martedì 29 novembre 2011
LA PRINCIPESSA RAPITA. 5^ ed ultima Parte.
La Principessa Rapita . 5^ ed ultima Parte
A 3.000 metri di quota, in cima al vulcano sul tetto dell'Isola, l'alba arrivò presto, spingendo una brezza di mare fresca e frizzante, nonostante la latitudine tropicale. Nella nicchia all'interno del cratere Victor fù svegliato dallo splendere del nuovo giorno.
Si alzò con circospezione sullo strapiombo di nera roccia e si spostò in posizione di sicurezza, una zona appena più ampia dell'orlo, sulla bocca del vulcano.
Si stiracchiò le membra ancora ammaccate dalle tante fatiche del giorno prima e bevve golosamente le due uova di rapace avanzate dalla sera precedente.
L'oriente era un esplosione di luce ed il mare disegnava una lunga curva tutt'intorno. Strizzando gli occhi riuscì a scorgere lontano, sotto di lui, ad almeno sei miglia di distanza, la baia, dove si indovinavano appena dei puntolini scuri: i velieri della flottiglia del principe Karimbad, i cui equipaggi erano ancora sgunzagliati in giro per l'Isola, insieme a centinaia d'indigeni mercenari, per catturare lui, Victor il fuggitivo.
Se l'avessero immaginato e scoperto là in cima non avrebbe avuto scampo, su quel cucuzzolo circolare, nudo e brullo: non avrebbe potuto sfuggire ancora.
Non aveva che un'alternativa, quella già calcolata: che giungesse a salvarlo l'amico Mago a bordo della prodigiosa Macchina Volante.
Restava il problema di farsi trovare da lui.
Victor sapeva bene per esperienza quanto fosse improbabile individuare dall'alto, volando sopra paesaggi mimetici e discontinui, una cosa, un animale, una persona.
Andò allora a controllare la buca, appena all'interno del cratere, dove aveva la sera prima stivato la grande fascina di arbusti, portata sin lassù per realizzare un fumoso fallò di segnalazione.
Organizzò al meglio quegli sterpi, incrociandoli a strati, a mò di pira e poi con una parte di quelli, ancora verdi, intrecciò una sorta di grande ventaglio, che posato sulle fiamme ne avrebbe causato i fumi di segnalazione.
Terminate quelle operazioni il sole era appena uscito dal mare ed a Victor non restò che attendere speranzoso l'arrivo del Mago.
Architagora era ad oltre mille miglia e si apprestava a decollare.
Ritornato nel Regno di Continental e consegnata la Principessa Monia sana e salva, si era subito dedicato a preparare la nave volante per la missione di salvataggio oltre l'Isola del Te, dove sperava di poter recuperare al più presto Victor, che aveva lasciato prigioniero della nave ammiraglia Indiana.
La preparazione della macchina prevedeva la massima ricarica di energia, per avere la maggior autonomia di volo possibile.
Autonomia che arrivava sino a 18 ore di volo, muovendo ad una velocità di crociera di circa 200 nodi (370 chilometri l'ora).
Per ottenerla occorrevano tre giorni interi.
All'alba del quarto giorno, il quinto da quando il Mago aveva dovuto abbandonare Victor prigioniero di Karimbad, Architagora era infine pronto per salpare, involandosi alla ricerca del suo pupillo.
Si levò rapido e lieve, volando a bassa quota sul mare, sfruttando la portanza della maggiore densità dell'aria.
In effetti era come se la macchina vi galleggiasse, ad una quota di circa cento metri di altezza, senza sussulti ne vibrazioni, nel silenzio totale, con le onde che correvano sotto, spumose ed intangibili.
Cinque ore dopo il Mago raggiunse l'Isola del Tè e mentre stava velocemente superandola, intravide i velieri indiani ancorati nella baia principale.
Secondo i suoi calcoli, anche facendo scalo per i necessari rifornimenti, quelle navi dovevano ormai essere ben oltre, in navigazione verso l'Oriente da almeno un giorno. Cosa poteva essere accaduto ? Victor, astuto, audace e determinato fosse riuscito a fuggire dandosi alla macchia ? Questa era la spiegazione più probabile.
Il Mago decise allora, prima di tentare un difficile e pericoloso atterraggio sull'Isola, di farvi un largo giro di ricognizione a bassa quota.
Il sole era ormai alto sull'orizzonte, prossimo allo Zenit (mezzogiorno), e Victor aveva giustamente calcolato che quella poteva essere l'ora più probabile in cui arrivasse dal cielo il suo salvataggio.
Aveva perciò intensificato l'osservazione scrupolosa di tutto l'immenso panorama che lo circondava: l'enorme distesa marina che circondava l'Isola, la giungla tropicale sottostante, le rocce, le baie, le infinite insenature, le verdi alture degradanti tutt'intorno all'alta vetta del vulcano.
Il suo era un punto di osservazione relativamente previlegiato, i cui limiti erano nel fatto che sicuramente la macchina volante sarebbe levitata ad una quota assai inferiore ai tremila metri del punto da cui Victor osservava, rischiando di confondersi alla sua vista nel variegato paesaggio: mentre assai più facile era intravedere un oggetto volante contro la chiara, uniforme distesa del cielo.
Consapevole di questo e della totale silenziosità della macchina, che non avrebbe neppure potuto udire,Victor osservava con la massima l’attenzione, sapendo che era comunque aleatorio riuscire a scorgere un puntino volante là sotto, a bassa quota, tra il verde e le calanche rocciose.
Assai più facile era invece che il prodigio aereo fosse scorto dal basso.
Il Mago in ricognizione passo a bassa quota vicino i velieri all’ancora ed i marinai di guardia lo videro volare a circa mezzo miglio verso l’interno dell’Isola.
Urlando come forsennati per lo stupore, subito armarono i cannoni ed iniziarono a bombardare in direzione dello strano, enorme uccello volante, che loro tuttavia già ormai conoscevano per essere il prodigioso vascello volante del Mago che aveva ripreso e portata via la principessa Monia giorni prima, in alto mare.
Le grosse palle di cannone non sfiorarono neppure la macchina volante, ma richiamarono l’attenzione, così che infine tutti videro volare a bassa quota la prodigiosa navicella. Contro la quale, al suo più prossimo passaggio, gli indigeni arcieri ed i marinai dotati di grossi schioppi da fuoco, spararono nugoli di frecce e pallettoni di piombo, anch’essi senza tuttavia colpo ferire.
