse particolare nella scelta di quella ragazza, con l’acido sapore della ripicca, della vendetta e dell’intimidazione.
Il padre di lei, per quanto desolato, non poteva intervenire contro quella terribile decisione che aveva indicato sua figlia come vittima mortale del grande rito sacrificale. Tra l’altro avrebbe dovuto essere per lui un grande onore, secondo il modo di pensare della popolazione, indotto dallo Stregone Capo e dalla sua accolita di maggiorenti. Se avesse provato ad opporsi sarebbe stata sicuramente la guerra tra le opposte fazioni ed una guerra persa in partenza, per la stragrande preponderanza degli avversari, tutti fortemente condizionati dai dogmi della superstizione.
Così il terribile destino della povera fanciulla era irrimediabilmente segnato: la mattina dopo sarebbe stata condotto in processione sino in vetta al cratere per esservi poi buttata dentro, nella sua profondità senza fine, verso l’inferno di fuoco da cui perveniva quel fumo.
Ma anche qualora il Vulcano avesse smesso di fumare, come era più certo che probabile, il sacrificio avrebbe tuttavia avuto comunque luogo.

Dopo tutta quell’attenzione provocata nella folla, dopo tutto l’impegno profuso dallo Stregone e compagnia, il rito doveva comunque aver luogo, la vittima doveva essere imolata, lo spettacolo doveva aver luogo !
Le motivazioni non sarebbero mancate, nella logica perversa dello Stregone: gli sarebbe bastato affermare che occorreva comunque placare ogni possibili ulteriore velleità del Vulcano, che comunque un segnale di pericolo lo aveva mandato.

Intanto Victor ed il Mago erano planati in una preve radura, leggermennte scoscesa ma comunque utile per l’atterraggio, nella parte Nord Ovest dell’Isola, quella che pareva essere del tutto disabitata. La radura si trovava a circa 1.500 metri di altitudine, ma era circondata da una fitta vegetazione nella quale Victor ed Architagora s’inoltrarono in ricognizione per alcune centinaia di metri, per verificare l’eventuale presenza di pericoli o comunque tracce di transiti umani.
Trovarono solo impronte di facoceri e verificarono la presenza di altre specie animali, sia volatili che terrestri, anche grazie alle palesi reazioni del cane Nuppo, che ne avvertiva odori e rumori in quantità.
La macchina volante aveva provviste alimentari ed acqua per diversi giorni, per cui non ebbero la necessità di cercarne in quei luoghi.
Ritornati a bordo del velivolo era ormai ora di cena e di riposo, e poi si affidarono all’affidabile guardia del cane, ma non solo.
Il Mago Scienziato aveva dotata la navicella di un sistema di allarme in grado di avvertire qualsiasi presenza di una certa massa corporea (almeno 40 chili) nel raggio circostante di un centinaio di metri, in quel caso nei più brevi limiti della radura scoperta.

La notte trascorse tranquilla e silenziosa e l’alba sopraggiunse chiara e limpida, con l’umida fragranza degli odori che emanavano dalla foresta tutt’intorno.
Victor, il Mago ed il cane Nuppo scesero a sgranchirsi prima di collazione, facendo un po’ di ginnastica sul prato. Architagora non domostrava che vagamente la suà età avanzata, giusto il biancore del suo pelo la tradiva, avendo per altro un aspetto assai tonico, aitante, privo delle pecche tipiche degli anziani, le cicatrici del tempo…
Era anche molto agile, sciolto nei movimenti, rapido nei riflessi e vigoroso nella muscolatura. Risalirono dopo gli esercizi a bordo del vascello volante per fare colazione, con calma. Avevano ancora diverse ore da attendere per completare la ricarica dell’energia necessaria per il volo di rientro.
Ricarica che avveniva per una sorta di magia, assimilabile a quella del moto perpetuo: la macchina, mentre era ferma al suolo, lavorando con i motori al minimo, riusciva a produrre più energia di quanta non ne consumasse in tale situazione (ferma, con il motore al minimo) ! Ciò che era dovuto ad uno strano e complicato sistema d’interazione con l’invisibile energia cosmica fluttuante nell’atmosfera, ed a quella del sole e del vento.