Il fragore degli spari udì lontano anche Victor, dalla sua altissima postazione, che scrutando con la massima acutezza in quella direzione scorse il minuscolo oggetto volante a bassa quota, quasi radente il suolo.
Si precipitò allora ad accendere il suo fallò, che nel giro di pochi minuti già levava fumose nuvole nerastre, rendendo al Vulcano una parvenza di attività eruttiva.
Fumo che fù presto notato con grande preoccupazione dagli indigeni, subito allarmati per un pericolo imminente di eruzione di lava, ceneri e lapilli.
Anche i marinai sull’isola, ne furono analogamente preoccupati..
Anche Architagora vide quel fumo, ma capì che non poteva essere che un segnale, non avendo caratteristiche né portata vulcaniche.
Era probabilmente opera di Victor, il suo validissimo allievo che gli stava segnalando la sua presenza e posizione !
Subito il Mago pilotò il velivolo in quella direzione e Victor capì che i suoi messaggi di fumo avevano funzionato. Dopo pochi secondi la Macchina Volante veleggiava sopra il cratere, sulla spirale di fumo, accanto alla quale Victor si sbracciava in energici ed entusiastici cenni di saluto.
Il Mago avvicinò l’apparecchio volante, lasciandolo poi levitare, immobile, una decina di metri sopra il bordo del cratere dove si trovava il suo allievo e da lì calò una scala di corda, su cui Victor si arrampicò agilmente, arrivando in un attimo a bordo della macchina, dove potè riabbracciare il suo amico salvatore.
Intanto a valle, in tutta l’Isola gli Indigeni erano entrati in grande agitazione:
il grande Dio Vulcano si era risvegliato da un lungo sonno durato tantissimi anni ed aveva ripreso a fumare. Non si udivano ancora i tipici brontolii, i tremori della terra ed i boati che precedono ed accompagnano le eruzioni, come ben sapevano loro malgrado gli indigeni più anziani, ma il fumo era un chiaro segnale di ripresa: la grande montagna sacra stava tornando a vivere e dopo un così lungo digiuno reclamava sicuramente il suo pasto, nefasto e crudele: un sacrificio umano !
Una vita doveva essere sacrificata nella bocca del vulcano, quella di una fanciulla, vergine e tra le più leggiadre, che sarebbe stata condotta a forza sino alla cresta del cratere e crudelmente precipitata al suo interno.
Solo quel sacrificio rituale avrebbe potuto placare la fame del grande, mostruoso Dio crudele, nutrito di carni e sangue della fanciulla.
Ma se quel sacrificio non fosse stato sufficiente altri sarebbero stati compiuti, imolando nel cratere altre giovani vite innocenti. C’era ancora qualche vecchio che ricordava come mezzo secolo prima 40 verigini fossero state sacrificate, buttandole nel cratere, una dopo l’altra, nel volgere tre lune !
Infine gli inutili sacrifici cessarono, non perché terminasse l’attività del Dio Mostro, ma perché anzi, le eruzioni si fecero talmente violente e terribili da mettere in pericolo anche la vita di chiunque avesse osato recarsi fin là in cima, sul cratere o anche solo avesse tentato di avvicinarlo.
Ma ora il Capo degli Stregoni chiamò a raccolta i maggiorenti della Tribù.
Che come lui stesso da tempo immemorabile attendevano una simile occasione, una bella eruzione che permettesse la grande celebrazione di un rito arcaico dei più sentiti nella tradizione, tanto atteso nelle isatanze più lugubri, perversamente instintuali di quella primitiva popolazione.
Si sarebbe dovuto procedere rapidamente, così da non permettere al Dio Mostro di accrescere la sua attività eruttiva, determinando danni assai pericolosi.
In ogni caso, se pur velocemente, occorreva compiere tutti i passi rituali previsti:
radunare la popolazione, scegliere la giovinetta da sacrificare, organizzare la processione dotandola di tutti i simboli e le procedure istruite dal cerimoniale, per recarsi infine sino in cima al vulcano, un viaggio di almeno otto ore, per celebrarvi il sacrificio.
Intimamente emozionato dall’occasione tanto attesa, il lugubre ed arapato Stregone, conscio di tutto il lavoro da fare e dell’urgenza che richiedeva, subito diede tutti gli ordini necessari perché si provvedessero le prime incombenze, incluso quello di richiamare indietro dalle alture silvestri dell’Isola tutti coloro che vi si erano sparpagliati alla caccia mercenaria di Victor.
Inviò perciò dei messaggeri corridori, ma fece anche risuonare i tam tam di segnalzione per l’impellente adunata di tutta la popolazione, causa il grave incombente pericolo.
I marinai indiani ed i loro comandanti, anch’essi in gran parte inoltrati nella giungla dell’Isola alla ricerca di Victor, non avevano affatto scorto il fumo uscire dalla bocca vulcanica e quando udirono il risuonare dei tam tam e videro tutti gli indigeni allertati dal messaggio sonoro voltarsi per correre verso il Villaggio principale, immaginarono che ciò significasse unicamente una cosa: che Victor era stato catturato !
Così anch’essi girarono i tacchi per ridiscendere verso la costa.
Lo fecere anche quei pochi che avevano altrimenti immaginato il giusto, i pochissimi che avevano visto la magica Macchina Volante alzarsi e puntare verso la vetta ora fumante del cratere…
Ma la maggior parte degli inseguitori non aveva potuto vedere questa manovra, essendo immersa tra gli alti alberi della foresta tropicale e quindi assolutamente limitata nella possibilità di scorgere alcunchè fosse oltre poche decine di metri o anche meno.
Né i segugi, i cani che sino ad allora avevano funzionato da guida, erano affatto in grado d’indovinare quella pista.
Mentre l’attenzione di tutti si era sposatata verso la presunta eruzione del Vulcano e sulla necessità impellente di placarne l’ira sul nascere, Victor ormai planava nell’aria, oltre il cratere, verso il lato più deserto dell’Isola, a bordo del velivolo condotto da Architagora.
Che subito lo aggiornò sulla situazione: “ragazzo mio” gli disse, “contrariamente a quanto avevo sperato e calcolato non siamo in grado di abbandonare subito questa terra…Per giungere fino qui ho trovato forti venti contrari che mi hanno costretto a consumare più energia del previsto, riducendo così di molto l’autonomia necessaria per il volo di ritorno. Ripartendo subito, anche se trovassimo il miglior vento a favore, rischieremmo comunque di finire in mare, rialzarci poi in volo dal quale potrebbe essere assai rischioso se non perfino impossibile.