Non altrettanto serena e tranquilla era trascorsa la notte per la povera fanciulla destinata al rito scarificale, né per i suoi parenti, incerti tra il dolore, la rabbia e l’ineluttabilità pragmatica dell’evento rituale.
Anche il sonno di molti altri attori di quell’accadimento era stato turbato, ma da altri sentimenti, di lubrica attesa per il sadico piacere che quel drammatico spettacolo di sangue avrebbe loro reso il giorno successivo !
Giorno che infine giunse anche per loro e nessuno mancava alla partenza della processione, sulla grande piazza del villaggio. Tutti bardati di costumi, armi e colori variopinti, partirono con la fanciulla piangente legata a metà della colonna, per il lungo cammino che li avrebbe condotti, dopo almeno otto ore in cima al Vulcano, costantemente accompagnati dallo stentoreo battere dei tamburi.
Risalire a piedi 3.000 metri, dal livello del mare dove era il villaggio sino alla vetta del cratere, non era passeggiata da poco, in particolare se fatto in processione bardati di orpelli rituali, esaltanti la liturgia che l’avvenimento implicava.
Otto ore di viaggio per la sola andata erano una tabella di marcia sicuramente impegnativa, così la processione si mosse all’alba, all’incirca all’ora sesta.
Così che fù prossima a raggiungere l’orlo del cratere otto ore più tardi, quando incrociò la macchina volante, che nel totale silenzio del suo procedere, spuntò volando in quota dal lato ovest del Vulcano, creando immediatamente panico e scompiglio tra le centinaia di indigeni che salivano in processione.

Il fuoco di segnalazione acceso il giorno prima da Victor si era spento la sera stessa, ma come previsto ciò non aveva fermato la folla, bramosa di assoporare la sua libbra di carne nell’orgia del rito sacrificale ormai programmato.