Né conosco alcun’altra terra sulla nostra rotta su cui fare scalo.
Non ci resta in conclusione che restare su quest’Isola il tempo necessario per ricaricare la macchina di tutta l’energia necessaria, cioè sino a domani pomeriggio.
Cerchiamo quindi una zona sicura e defilata in cui atterrare ed attendere il tempo che ci occorre per fare il pieno e poi ripartire. E nel frattempo magari anche riposarci: credo che tu sopratutto ne abbia bisogno dopo le dure avventure che hai vissuto in questi ultimi giorni ! A proposito, raccontami un po’…”
E mentre il Mago cercava un approdo a terra, una sia pur breve radura in cui planare verticalmente, ben nascosta più che non defilata, Victor lo aggiornò sulle sue più recenti, epiche traversie: la fuga dalla nave e poi nella giungla tropicale, verso il Vulcano.
Nella grande piazza del Villaggio Capoluogo dell’Isola si era intanto radunata una grande folla, cui concorreva anche la presenza dei marinai Indiani, che cercavano faticosamente di capire che cosa fosse accaduto.
Sul palco delle autorità lo Stregone Capo, circondato dai Notabili in forze arringava stentoreamente la folla. Con voce urlante, minacciosamente preoccupata, indicava la vetta del Vulcano, la Montagna Sacra da qui si levava un per altro assai modesto filo di fumo, forse enfatizzato dal vento che spirava soprattutto ad alta quota.
Lo Stregone arringava la gran massa dei presenti definendo il gran pericolo che rappresentava quel fumo: era l’evidente segno d’ira del Dio Vulcano, ridestatosi affamato dopo tanti anni e perciò sicuramente bramoso di sangue umano.
La tradizione rituale prevedeva che in questi casi s’imolasse una vergine, possibilmente la più bella giovinetta tra le fanciulle illibate, nel tentativo di placare la vorace ira del grande Idolo, nella cui bocca senza fine la vittima sarebbe stata precipitata.
Occorreva quindi subito, quel giorno stesso, provvedere alla selezione della vittima sacrificale, eletta a sfamare il Dio, perché già il mattino successivo la si sarebbe condotta in processione sino all’orlo del cratere, per compiervi il sacrificio.
Non fosse stata per l’urgenza, che un po’ ne sminuiva l’enfasi, quell’avvenimento rappresentava uno dei fatti più clamorosi accaduti nella recente storia dell’Isola, di fronte al quale la fuga di Victor e la caccia lanciata alla sua ricerca diventavano bazzeccole.
L’attenzione e la tensione di tutti erano massime !
Ed era palese come per lo Stregone, per i Maggiorenti e per la popolazione ciò rappresentasse una formidabile occasione di eventualità mondana, di happening catartico, efficacissimo per scatenare pulsioni e transfert appartenenti alla sfera delle emozioni più discutibili e deteriori, ciònondimeno irrinunciabili !
Anche perché utili a ribadire il carisma dell’Autorità costituita.
Velocemente e ieraticamente esperite e motivate le varie considerazioni di rito, fù subito designata la vittima: furono cioè radunate brutalmente davanti al pulpito delle Autorità, seduta stante, una decina di giovinette pressochè ignare di quanto stesse veramente accadendo e tra di esse fù scelta, la vittima sacrificale, la più bella, quindi la più adatta a soddisfare l’ingorda bramosia del grande idolo crudele.
Ma tutte furono comunque trattenute ed imprigionate sotto la custodia dello Stregone, perché qualora non fosse bastata la prima vittima, a sedare la fame di Vulcano, anche le altre sarebbero state via via sacrificate, precipitandole all’interno del cratere, una via l’altra, finchè il Mostro non avesse cessato di manifestare fumando la sua bramosia.
La fanciulla prescelta per il mortale sacrificio non era solo la più bella, era anche la più intelligente e brava figliola di un grande capo guerriero, appartenente ad una tribù d’indigeni che viveva sul lato Nord dell’Isola, separata dal resto della popolazione e che il Re Stregone non era mai riuscito a sottomettere al suo potere.
Poteva quindi esserci anche un interesse particolare nella scelta di quella ragazza, con l’acido sapore della ripicca, della vendetta e dell’intimidazione.
Il padre di lei, per quanto desolato, non poteva intervenire contro quella terribile decisione che aveva indicato sua figlia come vittima mortale del grande rito sacrificale. Tra l’altro avrebbe dovuto essere per lui un grande onore, secondo il modo di pensare della popolazione, indotto dallo Stregone Capo e dalla sua accolita di maggiorenti. Se avesse provato ad opporsi sarebbe stata sicuramente la guerra tra le opposte fazioni ed una guerra persa in partenza, per la stragrande preponderanza degli avversari, tutti fortemente condizionati dai dogmi della superstizione.
Così il terribile destino della povera fanciulla era irrimediabilmente segnato: la mattina dopo sarebbe stata condotto in processione sino in vetta al cratere per esservi poi buttata dentro, nella sua profondità senza fine, verso l’inferno di fuoco da cui perveniva quel fumo.
Ma anche qualora il Vulcano avesse smesso di fumare, come era più certo che probabile, il sacrificio avrebbe tuttavia avuto comunque luogo.
Dopo tutta quell’attenzione provocata nella folla, dopo tutto l’impegno profuso dallo Stregone e compagnia, il rito doveva comunque aver luogo, la vittima doveva essere imolata, lo spettacolo doveva aver luogo !
Le motivazioni non sarebbero mancate, nella logica perversa dello Stregone: gli sarebbe bastato affermare che occorreva comunque placare ogni possibili ulteriore velleità del Vulcano, che comunque un segnale di pericolo lo aveva mandato.
Intanto Victor ed il Mago erano planati in una preve radura, leggermennte scoscesa ma comunque utile per l’atterraggio, nella parte Nord Ovest dell’Isola, quella che pareva essere del tutto disabitata. La radura si trovava a circa 1.500 metri di altitudine, ma era circondata da una fitta vegetazione nella quale Victor ed Architagora s’inoltrarono in ricognizione per alcune centinaia di metri, per verificare l’eventuale presenza di pericoli o comunque tracce di transiti umani.
Trovarono solo impronte di facoceri e verificarono la presenza di altre specie animali, sia volatili che terrestri, anche grazie alle palesi reazioni del cane Nuppo, che ne avvertiva odori e rumori in quantità.