Architagora e Victor trascorsero la mattinata nell’attesa per la ricarica d’energia della macchina, che fù completa quando il sole ebbe superato lo Zenit.
Allora partirono, decollando verso Ovest, ma dopo sole poche centinaia di metri udirono un ritmico battere dei tamburi porvenire giusto dalla direzione in cui stavano muovendo silenziosi, subito oltre la vetta del Vulcano.
Proseguendo furono subito a ridosso della processione che s’inerpicava verso il cratere. Rallentando ebbero anche modo di scorgere la povera fanciulla legata, che vedendoli arrivare aveva loro indirizzato disperate grida d’aiuto.
Il Mago, grazie al suo grande acume ed alla enorme esperienza di vita ed avventure capì immediatamente che cosa era accaduto e ne diede spiegazione a Victor, che non riusciva a capacitarsi per quella strana cordata risalente il Vulcano: che stessero ancora cercando lui, così acconci e bardati in fila indiana ?
“Non stanno cercando te, stanno compiendo un rito sacrificale per placare il risveglio del Vulcano che il tuo fuoco di segnalazione gli ha fatto credere si stesse risvegliando.
La vittima del sacrificio è la fanciulla piangente che invoca aiuto, legata a circa metà della processione. Probabilmente verrà gettata viva nel cratere per scongiurare il pericolo di un’eruzione: è un tipico rito tribale delle tribù selvagge che popolano gran parte delle isole e delle coste del grande Mare Oceano”.
A quella rivelazione Victor rimase costernato, allibito dall’enormità delle conseguenze da lui involontariamente causate accendendo il suo fallò di segnalazione !
Subito si sentì responsabile e deciso a porvi in qualunque modo rimedio:
“Dobbiamo intervenire” disse al Mago, “Dobbiamo salvare quella povera ragazza innocente !”.
Architagora aveva tranquillamente previsto quella reazione di Victor.”Se proprio vuoi possiamo provarci, ma non sarà facile e sicuramente molto pericoloso”.
E quasi a ribadire quell’affermazione ecco arrivare verso di loro un nugolo di frecce, scagliate dai guerrieri di scorta alla processione contro quell’enorme, strano e silenzioso volatile.
Il Mago eseguì una rapida cabrata, così che solo pochi dardi colpirono la carlinga del velivolo alla base senza provocare alcun danno.
Poi continuò a salire di quota, allontanandosi dalla portata di quei proiettili, mentre già stava rimuginando un piano d’azione per liberare anche quest’altra “principessa”, perché tale probabilmente era anche lei, per discendenza di stirpe nella sua Tribù.
Bisognava intervenire al più presto, prima che la processione armata raggiungesse il bordo del cratere: una volta che si fossero là in cima schierati il loro tiro sarebbe divenuto assai più efficace e pericoloso. Ma attaccare quella colonna sul dirupo scosceso, calando dal cielo e salvaguardando l’incolumità della ragazza era troppo
rischioso, impensabile. Né esistevano alternative praticabili, tranne che una, che il Mago decise senzaltro di addottare. Avrebbe utilizzato un dispositivo mimetizzante della macchina che richiedeva molta energia, ma avevano appena fatto il pieno, per cui ne sarebbe probabilmente rimasta a sufficienza per garantire l’autonomia del viaggio di ritorno. La macchina volante poteva infatti emettere un abbondante getto di vapore, in grado di formare una piccola nube dietro cui celarsi.
Spiegò brevemente quel piano d’azione a Victor, che entusiasta subito lo condivise e passarono all’azione.
Scesero allora velocemente, di sorpresa sulla processione arrancante, calcolando la forza e direzione del vento, così da prevenirne il più possibile l’azione dissolvente della loro nube mimetica. I guerrieri non ebbero quasi tempo d’incoccare le frecce, ne di armare i giavvellotti che furono improvvisamente avvolti in una densa, calda nube di vapore. In quella Victor si calò rapidamente alla cieca con una lunga fune, sino a toccare il suolo, presumibilmente il più vicino possibile al punto in cui aveva mirato alla posizione della fanciulla da salvare. Non sbagliò di molto, ma come previsto dovette ingaggiare alcuni rapidi duelli con i guerrieri di scorta, avendo tuttavia il vantaggio della sorpresa. Dovette neutralizzarne almeno cinque o sei prima di trovare la ragazza, che rapidamente slegò mentre cercava di tranquillizzarla.
Quindi con lei ritornò sui suoi passi , sollecitandone la corsa mentre la teneva per mano, sempre dentro la nube: ora c’era la parte più difficile, ritrovare la fune che pendava dalla navicella. Brancolando in quella nebbia Victor si trovò ancora ad affronatare altri guerrieri, ma con l’aiuto del fattore sorpresa ne ebbe tuttavia ragione. Poi giunse un colpò di vento che spazzò via quel fumo e tutto fù subito di nuovo visibile per tutti !

Victor vide la fune che dondolava a circa 30 metri sopra la sua testa, in alto verso il cratere; il Mago vide lui, con la ragazza per mano, che correvano in direzione della fune; diversi indios della cordata videro sia i fuggitivi che la sovrastante macchina volante e rimasero indecisi, fortunatamente per alcuni secondi, su chi scagliare prima le loro armi…
Secondi preziosi sia per Victor che per il Mago, che subito erano partiti alla volta reciproca: in un attimo il vascello levitante calò verso i fuggitivi e con lui la fune mentre, quasi altrettanto rapidamente, Victor e la fanciulla furono a portata della fune. Victor l’avvinghiò saldamente con le gambe ed un braccio, mentre con l’altro stringeva saldamente a se la ragazza, invitandola ad afferrare anche lei la corda con tutte le sue forze.
Come Architagora li vide così avvinghiati ripartì decisamente verso l’esterno e verso l’alto, così da portarsi immediatamente fuori tiro.
Solo qualche dardo giunse a sfiorare i giovani dondolanti sotto la macchina in volo,
ma senza colpirli. Poco oltre, passato ad un’andatura regolare ed automaticamente gestita, il Mago provvide a recuperare la fune, con i giovani appesi, utilizzando un comodo paranco a motore.