La macchina volante aveva provviste alimentari ed acqua per diversi giorni, per cui non ebbero la necessità di cercarne in quei luoghi.
Ritornati a bordo del velivolo era ormai ora di cena e di riposo, e poi si affidarono all’affidabile guardia del cane, ma non solo.
Il Mago Scienziato aveva dotata la navicella di un sistema di allarme in grado di avvertire qualsiasi presenza di una certa massa corporea (almeno 40 chili) nel raggio circostante di un centinaio di metri, in quel caso nei più brevi limiti della radura scoperta.
La notte trascorse tranquilla e silenziosa e l’alba sopraggiunse chiara e limpida, con l’umida fragranza degli odori che emanavano dalla foresta tutt’intorno.
Victor, il Mago ed il cane Nuppo scesero a sgranchirsi prima di collazione, facendo un po’ di ginnastica sul prato. Architagora non domostrava che vagamente la suà età avanzata, giusto il biancore del suo pelo la tradiva, avendo per altro un aspetto assai tonico, aitante, privo delle pecche tipiche degli anziani, le cicatrici del tempo…
Era anche molto agile, sciolto nei movimenti, rapido nei riflessi e vigoroso nella muscolatura. Risalirono dopo gli esercizi a bordo del vascello volante per fare colazione, con calma. Avevano ancora diverse ore da attendere per completare la ricarica dell’energia necessaria per il volo di rientro.
Ricarica che avveniva per una sorta di magia, assimilabile a quella del moto perpetuo: la macchina, mentre era ferma al suolo, lavorando con i motori al minimo, riusciva a produrre più energia di quanta non ne consumasse in tale situazione (ferma, con il motore al minimo) ! Ciò che era dovuto ad uno strano e complicato sistema d’interazione con l’invisibile energia cosmica fluttuante nell’atmosfera, ed a quella del sole e del vento.
Non altrettanto serena e tranquilla era trascorsa la notte per la povera fanciulla destinata al rito scarificale, né per i suoi parenti, incerti tra il dolore, la rabbia e l’ineluttabilità pragmatica dell’evento rituale.
Anche il sonno di molti altri attori di quell’accadimento era stato turbato, ma da altri sentimenti, di lubrica attesa per il sadico piacere che quel drammatico spettacolo di sangue avrebbe loro reso il giorno successivo !
Giorno che infine giunse anche per loro e nessuno mancava alla partenza della processione, sulla grande piazza del villaggio. Tutti bardati di costumi, armi e colori variopinti, partirono con la fanciulla piangente legata a metà della colonna, per il lungo cammino che li avrebbe condotti, dopo almeno otto ore in cima al Vulcano, costantemente accompagnati dallo stentoreo battere dei tamburi.
Risalire a piedi 3.000 metri, dal livello del mare dove era il villaggio sino alla vetta del cratere, non era passeggiata da poco, in particolare se fatto in processione bardati di orpelli rituali, esaltanti la liturgia che l’avvenimento implicava.
Otto ore di viaggio per la sola andata erano una tabella di marcia sicuramente impegnativa, così la processione si mosse all’alba, all’incirca all’ora sesta.
Così che fù prossima a raggiungere l’orlo del cratere otto ore più tardi, quando incrociò la macchina volante, che nel totale silenzio del suo procedere, spuntò volando in quota dal lato ovest del Vulcano, creando immediatamente panico e scompiglio tra le centinaia di indigeni che salivano in processione.
Il fuoco di segnalazione acceso il giorno prima da Victor si era spento la sera stessa, ma come previsto ciò non aveva fermato la folla, bramosa di assoporare la sua libbra di carne nell’orgia del rito sacrificale ormai programmato.
Architagora e Victor trascorsero la mattinata nell’attesa per la ricarica d’energia della macchina, che fù completa quando il sole ebbe superato lo Zenit.
Allora partirono, decollando verso Ovest, ma dopo sole poche centinaia di metri udirono un ritmico battere dei tamburi porvenire giusto dalla direzione in cui stavano muovendo silenziosi, subito oltre la vetta del Vulcano.
Proseguendo furono subito a ridosso della processione che s’inerpicava verso il cratere. Rallentando ebbero anche modo di scorgere la povera fanciulla legata, che vedendoli arrivare aveva loro indirizzato disperate grida d’aiuto.
Il Mago, grazie al suo grande acume ed alla enorme esperienza di vita ed avventure capì immediatamente che cosa era accaduto e ne diede spiegazione a Victor, che non riusciva a capacitarsi per quella strana cordata risalente il Vulcano: che stessero ancora cercando lui, così acconci e bardati in fila indiana ?
“Non stanno cercando te, stanno compiendo un rito sacrificale per placare il risveglio del Vulcano che il tuo fuoco di segnalazione gli ha fatto credere si stesse risvegliando.
La vittima del sacrificio è la fanciulla piangente che invoca aiuto, legata a circa metà della processione. Probabilmente verrà gettata viva nel cratere per scongiurare il pericolo di un’eruzione: è un tipico rito tribale delle tribù selvagge che popolano gran parte delle isole e delle coste del grande Mare Oceano”.
A quella rivelazione Victor rimase costernato, allibito dall’enormità delle conseguenze da lui involontariamente causate accendendo il suo fallò di segnalazione !
Subito si sentì responsabile e deciso a porvi in qualunque modo rimedio:
“Dobbiamo intervenire” disse al Mago, “Dobbiamo salvare quella povera ragazza innocente !”.
Architagora aveva tranquillamente previsto quella reazione di Victor.”Se proprio vuoi possiamo provarci, ma non sarà facile e sicuramente molto pericoloso”.
E quasi a ribadire quell’affermazione ecco arrivare verso di loro un nugolo di frecce, scagliate dai guerrieri di scorta alla processione contro quell’enorme, strano e silenzioso volatile.
Il Mago eseguì una rapida cabrata, così che solo pochi dardi colpirono la carlinga del velivolo alla base senza provocare alcun danno.
Poi continuò a salire di quota, allontanandosi dalla portata di quei proiettili, mentre già stava rimuginando un piano d’azione per liberare anche quest’altra “principessa”, perché tale probabilmente era anche lei, per discendenza di stirpe nella sua Tribù.
Bisognava intervenire al più presto, prima che la processione armata raggiungesse il bordo del cratere: una volta che si fossero là in cima schierati il loro tiro sarebbe divenuto assai più efficace e pericoloso. Ma attaccare quella colonna sul dirupo scosceso, calando dal cielo e salvaguardando l’incolumità della ragazza era troppo
rischioso, impensabile. Né esistevano alternative praticabili, tranne che una, che il Mago decise senzaltro di addottare. Avrebbe utilizzato un dispositivo mimetizzante della macchina che richiedeva molta energia, ma avevano appena fatto il pieno, per cui ne sarebbe probabilmente rimasta a sufficienza per garantire l’autonomia del viaggio di ritorno. La macchina volante poteva infatti emettere un abbondante getto di vapore, in grado di formare una piccola nube dietro cui celarsi.
Spiegò brevemente quel piano d’azione a Victor, che entusiasta subito lo condivise e passarono all’azione.
Scesero allora velocemente, di sorpresa sulla processione arrancante, calcolando la forza e direzione del vento, così da prevenirne il più possibile l’azione dissolvente della loro nube mimetica. I guerrieri non ebbero quasi tempo d’incoccare le frecce, ne di armare i giavvellotti che furono improvvisamente avvolti in una densa, calda nube di vapore. In quella Victor si calò rapidamente alla cieca con una lunga fune, sino a toccare il suolo, presumibilmente il più vicino possibile al punto in cui aveva mirato alla posizione della fanciulla da salvare. Non sbagliò di molto, ma come previsto dovette ingaggiare alcuni rapidi duelli con i guerrieri di scorta, avendo tuttavia il vantaggio della sorpresa. Dovette neutralizzarne almeno cinque o sei prima di trovare la ragazza, che rapidamente slegò mentre cercava di tranquillizzarla.
Quindi con lei ritornò sui suoi passi , sollecitandone la corsa mentre la teneva per mano, sempre dentro la nube: ora c’era la parte più difficile, ritrovare la fune che pendava dalla navicella. Brancolando in quella nebbia Victor si trovò ancora ad affronatare altri guerrieri, ma con l’aiuto del fattore sorpresa ne ebbe tuttavia ragione. Poi giunse un colpò di vento che spazzò via quel fumo e tutto fù subito di nuovo visibile per tutti !
Victor vide la fune che dondolava a circa 30 metri sopra la sua testa, in alto verso il cratere; il Mago vide lui, con la ragazza per mano, che correvano in direzione della fune; diversi indios della cordata videro sia i fuggitivi che la sovrastante macchina volante e rimasero indecisi, fortunatamente per alcuni secondi, su chi scagliare prima le loro armi…
Secondi preziosi sia per Victor che per il Mago, che subito erano partiti alla volta reciproca: in un attimo il vascello levitante calò verso i fuggitivi e con lui la fune mentre, quasi altrettanto rapidamente, Victor e la fanciulla furono a portata della fune. Victor l’avvinghiò saldamente con le gambe ed un braccio, mentre con l’altro stringeva saldamente a se la ragazza, invitandola ad afferrare anche lei la corda con tutte le sue forze.
Come Architagora li vide così avvinghiati ripartì decisamente verso l’esterno e verso l’alto, così da portarsi immediatamente fuori tiro.
Solo qualche dardo giunse a sfiorare i giovani dondolanti sotto la macchina in volo,
ma senza colpirli. Poco oltre, passato ad un’andatura regolare ed automaticamente gestita, il Mago provvide a recuperare la fune, con i giovani appesi, utilizzando un comodo paranco a motore.
Quando furono a bordo, Victor fù immediatamente colpito dalla smagliante bellezza della ragazza. Amuoaha, così si chiamava era quel che si dice uno schianto di fanciulla, slanciata e sinuosa, di una tonicità morbida ed atletica, probabile conseguenza della quotidiana e prolungata pratica del nuoto, aveva grandi occhi scuri, labbra turgide, denti bianchissimi e lunghi capelli neri, pelle ambrata, liscia e morbidissima…, costituiva la quintessenza della bellezza muliebre dei mari del sud !
Victor notò tutto questo ed altro ancora…e ne fù segnatamente colpito…
Ugualmente la fanciulla, nonostante lo sgomento per i tremendi shock subiti nelle ultime 24 ore, fù in grado di recepire ed apprezzare l’aitante immagine del suo bel
salvatore, l’intrepido eroe che l’aveva salvata dall’orribile morte cui era ormai destinata.
A suo volta il Mago, vecchia volpe sorniona, ebbe a notare l’intensa corrente di reciproci apprezzamento ed attrazione che palesemente era divenuta palpabile più che evidente tra quei due formidabili campioni di avvenenza…
E qui, puntini, puntini, puntini…termina anche quest’altra lunga narrazione…
Perché il Mago, conscio e complice delle evidenti implicazioni per il nuovo, inaspettato avvenimento, s’inventò quella sera una sosta su di un’isola deserta, paventando la necessità di una ricarica d’energia di cui la macchina in realtà non aveva bisogno…
Durante la quale sosta i due giovani ebbero modo di approfondire le reciproche attrazione ed affinità…, così che già al termine del giorno successivo, a ricarica ufficialmente effettuata, Victor disse al Mago che forse non era il caso di ritornare subito al Regno di Continental per reincontrare la Principessa Monia, formalmente ormai sua prevista sposa più che non promessa.
Forse, disse Victor, era meglio ritornare prima al castello del Mago, a Dovestan, il loro paese, per trovare una nuova soluzione di vita per Amuoaha, la povera… bellissima ragazza, che non avrebbe mai più potuto far ritorno tra la sua gente dopo aver infranto il tabù del sacrificio.
Il Mago, che già attendeva quel tipo di soluzione, sorrise sornione e concordò sulla “saggia” decisione presa dal suo pupillo.
E fù così che si librarono in volo per il Castello di Dovestan, dove vissero a lungo.
Felici e contenti.
Io ebbi modo di conoscerli alcuni anni più tardi, mentre veleggiavo in solitario nel mare Oceano: feci giusto scalo a Dovestan ed ebbi a godere della loro squisita ospitalità. Avevano nel frattempo avuto due bellissimi bimbi, Korallina e Dolfin, per i quali il vecchio Mago ben fungeva da nonno burbero-gentile…
Mi raccontarono anche di essere venuti a conoscenza del matrimonio di Monia con il principe Karimbad: sembra che, nonostante tutto quell’evento fosse altamente predestinato e solo la temporanea, involontaria intrusione di Victor l’aveva ritardato.
Karim in effetti era poi ritornato in gramaglie, ma carico di doni inestimabili, a chiedere venia al Re di Continental e la mano di sua figlia.