Quando furono a bordo, Victor fù immediatamente colpito dalla smagliante bellezza della ragazza. Amuoaha, così si chiamava era quel che si dice uno schianto di fanciulla, slanciata e sinuosa, di una tonicità morbida ed atletica, probabile conseguenza della quotidiana e prolungata pratica del nuoto, aveva grandi occhi scuri, labbra turgide, denti bianchissimi e lunghi capelli neri, pelle ambrata, liscia e morbidissima…, costituiva la quintessenza della bellezza muliebre dei mari del sud !
Victor notò tutto questo ed altro ancora…e ne fù segnatamente colpito…
Ugualmente la fanciulla, nonostante lo sgomento per i tremendi shock subiti nelle ultime 24 ore, fù in grado di recepire ed apprezzare l’aitante immagine del suo bel
salvatore, l’intrepido eroe che l’aveva salvata dall’orribile morte cui era ormai destinata.
A suo volta il Mago, vecchia volpe sorniona, ebbe a notare l’intensa corrente di reciproci apprezzamento ed attrazione che palesemente era divenuta palpabile più che evidente tra quei due formidabili campioni di avvenenza…

E qui, puntini, puntini, puntini…termina anche quest’altra lunga narrazione…
Perché il Mago, conscio e complice delle evidenti implicazioni per il nuovo, inaspettato avvenimento, s’inventò quella sera una sosta su di un’isola deserta, paventando la necessità di una ricarica d’energia di cui la macchina in realtà non aveva bisogno…
Durante la quale sosta i due giovani ebbero modo di approfondire le reciproche attrazione ed affinità…, così che già al termine del giorno successivo, a ricarica ufficialmente effettuata, Victor disse al Mago che forse non era il caso di ritornare subito al Regno di Continental per reincontrare la Principessa Monia, formalmente ormai sua prevista sposa più che non promessa.
Forse, disse Victor, era meglio ritornare prima al castello del Mago, a Dovestan, il loro paese, per trovare una nuova soluzione di vita per Amuoaha, la povera… bellissima ragazza, che non avrebbe mai più potuto far ritorno tra la sua gente dopo aver infranto il tabù del sacrificio.
Il Mago, che già attendeva quel tipo di soluzione, sorrise sornione e concordò sulla “saggia” decisione presa dal suo pupillo.
E fù così che si librarono in volo per il Castello di Dovestan, dove vissero a lungo.

Felici e contenti.

Io ebbi modo di conoscerli alcuni anni più tardi, mentre veleggiavo in solitario nel mare Oceano: feci giusto scalo a Dovestan ed ebbi a godere della loro squisita ospitalità. Avevano nel frattempo avuto due bellissimi bimbi, Korallina e Dolfin, per i quali il vecchio Mago ben fungeva da nonno burbero-gentile…
Mi raccontarono anche di essere venuti a conoscenza del matrimonio di Monia con il principe Karimbad: sembra che, nonostante tutto quell’evento fosse altamente predestinato e solo la temporanea, involontaria intrusione di Victor l’aveva ritardato.
Karim in effetti era poi ritornato in gramaglie, ma carico di doni inestimabili, a chiedere venia al Re di Continental e la mano di sua figlia.
Il Re, non vedendo più ritornare Victor, lo diede per morto ed impose un lutto di sei mesi, dopo di chè acconsenti al matrimonio di Monia con Karim.
Monia non ebbe ad obbiettare, anzi ! Prima di conoscere Victor, vincitore del torneo, era già stata richiesta e piacevolmente coinvolta verso il bell’Indiano.
Così anche loro infine vissero per sempre felci e contenti.
Così come auguro anche a voi,

nonnorso.
























































































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