Il Re, non vedendo più ritornare Victor, lo diede per morto ed impose un lutto di sei mesi, dopo di chè acconsenti al matrimonio di Monia con Karim.
Monia non ebbe ad obbiettare, anzi ! Prima di conoscere Victor, vincitore del torneo, era già stata richiesta e piacevolmente coinvolta verso il bell’Indiano.
Così anche loro infine vissero per sempre felci e contenti.
Così come auguro anche a voi,
nonnorso.
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sabato 5 novembre 2011
LA PRINCIPESSA RAPITA 4^ Parte
La Principessa rapita 4^ Parte
Victor rimase svariati minuti appeso agli arbusti, sul drammatico baratro sopra la cascata, a strapiombo sul salto abissale in cui l'acqua precipitava fragorosamente.
Vi restò ansimando, assordato dall'immane boato, a smaltire tachicardia ed affanno, per il grande sforzo e l'eccezionale emozione di quell'utlima avventura, in cui aveva ancora sfiorato la morte.
Ma non era finita, gli inseguitori probabilmente incalzavano: mentre nuotava attraversando il lago dopo il tuffo rocambolesco, Victor aveva notato in lontananza, all'inizio del piccolo bacino, là dove le pareti a strapiombo dei fianchi rocciosi del canion si stringevano sino a poche decine di metri, aveva intravisto un ponte di liane sospese...
Sicuramente chi gli dava la caccia conosceva quel passaggio sopra il canion e e si era diretto a quella volta.
Victor riconsiderò allora l’intenzione di risalire verso le alture, all'interno dell'Isola,dove forse sarebbe stato più facile ricongiungersi alla macchina volante del suo amico Mago: andando da quella parte sarebbe probabilmente finito in bocca agli inseguitori.
Ma anche ridiscendere comportava il rischio di rimanere circondato da altri ancora, lanciati da ogni dove alla sua cattura. Senza contare che dal punto in cui si trovava il pendio era tale che per ridiscenderlo sarebbe stato assai più utile un paracadute… che non una lunga fune da rocciatore. E lui non aveva nè l’uno né l’altra.
Recuperato che ebbe fiato a sufficienza per ripartire, Victor si risolse a continuare la risalita: avrebbe inventata qualche soluzione per sfuggire ancora agli immediati inseguitori, magari depistandoli.
L'erta su cui saliva era quasi verticale, resa ancor più ardua da un fitto intrico di vegetazione, che per quanto fastidiosa da penetrare gli tornava utile per potersi arrampicare.
Procedeva necessariamente a rilento, ma dopo circa un ora di fatica raggiunse quello che poteva essere il bordo superiore della scoscesa scarpata, oltre il quale, improvvisamente il pendio diveniva meno drammaticamente inclinato, quasi dolce, infittendosi tuttavia di nuovo la vegetazione.
Ormai udiva lontano e soffuso il rombo della cascata, così che avanzando in quella sorta di altipiano sentì dei grugniti, davanti a lui, stimò ad un centinaio di metri. Si armò allora di un grosso bastone, agguzandone la punta con una pietra tagliente e branditolo a mò di lancia riprese ad avanzare. Giunse in una breve radura, dove la giungla diradava, ed in quella scorse un gruppo di facoceri che stava nutrendosi di radici affioranti dal suolo, che loro stessi avevano scavato.
Gli animali, probabile ambita preda dei cacciatori isolani, avvertita la sua presenza emisero degli striduli ruggiti, ma infine si dettero alla fuga, temendo in lui un possibile predatore.
Victor continuò ad avanzare, finche si trovò a ridosso di liquami assai puzzolenti, deiezioni scaricate in loco da quelle bestie.
Istintivamente deviò storcendo il naso, ma ebbe poi subito invece una ispirazione: rotolarsi in quegli escrementi dal terribile sentore avrebbe mimetizzato completamente le proprie tracce all'olfatto dei segugi che lo stavano inseguendo !
Vincendo l'enorme riluttanza che ovviamente gli ispirava quell'azione, forzata da imprescindibili motivi di sopravivenza, Victor si spalmò dunque, con grande ribrezzo, da capo a piedi con la merda dei facoceri.
Non faceva spesso così, per atavico istinto, anche il suo cane Nuppo ?
Quante volte aveva dovuto rimproverarlo e poi strigliarlo, dopo che si era felicemente rotolato nei liquami dei cinghiali, in mezzo ai boschi ?
Era il tipico comportamento di ogni predatore per annullare il proprio odore e rendersi perciò olfattivamente innavertibile alla sua preda.
Ma ora era lui, Victor, la preda che doveva mimetizzarsi dai cacciatori, i segugi lanciati sulle sue tracce, che quella puzza avrebbero sicuramente annullate, sconvolgendo le delicate narici dei cani !
Così...rivestito di oleazzante, nauseabondo sentore, Victor riprese ad avanzare su per quel pendio, ora più lieve, dove una macchia tipo Savana stava progressivamente sostituendo la Giungla, probabile conseguenza dell'altitudine di quella zona, ormai oltre i duemila metri.
Ben presto a Victor sembrò di percepire un vago latrare dei cani.
Un rumore lontano, inizialmente confuso con il sordo rombo della cascata, poi via via crescente, sino a diventare nitidamente distinguibile: erano i suoi inseguitori che guidavano i cani alla ricerca delle sue tracce perdute oltre il fiume, probabilmente superato scavalcandolo grazie al ponte di liane.
Victor per evitarli non poteva ora che confidare nel mimetismo olfattivo di cui si era dotato…, tranne tentare la fuga verso valle, opzione che già aveva scartata.
In ogni caso doveva evitare di incontrarli, di farsi vedere !
Poteva perciò scartare di lato, cercando di aggirare il fronte degli inseguitori in arrivo, ma non aveva idea di quanto fosse largo e come disposto…
L’unica altra alternativa era di arrampicarsi su di un albero, nascondendosi tra le sue fronde, o trovare una buca profonda, una grotta, una tana ben celata nell’intrico del sottobosco.
Ma non aveva ormai molto tempo per cercare, più facile trovare un albero adatto per rifugiarvisi: ne scelse un altissimo, assai fitto di rami e di vegetazione, una sorta di grande acacia che svettava nell’alta savana dell’Isola.
I suoi primi rami verso il suolo erano ad un’altezza di almeno 4 o 5 metri, impossibili da raggiungere con un balzo, né il tronco permetteva, così ampio e privo di altri appigli, di arrampicarvisi. Ciò che poteva essere un vantaggio, perché difficilmente i suoi inseguitori lo avrebbero cercato su quello, qualora i cani l’avessero preso di mira. Ma era anche problematico scalarne le base, non essendovi nelle immediate vicinanze altre piante che gli potessero fare da ponte per la risalita.
Victor possedeva tuttavia risorse tali da poter velocemente risolvere quel problema.
Una liana lanciata a mo di fune avrebbe potuto andargli bene, ma quelle radici aeree erano sparite nell’alta zona boschiva. Cercò allora una pertica, un palo che gli facesse da supporto. Trovò poco lungi un lungo, dritto ramo pendente da un altro albero, che arrivava a circa tre metri dal suolo. Con un agile balzo Victor lo raggiunse, vi si appese ed iniziò a dondolarvisi gravandone con il suo peso l’estremità, sinchè l’udì scricchiolare, cedere ed infine schiantare al suolo.
Ne verifico l’estremità rotta, abbastanza compatta per funzionare da puntale.
Impugnando quella pertica improvvisata tornò verso l’alta acacia, mentre il latrare dei cani era sempre più vicino. Calcolò allora un tratto d’avvicinamento all’albero sufficientemente lungo e sgombro di vegetazione e prese la rincorsa: in crescendo di velocità arrivò con il puntale di quell’asta contro la base dell’albero e saltò, brandendola all’estremità opposta, così che insieme a lei si sollevò, raggiungendo i primi rami dell’alta pianta.
Ne afferrò uno con un braccio e con le gambe, ma senza mollare la presa della pertica, che intendeva recuperare issandola sull’albero affinchè non rimanesse al suolo la possibile traccia del suo funambulismo.
Fù un esercizio arduo e faticoso, ma infine l’agile e forte Victor riuscì a posizionarsi seduto sul ramo, con l’asta ancora brandita in una mano.
La tirò su e la nascose tra le fronde, fissandovela nascosta per bene ed iniziò poi a risalire l’altissima pianta, mentre l’abbaiare dei cani era ormai, calcolò, a poche centinaia di metri. Salì veloce, il più in alto possibile, giungendo ad una ventina di metri dal suolo, finchè trovò rami abbastanza solidi da poter reggere in sicurezza il suo peso. E là in cima ristette, immobile nel silenzio totale, unicamente avvertendo il rumore degli inseguitori e la propria, confortante puzza di letame suino.
Terribile all’olfatto, ma sicuramente tale da sovrastare il suo proprio odore corporeo, quello che i cani ormai sopragiunti stavano cercando dopo averlo perso di là dal fiume.
Arrivarono sotto di lui, intensificando preoccupantemente i latrati per l’improvvisa nuova zaffata odorosa che le mollecole di escrementi di facocero disperdevano lì intorno ! Girarono intorno all’albero, allargando la ricerca della nuova traccia, si che gli inseguitori provvidero a controllare attentamente la zona, scrutando bene anche verso l’alto.
Poi i cani ripresero a muovere, scendendo verso valle, inseguendo ora le inequivocabili tracce dei suinidi dai cui escrementi derivava la nuova pista a ritroso.
Victor attese là in cima lungamente, prima di muoversi.
Ne approfittò per riposarsi e per scrutare l’ambiente circostante da quella posizione vantaggiosa.
Sopra di lui, ad alcuni chilometri a monte s’ergeva un’alta vetta, conica ma priva di vertice al suo apice, probabile vulcano inattivo, le cui ripide falde uscivano brulle e rocciose dalla circostante savana.
Quella vetta superava probabilmente i 3.000 metri e poteva costituire un buon punto d’incontro con il Mago Architagora, se e quando fosse giunto sull’Isola alla sua ricerca a bordo della prodigiosa macchina volante.
Da là in cima, magari protetto da sguardi indiscreti all’interno del cratere, Victor avrebbe potuto tentare segnali di riconoscimento facilmente visibili dall’alto e significativi della sua presenza in loco.
Quando non fù più in grado di udire l’ormai lontano abbaiare dei segugi Victor discese dall’albero e riprese a salire verso monte, in direzione della vetta vulcanica.
Gli occorsero almeno tre ore per raggiungerla, attraverso il saltuario intrico di arbusti spinosi, poi arrampicandosi sull’erta, tagliente roccia lavica.
Fece alcune soste per cercare tra le rocce della pietra focaia con cui accendere un fuoco di segnalazione, per alimentare il quale si caricò di sterpi e rami secchi. Trovo anche un piccolo ruscello alla cui fonte si dissetò e lavò abbondantemente, ben sapendo che giunto in vetta difficilmente avrebbe trovato da bere e di che ripulirsi del fetido odore escrementizio.
La fame di quasi due giorni dovette invece tenersela tutta: a parte alcune improbabili bacche non c’era nulla di commestibile in quella vegetazione.
Quando fù in cima alla montagna, sull’orlo del cratere che precipitava drammaticamente anche all’interno, la sua fatica fù ampiamente premiata dalla visione di un panorama incredibile: da lassù poteva scorgere tutt’intorno l’Isola ed il mare circostante, a perdita d’occhio !
L’Isola verdissima, carica di giungla, si stendeva per un raggio di molte miglia intorno a lui, poi iniziava l’intenso azzurro del mare, che lentamente sfumava lontano, sino alla vaga linea di confine in cui pareva congiungersi con l’azzurro più tenue del cielo.
Il sole era ormai calante nel pomeriggio ed era improbabile che Victor potesse ancora scorgere l’arrivo del magico uccello meccanico di Architagora, la sua macchina volante.
Ciònondimeno, chi ha tempo non ne aspetti altro ed organizzò subito un ampio braciere di pietre sull’orlo del cratere, all’interno del quale radunò la ramaglia che si era portata dal basso, così che fosse pronta ad ardere fumosamente per segnalare al Mago la sua presenza là in cima.
Probabilmente quel fumo sarebbe stato notato anche dagli indigeni e dalle guardie di Karimbad, cioè da tutti i suoi inseguitori, ma Victor calcolò che avrebbero potuto interpretarlo come un’estemporanea fumata del vulcano…
In ogni caso prima che potessero raggiungerlo era assai più probabile che arrivasse sino a lui Architagora con il suo velivolo, a prelevarlo.
Provò infine il funzionamento delle pietre focaie che aveva raccolte, verificando che nel giro di pochi minuti gli permettevano di ottenere la fiamma necessaria ad avviare il fuoco di segnalazione.
A quel punto mancava non molto al tramonto, il sole stava scendendo sull’orizzonte e dopo essersi preparato una sorta di giaciglio in una necchia rocciosa, foderata con gli arbusti meno ruvidi della sua riserva combustibile, Victor si accinse ad ispezionare i d’intorni, nella vaghissima speranza di reperire alcunchè di commestibile.
Il cratere aveva un diametro di circa 400 metri e sprofondava all’interno con pareti scure e scoscese, sino a perdersi in un totale buio infernale.
Il suo bordo, mediamente largo pochi metri era aspro ed accidentato ed in alcuni tratti si stringeva sino ad una spanna di larghezza, per transitare sulla quale occorrevano doti di equilibrio adeguate e totale assenza di vertigini.
Nulla tuttavia, se paragonato alla drammatica visione della cascata precipitante sotto di lui, quando in estremis era riuscito ad afferrare il ramo della salvezza, cui era rimasto appeso, penzolante sul baratro rombante la mattina di quello stesso giorno !
Victor avanzò sulla circonferenza del crinale per circa un quarto di miglio: aveva notato a quella distanza un assiduo volo di uccelli plananti tra le rocce e sperava di trovarvi un nido, le cui uova sarebbero state un ottimo ricostituente per la sua fame arretrata…
Avvicinandosi realizzò che si trattava di falchi pellegrini, tipici delle scogliere marine ed usi a nutrirsi di altri uccelli pescatori o direttamente di pesci, colti al volo sfiorando con gli artigli la superfice del mare.
Come fossero finiti a nidificare là in cima, ad oltre tremila metri di altezza, era assai strano e singolare. Forse si trattava di una specie mutante, adattata a nuove abitudini per necessità contingenti di valenza locale.
In ogni caso non sarebbe stato facile convincerli a cedergli l’eventuale nidiata.
Victor arrivò con lenta cautela nel punto del cratere in cui aveva notato il via vai dei falchi, che nel frattempo si erano allontanati cercando di distrarlo altrove.
Guardando attentamente, nella penombra del cratere, pochi metri sotto di lui notò un anfratto dove un nido poteva in realtà celarsi.
La ripa interna era ripida e scivolosa per la cenere che la rivestiva.
Ma anche la fame era tanta, superando il timore per quel rischio di scendere sino al nido a raccoglierne il contenuto.
Victor osservò attentamente quei pochi metri di discesa da percorrere, all’interno del precipizio: se fose scivolato non sarebbe riuscito ad arrestarsi se non in fondo al cratere, cioè chissà dove, dopo un salto di forse migliaia di metri ! O forse perfino all’inferno !
Ciònondimeno si accinse anche a quell’avventura.
Tenendosi ben ancorato con le mani alla sommità del ciglio, discese con il corpo all’interno della bocca del vulcano, scavando con la punta dei piedi nella cenere sino a trovare un qualche affidabile appiglio sui cui appoggiare.
Ugualmente fece poi con le mani, avendo sempre cura di avere contemporaneamente in presa tre arti su quattro. Così, con lentezza assai prudente discese i pochi metri utili a raggiungere il nido.
Ma proprio allora avvertì alle sue spalle un vorticoso fremito d’ali, e l’urlo stridulo, agghiacciante del falco che gli piombava addosso per difendere il suo nido !
Sentì anche il fitto dolore alla schiena causatogli dalla violenta aggressione del rapace, le cui zampe ungulate gli aveva piantato sotto la scapola destra.
Victor dovette fare uno sforzo di autocontrollo sovrumano per non abbandonare la presa di mani e piedi sulla ripida parete del cratere.
E subito dopo riuscire a piazzarsi in sicurezza nel breve anfratto in cui ubicava il nido.
Al ritorno del falco si era già voltato, afferrando una pietra repentinamente colta sulla cengia, così da poter adeguatamente fronteggiare quella furia volante.
Al terzo successivo attacco Victor ebbe la freddezza di prendere bene la mira e l’energia di scagliare con rapida violenza il grosso sasso, colpendo alla testa il rapace, che finì per rotolare tramortito giù per il pendio, sino a perdersi nel buio del concavo cono vulcanico.
Dolorante per la ferita alla schiena riprese fiato, constatando la presenza di sette uova all’interno del nido.
Il dolore che avvertiva era vivo, bruciante e probabilmente la sua carne scalfita sanguinava, ma nulla poteva fare per verificarlo, né curarlo in quella parte del suo corpo. Cercò quindi di distrarsi dal problema dedicandosi alle uova.
Ne soppesò una, appena più grande di quelle di gallina, cercando di valutarne la freschezza, ne ruppe il guscio e l’annusò, senza percepire alcun effluvio negativo.
Poi la bevve, con cautela, verificandone l’accettabile sapore e la gratificazione di alimentarsi sostanziosamente dopo il forzato digiuno, durante il quale avava per altro dovuto bruciare tantissime energie.
Ne bevve un’altra e poi un’altra ancora, cercando di farlo con calma, nel rispetto del suo stomaco da qualche tempo inattivo, come gli aveva spesso raccomandato di fare il Mago suo Maestro, che da tempo lo aveva introdotto alla pratica di periodici digiuni, per depurare e rinforzare il corpo e la mente, seppure mai in coincidenza con attività fisica impegnativa.
Avvolse infine le quattro uova rimaste in una sorta di marsupio formato annodando il lembi della camicia e si apprestò a risalire sino all’orlo del vulcano.
Lo fece curando attentamente di riposizionare saldamente mani e piedi negli stessi incavi che aveva realizzato scendendo.
Arrivò sul bordo del cratere per assistere al meraviglioso spettacolo del sole che tramontava, una rossa, enorme palla di fuoco che si tuffava nel mare di cobalto all’orizzonte, la cui lontana linea disegnava assai bene la curvatura terrestre.
Decise poi che anche per lui era giunta l’ora del riposo e si adagiò nel riparato incavo di roccia, appena sotto il margine del cratere, che aveva già attrezzato con
gli arbusti meno ruvidi prelevati dalla fascina che sin lassù aveva recato per alimentare il previsto fuoco di segnalazione.
Ma prima di indulgere al sonno si bevve altre due delle uova rimaste, lasciando le rimanenti per la colazione del successivo mattino.
Così che gli fù più facile e gradevole appisolarsi con la pancia piena di quell’alimento ricco di sostanze assai nutrienti.
E presto fù tra le braccia di Morfeo…
Fine della 4^ Parte
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